Il periodo punk
"Author!Author!" é (l'unico) album che ha dato notorietà a questo quartetto di Edinburgo formatosi nel 1977, in piena pazzia punk! Il loro primo gig all'Electric Ballroom nel 1978 suscitò interesse sia di pubblico che di critica, ma la cosa non ebbe molto seguito, allora la band eseguiva essenzialmente del punk.
Visualizzazione post con etichetta A2. From '70-'80' 90 Wally's paper-fanzines to web. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta A2. From '70-'80' 90 Wally's paper-fanzines to web. Mostra tutti i post
domenica 28 agosto 2011
mercoledì 17 agosto 2011
PUNK - THE RUTS: “The Crack” (1979, Virgin)
La bufera punk anglosassone della seconda metà anni ’70 fu marchiata a fuoco prima di tutto dall’uscita di alcuni dischi assurti giustamente a statura ‘iconica’ come gli album di debutto dei Clash, dei Sex Pistols e dei Damned, caratterizzati soprattutto da un’ anfetaminica carica di rabbia nichilista: nessuno quindi si offenderà se scriviamo che le bands citate davano pochissima importanza al lato tecnico delle loro esecuzioni dal vivo ed incisioni, era la norma tra il ’76 ed il ’79, il 'politically correct'!
sabato 28 maggio 2011
CAPAREZZA: “Il sogno eretico” (2011, Universal)
All'inizio credevo avessi sbagliato disco, il "Nessun Dorma" iniziale era più Zucchero che Capa, ma subito dopo si entra in un vorticoso turbine che ti inebria, ma ti da' anche un po' alla testa. Il Pieno segue il pieno (a parte gli intermezzi comici tra un brano e l'altro), con un effetto dirompente ma anche saziante. A metà disco si è già ampiamente soddisfatti di questa sequenza di stili musicali (anche se più che altro apparente, è solo il vestito a essere elegantemente diverso) e di testi interessanti, intelligenti e ben costruiti. Dopo la metà la sazietà si trasforma in una leggera nausea da eccesso, con le musiche che si cominciano a ripetere, le rime che oramai (a prescindere dai testi, sempre ottimi anche se spesso poco intelleggibili) cominciano a suonare tutte uguali.
giovedì 3 marzo 2011
ITALIAN ROCK CONNECTION - GAZ NEVADA: "Dressed To Kill" 12" (1981, Italian Records/Harpo's Music)
Questo mio pezzo sui Gaz Nevada é stato trascritto dal n.12/1981 della mia fanzine cartacea BLACKS/RADIO (wally)
"Dressed To Kill" il nuovo mini-album in vinile dei bolognesi Gaz Nevada, inciso per la bolognese Italian Records di Oderso Rubini é davvero bellissimo. Segue il primo vero lavoro sulla lunga distanza dei Gaz Nevada, "Sick Soundtrack" (1980, Italian Records), che li aveva imposti a pubblico e critica quale band tra le più innovative nel panorama new/no-wave italiano. Il nome della band é stato tratto da un racconto dello scrittore americano Raymond Chandler ("Gas di Nevada" del 1935); il loro suono é ormai originalissimo ed inconfondibile: una riuscitissima sintesi di vari elementi, rockabilly, funky, elettronica. Una delle cose che saltano agli occhi è che pur approntando ritmi meccanici e ipnotici, e facendo uso di accorgimenti di studio, non perdono mai la carica pulsionale e fisica che fa del rock la musica più viscerale di tutte. La voce di Billy Blade (che suona anche il sax e l'organo elettrico) ha sempre avuto cadenze da cantante quasi rockabilly, singhiozzante e fortemente emotiva. Ascoltare per credere in questo nuovo lavoro "Dressed To Kill", ispirato come tutto il disco e l'artwork di Anna Persiani al crimine e alle sue seduzioni, ma anche all'omonimo film di Brian De Palma. In questo brano la forte accentuazione rockabilly di Billy Blade viene bilanciata dai toni malati dell'altro vocalist Andrew Nevada (anche ai sintetizzatori).
Dressed To Kill fu presentata dai Gaz Nevada in anteprima a Bologna durante la loro esibizione del 19 Luglio 1981 alla rassegna new-wave/musica d'avanguardia Electra 1 (recensita nel n. 7 di Blacks/Radio), come anche Frogs On The Phone. Confrontando la versione in studio di questo brano con la registrazione su audiocassetta live all'Electra 1 risulta che dal vivo i Gaz dilatano i brani a dismisura, e nella seconda parte di questo brano usarono uno strano effetto elettronico per chiudere la loro incredibile esibizione bolognese. Frogs On The Phone è un brano interessantissimo, sia nella prima vibrante parte con un maledetto riff di sax dissonante e gli altri strumenti che s'inseriscono uno ad uno, che nella seconda, dilatatissima, dove sull' inquietante effetto elettronico suddetto Andrew Nevada farnetica di vittime ed assassini! Segnali telefonici intermittenti finiscono col rendere il brano un piccolo capolavoro di rock-suspence! Anthony Perkins é fortemente meccanico: si ascoltano i Nevada pronunciare sommessamente strane frasi in italiano; anche qui colpisce subito la voce filtrata e gorgogliante: il sound della band sta diventando sempre più sperimentale, in tutte le accentuazioni più sconvolgenti del termine.
Sulla seconda side una breve versione ipnotica di Going Underground, uno dei loro cavalli di battaglia; quindi D.J., brano dalla brillante struttura ritmica, una delle caratteristiche peculiari del suono del gruppo. Dulcis in fundo When The Music Is Over: confrontarsi con il celebre brano dei Doors è ardua impresa per tutti: i Gaz Nevada ne forniscono una interpretazione sofferta, attualizzando il brano, caricandolo di morbose e penetranti visioni di disperazione metropolitana. Billy Blade sfodera una performance vocale inquietante: siamo dalle parti dei brividi arcani di Alan Vega, ascoltare per credere. Completano la band Robert Squibb alle chitarre e Bat Matic alla batteria.
- Anthony Perkins 2:11
- Dressed To Kill 3:20
- Frogs On The Phone 4:13
- Going Underground (2) 2:05
- D.J. 3:17
- When The Music Is Over (The Doors) 5:27
GazNevadaFacebook
"Dressed To Kill" il nuovo mini-album in vinile dei bolognesi Gaz Nevada, inciso per la bolognese Italian Records di Oderso Rubini é davvero bellissimo. Segue il primo vero lavoro sulla lunga distanza dei Gaz Nevada, "Sick Soundtrack" (1980, Italian Records), che li aveva imposti a pubblico e critica quale band tra le più innovative nel panorama new/no-wave italiano. Il nome della band é stato tratto da un racconto dello scrittore americano Raymond Chandler ("Gas di Nevada" del 1935); il loro suono é ormai originalissimo ed inconfondibile: una riuscitissima sintesi di vari elementi, rockabilly, funky, elettronica. Una delle cose che saltano agli occhi è che pur approntando ritmi meccanici e ipnotici, e facendo uso di accorgimenti di studio, non perdono mai la carica pulsionale e fisica che fa del rock la musica più viscerale di tutte. La voce di Billy Blade (che suona anche il sax e l'organo elettrico) ha sempre avuto cadenze da cantante quasi rockabilly, singhiozzante e fortemente emotiva. Ascoltare per credere in questo nuovo lavoro "Dressed To Kill", ispirato come tutto il disco e l'artwork di Anna Persiani al crimine e alle sue seduzioni, ma anche all'omonimo film di Brian De Palma. In questo brano la forte accentuazione rockabilly di Billy Blade viene bilanciata dai toni malati dell'altro vocalist Andrew Nevada (anche ai sintetizzatori).
