sabato 27 agosto 2011

YUCK: “Yuck” (2011, Fat Possum, Mercury, Goodfellas)


C’era una volta una band chiamata Cajun Dance Party, una delle innumerevoli formazioni del filone Nu Rave nate sull’onda del successo dei Klaxons, nota nel circuito indie-pop per aver dato alla luce un disco prodotto dall’ex Suede Bernard Butler che aveva fatto gridare al fenomeno le solite riviste specializzate britanniche, sempre pronte ad incensare nuove band. La stagione di codesti ragazzotti londinesi è stata breve ma, dalle loro ceneri
(e per la precisione dai due chitarristi/cantanti Daniel Blumberg e Max Bloom all’epoca dell’esordio ancora minorenni) sono subito nati gli Yuck (termine che in gergo viene utilizzato per persone sgradevoli ed impopolari) che si sono subito posti all’attenzione grazie ad una manciata di singoli autoprodotti, ed ora escono sulla lunga distanza con un disco omonimo distribuito dalla Fat Possum. Sembrerebbe, ad un primo ascolto, che il quartetto 
(che vede la presenza della bassista Giapponese Mariko Doi e del batterista Jonny Rogoff incontrato casualmente da Daniel in Israele) si sia buttato su un noise-pop dai rimandi alla Dinosaur Jr (che si trovano anche nelle copertine dei loro dischi), Pavement e Teenage Fanclub attingendo, in particolare dal vivo, anche dal suono noise dei Jesus & Mary Chain.


Canzoni che scorrono veloci come Get away (che pare cantata proprio da J. Mascis), The Wall o Georgia (brano Twee più riuscito del disco), dalla veloce presa al primo ascolto tra effetti distorti come in Holing out o le atmosfere indie-folk di Suicide policeman; passando per il dream-pop di Shook Downper ed arrivando allo shoegaze finale di Rose Gives A Lilly e Rubber, setti minuti per una chiusura prog per un’opera prima. Certamente un disco ben modellato che congela il suono di un’epoca, quella fine anni 80 prima metà anni 90, seppur cavalcando l’onda del filone garage-noise che tanto sembra andar di moda quest’anno:
uno dei migliori debutti discografici dell’ultimo periodo per una band tra le poche a proporre questo tipo di sonorità Lo-Fi in terra d’albione. C’era una volta lo shoegaze dei fratelli Reid ed il noise americano dei Sonic Youth, oggi ci troviamo di fronte ad una schiera di bands a stelle e strisce quali Pains of Being Pure at the Heart, Japandroids, Dum Dum Girls, No ge, Best Coast, a cui va ad aggiungersi una band, gli Yuck, che al momento brilla forse più della loro luce riflessa ma, sicuramente, da tenere d’occhio.

Ubaldo Tarantino

Fat Possum

Georgia


Davvero interessante questo esordio dei londinesi Yuck, band formatasi alla fine del decennio zero. Risulta difficile abbinare il loro suono ad una band inglese, tante sono le loro affinità col tipico modo di suonare d'oltreoceano, l'apertura del disco Get Away è sintomatica in tal senso, sembra di risentire i Sonic Youth monumentali di "Daydream Nation", davvero notevoli le somiglianze fra le due bands, a livello vocale e strumentale, sospetti confermati dalla seguente ed altrettanto energica The Wall, con il tipico feeling yankee caro anche a band quali i Dinosaur Jr, davvero una bella coppia di songs che indirizzano Yuck nella direzione giusta. Shook down, una bella slow ballad chiarisce che i ragazzi ci sanno fare anche con i brani lenti, melodia e voci cristalline, quasi sulle orme dei Long Ryders di Sid Griffin.
Il proseguo del disco vede alternati brani più veloci quali Georgia, non casualmente scelta come primo singolo, Holing out, Operation che sono davvero molto simili a quelli di Thurston Moore e Kim Gordon del periodo migliore, a pezzi più lenti e meditati quali Suck, Stutter, Sunday, Rose gives a Lilly, tutte di buona fattura mentre Suicide Policeman è quasi un brano Lo-Fi, stile indie folk tanto in voga in questo decennio. Il meglio arriva alla fine, la chiusura di Yuck è infatti riservata a Rubber, oltre sette minuti sulle orme dei Suicide leggendari dell'esordio, voce filtrata ed atmosfere abrasive, una litania semi psichedelica che paga il suo debito anche agli Spacemen 3. Nella prima edizione del disco figurano anche tre bonus tracks, The base of a dream is empty e Cousin Corona che niente aggiungono alla qualità generale del disco, e lo stesso si può dire di Dark Magnet, uno strumentale un tantino accademico senza infamia e senza lode. Un disco questo "Yuck" che piacerà tanto ai teen-agers di mezzo mondo e che possiede 2-3 canzoni dalle melodie accattivanti che porteranno alla band anche un pò di notorietà, fuori insomma dai soliti circuiti underground. Il gruppo ha suonato dalle nostre parti a fine giugno, un mini-tour di tre date.
Ricardo Martillos

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SHOOK DOWN
RUBBER




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