Dressed To Kill fu presentata dai Gaz Nevada in anteprima a Bologna durante la loro esibizione del 19 Luglio 1981 alla rassegna new-wave/musica d'avanguardia Electra 1 (recensita nel n. 7 di Blacks/Radio), come anche Frogs On The Phone. Confrontando la versione in studio di questo brano con la registrazione su audiocassetta live all'Electra 1 risulta che dal vivo i Gaz dilatano i brani a dismisura, e nella seconda parte di questo brano usarono uno strano effetto elettronico per chiudere la loro incredibile esibizione bolognese. Frogs On The Phone è un brano interessantissimo, sia nella prima vibrante parte con un maledetto riff di sax dissonante e gli altri strumenti che s'inseriscono uno ad uno, che nella seconda, dilatatissima, dove sull' inquietante effetto elettronico suddetto Andrew Nevada farnetica di vittime ed assassini! Segnali telefonici intermittenti finiscono col rendere il brano un piccolo capolavoro di rock-suspence! Anthony Perkins é fortemente meccanico: si ascoltano i Nevada pronunciare sommessamente strane frasi in italiano; anche qui colpisce subito la voce filtrata e gorgogliante: il sound della band sta diventando sempre più sperimentale, in tutte le accentuazioni più sconvolgenti del termine.
Sulla seconda side una breve versione ipnotica di Going Underground, uno dei loro cavalli di battaglia; quindi D.J., brano dalla brillante struttura ritmica, una delle caratteristiche peculiari del suono del gruppo. Dulcis in fundo When The Music Is Over: confrontarsi con il celebre brano dei Doors è ardua impresa per tutti: i Gaz Nevada ne forniscono una interpretazione sofferta, attualizzando il brano, caricandolo di morbose e penetranti visioni di disperazione metropolitana. Billy Blade sfodera una performance vocale inquietante: siamo dalle parti dei brividi arcani di Alan Vega, ascoltare per credere. Completano la band Robert Squibb alle chitarre e Bat Matic alla batteria.
Wally Boffoli
"Dressed To Kill" tracklist:- Anthony Perkins 2:11
- Dressed To Kill 3:20
- Frogs On The Phone 4:13
- Going Underground (2) 2:05
- D.J. 3:17
- When The Music Is Over (The Doors) 5:27
GazNevadaFacebook
martedì 1 marzo 2011
JULIAN COPE: "Floored Genius" part 1: 1979 - 1995
E' con estremo piacere che pubblichiamo un primo trancio di Alfredo Sgarlato sulla vita e vicende artistiche di una sorta di genio della scena anglosassone, il grande Julian Cope: non é certo facile districarsi nel ginepraio di pubblicazioni di eclettiche ed a volte deliranti (come scrive Sgarlato stesso) pubblicazioni di Cope soprattutto dell'ultimo ventennio. Con un pò di tempo e pazienza cercheremo di farlo: nel frattempo, se volete leggere ancora di Cope in Distorsioni, questo é un mio articolo del 2007 sul suo ottimo
You Gotta Problem With Me. In calce a questo articolo troverete una discografia di Julian Cope stilata dal nostro Ricardo Martillos. (Wally)
La scena di Liverpool nella seconda metà anni '70
Sullo sfondo dei fatti che andiamo a narrare Liverpool, la città che diede i natali al più grande e famoso gruppo pop del mondo e patria nei sixties del glorioso 'merseybeat'. Al pari di Londra, Manchester, Sheffield, Liverpool a partire più o meno dal 1977 fu percorsa dai fremiti rigeneranti di una nuova onda musicale (che affondava le radici nel terremoto punk), emanata prima di tutto dai club 'underground' cittadini: Club Zoo, The Pyramid, l'Eric's di Roger Eagle. Qui si esibiscono gruppi dalle accentuate attitudini sperimentali e teatrali: Big In Japan guidati dalla 'lunare' Jayne Casey, Liverpool Scene, Deaf School, Yachts, Pink Military, alcuni dei quali destinati a perdersi tra le nebbie della città portuale e industriale, per fortuna dopo aver lasciato affascinanti e carismatiche tracce su vinile (purtroppo difficilmente reperibili). Trait d'union di queste band erano (oltre a tratti non ortodossi-dadaisti nella struttura dei brani, soprattutto nei Big In Japan) soprattutto accentuati connotati melodici e la predilezione per le tastiere: in questo l' avanguardia livepooliana fu vittima della pesante tradizione artistica locale dei sixties, venendosi a creare un notevole divario espressivo/estetico rispetto l'impatto punk della capitale Londra. Una bella antologia-epitaffio della primigenia bizzarra Liverpool-scene é "To The Shores Of Lake Placid" (1982, Zoo Four), pubblicata dalla benemerita Zoo Records di Dave Balfe e Bill Drummond, l'etichetta cittadina per eccellenza. Questo vinile contiene tracce rare di Big In Japan, Those Naughty Lumps, Turquoise Swimming Pools, Lory & The Chameleons, Dalek I Love You, Whopper e i primi episodi degli ensemble di Ian McCulloch e Julian Cope, Echo & The Bunnymen e Teardrop Explodes, le due band che avranno più fortuna negli anni successivi, divenendo il simbolo del Liverpool new wave sound. McCulloch e Cope però ancor prima di queste incisioni erano nella stessa band, The Crucial Three insieme a Pete Wylie (si chiamerà Wah! Heat la sua più compiuta ed affascinante creatura successiva).
(Wally Boffoli, testo ripreso dal n. 4 della fanzine cartacea My Own Desire, supplemento a Stampa Alternativa, 2° trimestre 1993)
The Crucial Three
The Crucial Three, i tre cruciali, un nome ambizioso per una band. Ma non così ambizioso se si pensa che uno dei fondatori era Julian Cope, gli altri due Ian McCulloch e Pete Wylie. Julian e Pete erano già insieme nei Mistery Girls insieme a Pete Burns, che poi fonderà i Dead or alive (ve li ricordate? Quelli di You spin me round). Cope e McCulloch litigano subito: Ian vuole essere il nuovo Bowie, Cope il nuovo Captain Beefheart. Diventerà qualcosa di diverso, ma pochi gli saranno pari quanto a genio e follia. Dopo i Crucial Three Julian (nato a Deri, in Galles il 21/10/1957), forma varie band, tutte della durata di pochi giorni, The Nova Mob (ispirato al romanzo di William Burroughs “Nova express”), UH?, A shallow madness, finchè alla fine del 1978 nacquero i Teardrop Explodes, nome ispirato da un episodio del fumetto Devil, in risposta alle band che prendevano nomi della letteratura colta.
Teardrop Explodes
Con Julian, voce e basso, c'erano Mick Finkler alla chitarra, Gary Dwier alla batteria e Paul Simpson alle tastiere. Ben presto Simpson e Finkler sono licenziati e sostituiti da Alan Gill, chitarra e dal manager Dave Balfe alle tastiere. Quest'ultimo era stato in precedenza nei Big in Japan, raffinata post punk band, autrice solo di un EP “From Y to Z and never again”, destinata ad esser famosa per le successive carriere dei musicisti che ne fecero parte: Budgie (Siouxsie and the banshees), Jayne Casey (Pink industry), Holly Johnson (Frankie goes to Hollywood), Ian Broudie (Lightning seeds), Bill Drummond (KLF, creatore della Zoo records). Il primo LP dei Teardrop Explodes, “Kilimanjaro” (1980, Mercury) mostra una band differente dai canoni imperanti della new wave, maggiormente ispirata dalle musiche degli anni '60, psichedelia e soul. Si nota nei brani scelti come singoli, Treason o Reward, arricchiti da una sezione di fiati. Il disco nell'insieme è un po' acerbo, piuttosto monocorde nella ritmica, ma ha almeno una gemma, Poppies in the field, con un bell'arrangiamento di tastiere, una chitarra più incisiva e un'ottima interpretazione vocale di Julian Cope. Il successivo “Wilder”(1981, Fontana distr.) è un disco molto più complesso, dove Cope e soci (Troy Tate ha sostituito Alan Gill) variano continuamente ritmi e arrangiamenti. Anche i testi si fanno più enigmatici. Si comincia con Bent out of shape, una fusione di elettronica e soul da fare invidia a Paul Weller: “all my life i've been bent out of shape, don't you know is killing me?” canta Julian cominciando a spargere dubbi sul suo stile di vita. Due brani lenti come Tiny children, sole tastiere, e And the fighting takes over, in gran parte retta dalla sola chitarra creano un bel pathos. Like Leila Khaled said, dedicata a una terrorista che aveva colpito Cope per la sua bellezza, è elettrica e vibrante. Passionate friend e Pure joy omaggiano i fratelli maggiori, XTC e Jam. Nel frattempo Julian cura anche una compilation, “The Godlike genius of Scott Walker”, contribuendo a far uscire dall'isolamento quell'altro genio tormentato che è Scott Walker, in quel periodo rivisitato anche da David Bowie e Marc Almond. La critica dell'epoca si divise sui Teardrop Explodes: chi amava solo l'ala più oltranzista del post punk li trovava noiosi, chi apprezzava la riscoperta del passato li amava incondizionatamente. Durante la registrazione del terzo album i conflitti tra l'egocentrismo di Cope e Dave Balfe che voleva più spazio compositivo esplosero e il materiale rimase al lungo inedito, fino alla pubblicazione nel 1990 di “Everybody wants to shag... the Teardrop explodes”, disco piuttosto interlocutorio. Alcuni brani sono poco più che demo, quelli più finiti come Sex sono ripresi nel primo album solo di Julian con titoli e arrangiamenti diversi. L'acquisto del disco si giustifica però con la presenza di almeno due brani splendidi confinati a lati B, Strange house in the snow, con un gracchiante violino e Ouch monkeys, lentissima e struggente, dominata da un liquido organo.
Julian Cope: la carriera solista
Quindi Julian Cope sparisce per un po' di tempo. Iniziano a girare voci di instabilità mentale. Julian afferma di aver passato un anno chiuso in casa a fumare canne e giocare con vecchi giocattoli per poi tornare al lavoro. Il risultato, il primo LP solista del perentorio titolo “World shut your mouth”(1984, Mercury), è un possibile disco da isola deserta, uno di quei dischi che già dal primo brano Bandy's first jump ti fa dire: come si fa a scrivere una canzone così bella? E poi si va in crescendo. Canzoni come Metranil Vavin, con echi di Donovan, Strasbourg, An elegant chaos inseguono la perfetta pop song. Kolly kibber's birthday, dal ritmo elettronico alla Suicide sconvolge i piani. Adesso Julian ha reclutato un nucleo più o meno fisso di collaboratori che lo accompagnerà a lungo: Donald Ross Skinner, chitarra e altro, Double de Harrison, tastiere, Rooster Cosby, percussioni, Chris Whitten, batteria. La novità del disco è l'uso dell'oboe di Kate St John (poi nei Love parade) come solista principale. Melodie indimenticabili (Head Hang Low) e arrangiamenti sempre azzeccati fanno pensare che Lennon e Mc Cartney hanno finalmente trovato un erede. Solo dopo sei mesi il successivo “Fried” (1984, Mercury) mostra l'altra faccia di Julian Cope. La copertina inquieta un po' mostrando il musicista vestito da tartaruga che gioca con un camioncino senza ruote (nelle interviste Cope dirà ovviamente che lui si riconosce nel camioncino, non nella tartaruga). Il disco parte forte con la veloce Reynard the fox (personaggio di una favola) che termina con un improvvisazione di tre chitarre, ma poi dominano tempi lenti e malinconici. Adesso la sensazione è che sia Syd Barrett ad aver trovato il suo erede. Concedetemi un ricordo personale. All'epoca le prime recensioni dei dischi solisti non mi avevano incuriosito. Poi ho sentito alla radio un brano da “Fried” una splendida ballata psichedelica, Laughing boy. Ho pensato che solo quel brano valeva l'acquisto del disco. Quando l'ho finalmente ascoltato mi sono reso conto che era il brano che mi piaceva di meno! Ballate come Me singing o King of chaos o sprazzi beatlesiani come Sunspots o Holy love entusiasmano.
Delusione invece per quanto mi riguarda il successivo “Saint Julian” (1987, Island), altro titolo che dà la misura del personaggio, che pure era stato preceduto dall'ottimo singolo Trampoline, vibrante ed elettrico. “Saint Julian” indurisce le chitarre, le tastiere si fanno pompose, la batteria quadrata. Riascoltato oggi mi è piaciuto molto di più, ma continuo a pensare che sia il suo tentativo di successo commerciale, sempre secondo i canoni dell'epoca. Un brano come Planet ride potrebbe essere nel repertorio di Prince, A crack in the clouds attacca gotica alla Virgin Prunes e poi ha un gran finale di tastiere, Saint Julian e Shot down sono bei rock frementi. Al contrario, la critica stronca quasi unilateralmente “My nation underground”, titolo che omaggia la psychofolk band Pearls before swine, che invece ho amato molto, in quel periodo scoppiava in me la passione per il soul. Si comincia con una cover, The 5'clock world dei Vogues, poi Vegetation, altro brano da far impallidire Prince e la title track, altro rhythm and blues a regola d'arte. Bello anche il singolo China doll, ballata jazzy alla John Martyn. Protagonista del videoclip è Pete de Freitas, batterista di Echo and the Bunnymen che morirà poco dopo in un incidente motociclistico. Singolari le due uscite successive. “Skellington"(1989, CopeCo Zippo) porta inciso sulla costola la dicitura “play as loud as hell” ma è un mini Lp quasi totalmente acustico, molti brani sono per sola voce e chitarra, farebbe pensare ad una raccolta di scarti e demo. Spesso emerge una vena demenziale, come in Robert Mitchum, cantata con accento francese. Comunque è ancora un'opera di buon livello. Segue un altro mini, inciso a 45 giri e senza titolo attribuito a "Droolian" (drugs + Julian) (1990, MoFoCo Zippo), con in copertina un simpatico cagnolino (Sqwubbsy): le riviste specializzate parlarono dell'opera di un nuovo Barrett sprofondato nella follia. A tratti è un disco veramente sconclusionato: c'è per esempio un brano cajun, Louis the 14, inciso su un solo canale, con una chitarra che ripete un solo accordo sull'altro. Nell'insieme però è un disco gradevole. Julian Cope è dato per perso quando nel 1991 esce “Peggy Suicide” (Island) doppio LP o CD, concept album ecologista con un quadro di Darina Roche in copertina.
Con questo disco Julian ritorna alla forma migliore. Psichedelia aspra (Double vegetation, Safesurfer), funky (East easy rider), ballate (Pristeen, Promised land), rock in piena regola (Hanging out & hung up on the line, Drive she said), Julian sa scrivere e suonare tutto. Un altro successivo concept “Jehovahkill” (1992, Island) attacca la religione e mostra l'interesse di Cope per il paganesimo. È un disco mediamente più quieto e riflessivo, più acustico del precedente. Lo stile non è vario come in passato, mancano le incursioni nella musica nera. I singoli brani, come Soul desert o Gimme back my flag sono piacevoli ma c'è troppa uniformità, nessun brano ha il colpo d'ala. All'epoca lo interpretai come l'inizio della crisi creativa e risentito oggi mi dà la stessa impressione. A questo punto seguire la carriera di Julian Cope diventa davvero problematico. Incide una miriade di dischi, anche a nome Queen Elizabeth o Brain Donor, spesso deliranti, di soli assoli di chitarra wah wah, elettronici, di musica rituale pagana, alcuni in coppia con l'ex Coil Thighpaulsandra. Scrive due libri autobiografici, 'Head On' e 'Repossessed' (2005, Lain) una storia del rock tedesco, 'KrautrockSampler' (Guida Personale alla Grande Music Cosmica, 2006, Lain) e una di quello giapponese, 'Japrocksampler' (2010, Arcana). Una serie di raccolte intitolate “Floored genius" ritrova materiale raro e versioni alternative, soprattutto del primo periodo della carriera. C'è però ancora un lampo di genio, “Twenty Mothers”(1995, Sony Music). Julian spiega così il titolo: “molti dicono che le loro canzoni sono come figlie, per me sono come madri”. Le venti canzoni contenute sono spesso ottime, come Try try try, che ricorda i Traffic, Just like pooh bear un brano pop elettronico o Girl Call, omaggio ai Can più minimali. Nel suo periodo migliore Julian Cope è stato un grandissimo autore di canzoni, al livello di Partridge/Moulding o del miglior Robert Smith tra i suoi coetanei, e con poco da invidiare a Ray Davies o a Bowie. Spesso ha dissipato il suo talento abusando di sé stesso o lanciandosi in operazioni bislacche. Ma musicisti come lui se non ci fossero bisognerebbe davvero inventarli, e non è facile.
Julian Cope Discography
1984 World Shut Your Mouth (UK #40)
1984 Fried (UK #87)
1987 Saint Julian (UK #11)
1988 My Nation Underground (UK #42)
1989 Skellington
1990 Droolian
1991 Peggy Suicide (UK #23)
1991 Peggy Suicide Radio Sessions (Japan)
1992 Jehovahkill (UK #20)
1993 Rite
1993 Ye Skellington Chronicles (an expanded version of Skellington along with the sequel Skellington 2)
1994 Autogeddon (UK #16)
1995 20 Mothers (UK #20)
1996 Interpreter (UK #39)
1997 Rite 2
1999 Odin
2000 An Audience With the Cope 2000/2001
2001 Discover Odin
2002 Rite Now
2003 Rome Wasn't Burned In A Day
2004 Live Japan '91
2005 Citizen Cain'd
2005 Dark Orgasm
2006 Rite Bastard
2006 Jehovahkill: Deluxe Edition, re-released with a disc of extra material
2007 You Gotta Problem With Me
2008 Black Sheep
2009 Julian Cope Presents The Unruly Imagination
You Gotta Problem With Me. In calce a questo articolo troverete una discografia di Julian Cope stilata dal nostro Ricardo Martillos. (Wally)
La scena di Liverpool nella seconda metà anni '70
Sullo sfondo dei fatti che andiamo a narrare Liverpool, la città che diede i natali al più grande e famoso gruppo pop del mondo e patria nei sixties del glorioso 'merseybeat'. Al pari di Londra, Manchester, Sheffield, Liverpool a partire più o meno dal 1977 fu percorsa dai fremiti rigeneranti di una nuova onda musicale (che affondava le radici nel terremoto punk), emanata prima di tutto dai club 'underground' cittadini: Club Zoo, The Pyramid, l'Eric's di Roger Eagle. Qui si esibiscono gruppi dalle accentuate attitudini sperimentali e teatrali: Big In Japan guidati dalla 'lunare' Jayne Casey, Liverpool Scene, Deaf School, Yachts, Pink Military, alcuni dei quali destinati a perdersi tra le nebbie della città portuale e industriale, per fortuna dopo aver lasciato affascinanti e carismatiche tracce su vinile (purtroppo difficilmente reperibili). Trait d'union di queste band erano (oltre a tratti non ortodossi-dadaisti nella struttura dei brani, soprattutto nei Big In Japan) soprattutto accentuati connotati melodici e la predilezione per le tastiere: in questo l' avanguardia livepooliana fu vittima della pesante tradizione artistica locale dei sixties, venendosi a creare un notevole divario espressivo/estetico rispetto l'impatto punk della capitale Londra. Una bella antologia-epitaffio della primigenia bizzarra Liverpool-scene é "To The Shores Of Lake Placid" (1982, Zoo Four), pubblicata dalla benemerita Zoo Records di Dave Balfe e Bill Drummond, l'etichetta cittadina per eccellenza. Questo vinile contiene tracce rare di Big In Japan, Those Naughty Lumps, Turquoise Swimming Pools, Lory & The Chameleons, Dalek I Love You, Whopper e i primi episodi degli ensemble di Ian McCulloch e Julian Cope, Echo & The Bunnymen e Teardrop Explodes, le due band che avranno più fortuna negli anni successivi, divenendo il simbolo del Liverpool new wave sound. McCulloch e Cope però ancor prima di queste incisioni erano nella stessa band, The Crucial Three insieme a Pete Wylie (si chiamerà Wah! Heat la sua più compiuta ed affascinante creatura successiva).
(Wally Boffoli, testo ripreso dal n. 4 della fanzine cartacea My Own Desire, supplemento a Stampa Alternativa, 2° trimestre 1993)
The Crucial Three
The Crucial Three, i tre cruciali, un nome ambizioso per una band. Ma non così ambizioso se si pensa che uno dei fondatori era Julian Cope, gli altri due Ian McCulloch e Pete Wylie. Julian e Pete erano già insieme nei Mistery Girls insieme a Pete Burns, che poi fonderà i Dead or alive (ve li ricordate? Quelli di You spin me round). Cope e McCulloch litigano subito: Ian vuole essere il nuovo Bowie, Cope il nuovo Captain Beefheart. Diventerà qualcosa di diverso, ma pochi gli saranno pari quanto a genio e follia. Dopo i Crucial Three Julian (nato a Deri, in Galles il 21/10/1957), forma varie band, tutte della durata di pochi giorni, The Nova Mob (ispirato al romanzo di William Burroughs “Nova express”), UH?, A shallow madness, finchè alla fine del 1978 nacquero i Teardrop Explodes, nome ispirato da un episodio del fumetto Devil, in risposta alle band che prendevano nomi della letteratura colta.
Teardrop Explodes
Con Julian, voce e basso, c'erano Mick Finkler alla chitarra, Gary Dwier alla batteria e Paul Simpson alle tastiere. Ben presto Simpson e Finkler sono licenziati e sostituiti da Alan Gill, chitarra e dal manager Dave Balfe alle tastiere. Quest'ultimo era stato in precedenza nei Big in Japan, raffinata post punk band, autrice solo di un EP “From Y to Z and never again”, destinata ad esser famosa per le successive carriere dei musicisti che ne fecero parte: Budgie (Siouxsie and the banshees), Jayne Casey (Pink industry), Holly Johnson (Frankie goes to Hollywood), Ian Broudie (Lightning seeds), Bill Drummond (KLF, creatore della Zoo records). Il primo LP dei Teardrop Explodes, “Kilimanjaro” (1980, Mercury) mostra una band differente dai canoni imperanti della new wave, maggiormente ispirata dalle musiche degli anni '60, psichedelia e soul. Si nota nei brani scelti come singoli, Treason o Reward, arricchiti da una sezione di fiati. Il disco nell'insieme è un po' acerbo, piuttosto monocorde nella ritmica, ma ha almeno una gemma, Poppies in the field, con un bell'arrangiamento di tastiere, una chitarra più incisiva e un'ottima interpretazione vocale di Julian Cope. Il successivo “Wilder”(1981, Fontana distr.) è un disco molto più complesso, dove Cope e soci (Troy Tate ha sostituito Alan Gill) variano continuamente ritmi e arrangiamenti. Anche i testi si fanno più enigmatici. Si comincia con Bent out of shape, una fusione di elettronica e soul da fare invidia a Paul Weller: “all my life i've been bent out of shape, don't you know is killing me?” canta Julian cominciando a spargere dubbi sul suo stile di vita. Due brani lenti come Tiny children, sole tastiere, e And the fighting takes over, in gran parte retta dalla sola chitarra creano un bel pathos. Like Leila Khaled said, dedicata a una terrorista che aveva colpito Cope per la sua bellezza, è elettrica e vibrante. Passionate friend e Pure joy omaggiano i fratelli maggiori, XTC e Jam. Nel frattempo Julian cura anche una compilation, “The Godlike genius of Scott Walker”, contribuendo a far uscire dall'isolamento quell'altro genio tormentato che è Scott Walker, in quel periodo rivisitato anche da David Bowie e Marc Almond. La critica dell'epoca si divise sui Teardrop Explodes: chi amava solo l'ala più oltranzista del post punk li trovava noiosi, chi apprezzava la riscoperta del passato li amava incondizionatamente. Durante la registrazione del terzo album i conflitti tra l'egocentrismo di Cope e Dave Balfe che voleva più spazio compositivo esplosero e il materiale rimase al lungo inedito, fino alla pubblicazione nel 1990 di “Everybody wants to shag... the Teardrop explodes”, disco piuttosto interlocutorio. Alcuni brani sono poco più che demo, quelli più finiti come Sex sono ripresi nel primo album solo di Julian con titoli e arrangiamenti diversi. L'acquisto del disco si giustifica però con la presenza di almeno due brani splendidi confinati a lati B, Strange house in the snow, con un gracchiante violino e Ouch monkeys, lentissima e struggente, dominata da un liquido organo.
Julian Cope: la carriera solista
Quindi Julian Cope sparisce per un po' di tempo. Iniziano a girare voci di instabilità mentale. Julian afferma di aver passato un anno chiuso in casa a fumare canne e giocare con vecchi giocattoli per poi tornare al lavoro. Il risultato, il primo LP solista del perentorio titolo “World shut your mouth”(1984, Mercury), è un possibile disco da isola deserta, uno di quei dischi che già dal primo brano Bandy's first jump ti fa dire: come si fa a scrivere una canzone così bella? E poi si va in crescendo. Canzoni come Metranil Vavin, con echi di Donovan, Strasbourg, An elegant chaos inseguono la perfetta pop song. Kolly kibber's birthday, dal ritmo elettronico alla Suicide sconvolge i piani. Adesso Julian ha reclutato un nucleo più o meno fisso di collaboratori che lo accompagnerà a lungo: Donald Ross Skinner, chitarra e altro, Double de Harrison, tastiere, Rooster Cosby, percussioni, Chris Whitten, batteria. La novità del disco è l'uso dell'oboe di Kate St John (poi nei Love parade) come solista principale. Melodie indimenticabili (Head Hang Low) e arrangiamenti sempre azzeccati fanno pensare che Lennon e Mc Cartney hanno finalmente trovato un erede. Solo dopo sei mesi il successivo “Fried” (1984, Mercury) mostra l'altra faccia di Julian Cope. La copertina inquieta un po' mostrando il musicista vestito da tartaruga che gioca con un camioncino senza ruote (nelle interviste Cope dirà ovviamente che lui si riconosce nel camioncino, non nella tartaruga). Il disco parte forte con la veloce Reynard the fox (personaggio di una favola) che termina con un improvvisazione di tre chitarre, ma poi dominano tempi lenti e malinconici. Adesso la sensazione è che sia Syd Barrett ad aver trovato il suo erede. Concedetemi un ricordo personale. All'epoca le prime recensioni dei dischi solisti non mi avevano incuriosito. Poi ho sentito alla radio un brano da “Fried” una splendida ballata psichedelica, Laughing boy. Ho pensato che solo quel brano valeva l'acquisto del disco. Quando l'ho finalmente ascoltato mi sono reso conto che era il brano che mi piaceva di meno! Ballate come Me singing o King of chaos o sprazzi beatlesiani come Sunspots o Holy love entusiasmano.
Delusione invece per quanto mi riguarda il successivo “Saint Julian” (1987, Island), altro titolo che dà la misura del personaggio, che pure era stato preceduto dall'ottimo singolo Trampoline, vibrante ed elettrico. “Saint Julian” indurisce le chitarre, le tastiere si fanno pompose, la batteria quadrata. Riascoltato oggi mi è piaciuto molto di più, ma continuo a pensare che sia il suo tentativo di successo commerciale, sempre secondo i canoni dell'epoca. Un brano come Planet ride potrebbe essere nel repertorio di Prince, A crack in the clouds attacca gotica alla Virgin Prunes e poi ha un gran finale di tastiere, Saint Julian e Shot down sono bei rock frementi. Al contrario, la critica stronca quasi unilateralmente “My nation underground”, titolo che omaggia la psychofolk band Pearls before swine, che invece ho amato molto, in quel periodo scoppiava in me la passione per il soul. Si comincia con una cover, The 5'clock world dei Vogues, poi Vegetation, altro brano da far impallidire Prince e la title track, altro rhythm and blues a regola d'arte. Bello anche il singolo China doll, ballata jazzy alla John Martyn. Protagonista del videoclip è Pete de Freitas, batterista di Echo and the Bunnymen che morirà poco dopo in un incidente motociclistico. Singolari le due uscite successive. “Skellington"(1989, CopeCo Zippo) porta inciso sulla costola la dicitura “play as loud as hell” ma è un mini Lp quasi totalmente acustico, molti brani sono per sola voce e chitarra, farebbe pensare ad una raccolta di scarti e demo. Spesso emerge una vena demenziale, come in Robert Mitchum, cantata con accento francese. Comunque è ancora un'opera di buon livello. Segue un altro mini, inciso a 45 giri e senza titolo attribuito a "Droolian" (drugs + Julian) (1990, MoFoCo Zippo), con in copertina un simpatico cagnolino (Sqwubbsy): le riviste specializzate parlarono dell'opera di un nuovo Barrett sprofondato nella follia. A tratti è un disco veramente sconclusionato: c'è per esempio un brano cajun, Louis the 14, inciso su un solo canale, con una chitarra che ripete un solo accordo sull'altro. Nell'insieme però è un disco gradevole. Julian Cope è dato per perso quando nel 1991 esce “Peggy Suicide” (Island) doppio LP o CD, concept album ecologista con un quadro di Darina Roche in copertina.
Con questo disco Julian ritorna alla forma migliore. Psichedelia aspra (Double vegetation, Safesurfer), funky (East easy rider), ballate (Pristeen, Promised land), rock in piena regola (Hanging out & hung up on the line, Drive she said), Julian sa scrivere e suonare tutto. Un altro successivo concept “Jehovahkill” (1992, Island) attacca la religione e mostra l'interesse di Cope per il paganesimo. È un disco mediamente più quieto e riflessivo, più acustico del precedente. Lo stile non è vario come in passato, mancano le incursioni nella musica nera. I singoli brani, come Soul desert o Gimme back my flag sono piacevoli ma c'è troppa uniformità, nessun brano ha il colpo d'ala. All'epoca lo interpretai come l'inizio della crisi creativa e risentito oggi mi dà la stessa impressione. A questo punto seguire la carriera di Julian Cope diventa davvero problematico. Incide una miriade di dischi, anche a nome Queen Elizabeth o Brain Donor, spesso deliranti, di soli assoli di chitarra wah wah, elettronici, di musica rituale pagana, alcuni in coppia con l'ex Coil Thighpaulsandra. Scrive due libri autobiografici, 'Head On' e 'Repossessed' (2005, Lain) una storia del rock tedesco, 'KrautrockSampler' (Guida Personale alla Grande Music Cosmica, 2006, Lain) e una di quello giapponese, 'Japrocksampler' (2010, Arcana). Una serie di raccolte intitolate “Floored genius" ritrova materiale raro e versioni alternative, soprattutto del primo periodo della carriera. C'è però ancora un lampo di genio, “Twenty Mothers”(1995, Sony Music). Julian spiega così il titolo: “molti dicono che le loro canzoni sono come figlie, per me sono come madri”. Le venti canzoni contenute sono spesso ottime, come Try try try, che ricorda i Traffic, Just like pooh bear un brano pop elettronico o Girl Call, omaggio ai Can più minimali. Nel suo periodo migliore Julian Cope è stato un grandissimo autore di canzoni, al livello di Partridge/Moulding o del miglior Robert Smith tra i suoi coetanei, e con poco da invidiare a Ray Davies o a Bowie. Spesso ha dissipato il suo talento abusando di sé stesso o lanciandosi in operazioni bislacche. Ma musicisti come lui se non ci fossero bisognerebbe davvero inventarli, e non è facile.
Alfredo Sgarlato
JulianCopeHeadHeritageJulian Cope Discography
1984 World Shut Your Mouth (UK #40)
1984 Fried (UK #87)
1987 Saint Julian (UK #11)
1988 My Nation Underground (UK #42)
1989 Skellington
1990 Droolian
1991 Peggy Suicide (UK #23)
1991 Peggy Suicide Radio Sessions (Japan)
1992 Jehovahkill (UK #20)
1993 Rite
1993 Ye Skellington Chronicles (an expanded version of Skellington along with the sequel Skellington 2)
1994 Autogeddon (UK #16)
1995 20 Mothers (UK #20)
1996 Interpreter (UK #39)
1997 Rite 2
1999 Odin
2000 An Audience With the Cope 2000/2001
2001 Discover Odin
2002 Rite Now
2003 Rome Wasn't Burned In A Day
2004 Live Japan '91
2005 Citizen Cain'd
2005 Dark Orgasm
2006 Rite Bastard
2006 Jehovahkill: Deluxe Edition, re-released with a disc of extra material
2007 You Gotta Problem With Me
2008 Black Sheep
2009 Julian Cope Presents The Unruly Imagination
mercoledì 16 febbraio 2011
U.K. SUBS: news and "Crash Course" Live (1980, GEM)
News
'Waiting for 'UK-SUBS/VIBRATORS' Marcxramone live-report from Rome' di ieri sera, nell'attesa spasmodica (sottolineata anche da qualche nostro lettore!) vi offro per restare in tema un 'aperitivo' altamente alcoolico: un mio vecchio articolo su "Crash Course" (live), senza ombra di dubbio tra i migliori dischi di sempre dei grandissimi, indimenticati-indimenticabili U.K. Subs di Charlie Harper (oggi 66enne), una delle punk-band inglesi storiche più inossidabili ancora in giro ad insanguinare i palchi di mezzo mondo. Da pochissimo é uscito per la Captain Oi! Records "Work In Progress", il loro nuovo lavoro, contenente anche una cover della classica Strychnine dei Sonics.
Circa cinque anni fa si esibirono anche qui a Bari, dove vivo, e per ragioni che non ricordo quella sera non c'ero! Mi mordo ancora le mani. Spero che le riprese che Marco squisitamente (come sempre) ci offrirà nei prossimi giorni possano far rimarginare almeno in parte questa mia ferita ancora aperta! L'articolo fu pubblicato sul numero di dicembre 1980 - gennaio 1981 della mia fanzine cartacea BLACKS/RADIO. Rileggerlo (per poi trascriverlo per Distorsioni) mi ha suscitato, a distanza di 31 anni, ancora tanta emozione! Spero sia lo stesso per voi. (Wally Boffoli)
"Crash Course" Live
Un disco come "Crash Course", alla stregua di un vecchio Animals o Yardbirds, ci scatenerà adrenalina anche tra vent'anni . Ed invece "Crash Course" é stato letteralmente insultato su alcuni mensili in carta patinata. Gli U.K. Subs sono un gruppo punk-rock inglese della penultima generazione, quella dei Cockney Rejects, dei Ruts, degli Angelic Upstart, che hanno sostituito nel cuore dei fans più agguerriti bands della prima ora quali Buzzcocks ed Adverts. Poi ci sono Crass, Poison Girls, più radicali e politicizzati, sino agli ultimissimi U.K.Decay, Discharge, Exploited!
"Crash Course", registrato al Rainbow il 30 Maggio 1980, é il tipico disco da 'sudare' dalla prima nota all'ultima, 20 brani live carichi di una potenza strumentale immane, ed un'aggressività vocale incredibile. Nelle prime 30.000 copie c'é un e.p. live con altri 4 brani live (registrati al Lyceum il 15 Luglio 1979) ed a noi é capitata una giusta. Il luogo del misfatto (dicevamo) é il Rainbow di Londra. Alcuni brani risalgono al primo album della band, "Another Kind Of Blues" (1979, Diablo): C.I.D., I live in a car, Killer, Blues, Young Criminals, altri a quello successivo "Brand New Age" (1980,Captain Oi!), come la title-track, Warhead, Rat Race. Giunti alla seconda incisione 'live', questo album esplora sino in fondo il potenziale sonoro degli U.K. Subs; se alcuni episodi (Telephone number, Left for dead, Kicks, Killer) rispondono al concentrato shokkante di un minuto e pochi secondi tipico del punk più frenetico (Dirty Girls, The Same Thing), in altre occasioni il suono si dilata e colpisce per la sua consistenza: é il caso di New York State Police, attraversato da un epico riff chitarristico e di Warhead, il brano più corale e corposo dell'album, un vero capolavoro nel suo genere, una di quelle cose che ti si conficcano a fondo nella carne!
Charlie Harper: una voce non eccezionale ma il suo merito maggiore sta proprio nello sfruttare sino in fondo quel timbro sporco, naturalmente sciatto, riuscendo memorabile in diverse occasioni: Rockers, Teenage, Left for dead, Brand new age, Tomorrows Girls. Ti stende letteralmente con le sue urla isteriche, dosati effetti d'eco fanno il resto. Nicky Garratt osa trasgredire l'odio del primissimo punk per i solo chitarristici con calibratissime ed assassine sortite che provocano l'effetto di accrescere la densità rockistica dei brani. Occorre sottolineare anche la compattezza di Pete Davies (bass) e Paul Slack (drums): alcuni brani in particolare lo testimoniano, Emotional Blackmail, Kicks, Couldn't Be You, con scariche ritmiche parossistiche a mozzarti il fiato!
Gli U.K. Subs non hanno il senso della sperimentazione dei Crass, o la visceralità delle Poison Girls ma incarnano al 100 % 100 il lato più 'stradaiolo' e sfrontato del punk, con il loro tiro 'sbandato' ed i botta e risposta tra lead vocal e strumentisti. In Warhead e N.Y.State Police sconfinano nondimeno nella denuncia sociale gridata con vero odio anarcoide verso le istituzioni. Un grande gruppo, di quelli che ti scombussolano dentro, una 'testa di serie' del punk inglese più immarcescibile di ogni tempo!
U.K.Subs
'Waiting for 'UK-SUBS/VIBRATORS' Marcxramone live-report from Rome' di ieri sera, nell'attesa spasmodica (sottolineata anche da qualche nostro lettore!) vi offro per restare in tema un 'aperitivo' altamente alcoolico: un mio vecchio articolo su "Crash Course" (live), senza ombra di dubbio tra i migliori dischi di sempre dei grandissimi, indimenticati-indimenticabili U.K. Subs di Charlie Harper (oggi 66enne), una delle punk-band inglesi storiche più inossidabili ancora in giro ad insanguinare i palchi di mezzo mondo. Da pochissimo é uscito per la Captain Oi! Records "Work In Progress", il loro nuovo lavoro, contenente anche una cover della classica Strychnine dei Sonics.
Circa cinque anni fa si esibirono anche qui a Bari, dove vivo, e per ragioni che non ricordo quella sera non c'ero! Mi mordo ancora le mani. Spero che le riprese che Marco squisitamente (come sempre) ci offrirà nei prossimi giorni possano far rimarginare almeno in parte questa mia ferita ancora aperta! L'articolo fu pubblicato sul numero di dicembre 1980 - gennaio 1981 della mia fanzine cartacea BLACKS/RADIO. Rileggerlo (per poi trascriverlo per Distorsioni) mi ha suscitato, a distanza di 31 anni, ancora tanta emozione! Spero sia lo stesso per voi. (Wally Boffoli)
"Crash Course" Live
Un disco come "Crash Course", alla stregua di un vecchio Animals o Yardbirds, ci scatenerà adrenalina anche tra vent'anni . Ed invece "Crash Course" é stato letteralmente insultato su alcuni mensili in carta patinata. Gli U.K. Subs sono un gruppo punk-rock inglese della penultima generazione, quella dei Cockney Rejects, dei Ruts, degli Angelic Upstart, che hanno sostituito nel cuore dei fans più agguerriti bands della prima ora quali Buzzcocks ed Adverts. Poi ci sono Crass, Poison Girls, più radicali e politicizzati, sino agli ultimissimi U.K.Decay, Discharge, Exploited!
"Crash Course", registrato al Rainbow il 30 Maggio 1980, é il tipico disco da 'sudare' dalla prima nota all'ultima, 20 brani live carichi di una potenza strumentale immane, ed un'aggressività vocale incredibile. Nelle prime 30.000 copie c'é un e.p. live con altri 4 brani live (registrati al Lyceum il 15 Luglio 1979) ed a noi é capitata una giusta. Il luogo del misfatto (dicevamo) é il Rainbow di Londra. Alcuni brani risalgono al primo album della band, "Another Kind Of Blues" (1979, Diablo): C.I.D., I live in a car, Killer, Blues, Young Criminals, altri a quello successivo "Brand New Age" (1980,Captain Oi!), come la title-track, Warhead, Rat Race. Giunti alla seconda incisione 'live', questo album esplora sino in fondo il potenziale sonoro degli U.K. Subs; se alcuni episodi (Telephone number, Left for dead, Kicks, Killer) rispondono al concentrato shokkante di un minuto e pochi secondi tipico del punk più frenetico (Dirty Girls, The Same Thing), in altre occasioni il suono si dilata e colpisce per la sua consistenza: é il caso di New York State Police, attraversato da un epico riff chitarristico e di Warhead, il brano più corale e corposo dell'album, un vero capolavoro nel suo genere, una di quelle cose che ti si conficcano a fondo nella carne!
Charlie Harper: una voce non eccezionale ma il suo merito maggiore sta proprio nello sfruttare sino in fondo quel timbro sporco, naturalmente sciatto, riuscendo memorabile in diverse occasioni: Rockers, Teenage, Left for dead, Brand new age, Tomorrows Girls. Ti stende letteralmente con le sue urla isteriche, dosati effetti d'eco fanno il resto. Nicky Garratt osa trasgredire l'odio del primissimo punk per i solo chitarristici con calibratissime ed assassine sortite che provocano l'effetto di accrescere la densità rockistica dei brani. Occorre sottolineare anche la compattezza di Pete Davies (bass) e Paul Slack (drums): alcuni brani in particolare lo testimoniano, Emotional Blackmail, Kicks, Couldn't Be You, con scariche ritmiche parossistiche a mozzarti il fiato!
Gli U.K. Subs non hanno il senso della sperimentazione dei Crass, o la visceralità delle Poison Girls ma incarnano al 100 % 100 il lato più 'stradaiolo' e sfrontato del punk, con il loro tiro 'sbandato' ed i botta e risposta tra lead vocal e strumentisti. In Warhead e N.Y.State Police sconfinano nondimeno nella denuncia sociale gridata con vero odio anarcoide verso le istituzioni. Un grande gruppo, di quelli che ti scombussolano dentro, una 'testa di serie' del punk inglese più immarcescibile di ogni tempo!
Wally Boffoli
U.K.Subs
sabato 12 febbraio 2011
JOE JACKSON: "Beat Crazy", "Rain" and other stuff
Joe Jackson é da sempre uno degli artisti inglesi da me preferiti: un vero genio musicale sbocciato in piena era punk (il suo primo album "Look Sharp!" risale al 1979, A&M) ma con presupposti e referenti mod, che ha saputo progredire attraverso una carriera lunga ormai più di 30 anni, dall'essenzialità anfetaminica dei primi tre albums alla rivisitazione di differenti scomparti dello scibile musicale.
Intelligente, curioso, sensibile, come dovrebbero essere tutti gli artisti, ma anche sottilmente polemico e sarcastico nei testi; cantante, pianista, raffinato compositore, non si é mai curato di ciò che i fans ed il suo pubblico si aspettavano dai suoi dischi, rischiando sempre in prima persona in esperimenti (non sempre riuscitissimi) con il jazz, musica classica, colonne sonore, cultura latina e circondandosi di ottimi musicisti come il bassista Graham Maby e la percussionista Sue Hadjopoulos. Dischi come "Look Sharp!", "I'm a Man", "Beat Crazy", "Night And Day", "Laughter And Lust" rappresentano quanto di meglio prodotto dal rock anglosassone dalla rivoluzione punk degli ultimi anni '70 in poi, e sfido chiunque a dimostrarmi il contrario!
L'ultimo ottimo disco in studio di Joe Jackson, "Rain", uscito per la Rykodisc, risale al 2008; del 2009 invece é "At the BBC" (Spectrum Music), delle Peel e Radio Sessions risalenti al periodo d'oro di Jackson, tra il 1979 ed il 1983, con brani tratti da Look Sharp!, I'm A Man e Night & Day registrate dal vivo in tre occasioni diverse nel 1980, 1982 e 1983: una vibrante, imperdibile testimonianza dell'energia e della poliedricità dell'artista e della sua formidabile band, colti al culmine della loro espressività.
Da allora poche notizie e vi confesso che mi manca molto un nuovo lavoro in studio di Joe: le ultime nel suo sito parlano di una partecipazione al progetto "Music" di Andrew Zuckerman, un libro e film-ricognizione nella creatività ed ispirazione di più di 50 eterogenei artisti contemporanei.
Ho pensato quindi di comporre su J.Jackson un pezzo, nell'attesa di novità discografiche, unendo capo e coda: la mia recensione di "Rain" del 2008 con linkati alcuni tra i suoi brani migliori e la trascrizione/recupero ( rivisitare il passato non fa mai male!) di un articolo sempre del sottoscritto su "Beat Crazy", uno dei tre capolavori di Joe Jackson & Band risalente allo scoccare degli anni '80, uscito sulla mia fanzine cartacea Blacks Radio nel dicembre 1980/gennaio 1981 e naturalmente non rintracciabile in rete. "Beat Crazy", come leggerete, fu un fulgido esempio della meravigliosa fase di sincretismo musicale tra punk/mod-music e cultura giamaicana (ska, reggae, rocksteady)che coinvolse tra la fine dei '70 e l'inizio degli '80 artisti e bands inglesi come Clash, Specials, Madness e Selecter.
Se leggere non é la vostra occupazione preferita potete fare una puntatina anche su uno solo dei pezzi di questo bricolage storico/musicale: mi auguro che anche a distanza di trent'anni gli straordinari brani di Jackson vi esaltino ancora come esaltano me.
Rain (2008, Rykodisc)
A cinque anni di distanza da "Volume 4", suo ultimo doppio album in studio Joe Jackson, l’eclettico geniaccio del pop britannico (solo Elvis Costello é al suo livello!) ritorna con "Rain", un lavoro che riesce a centrare l’obiettivo non facile di fondere energia ed eleganza compositiva. Jackson conferma un ennesima volta uno stile inconfondibile affinato in trent’anni di esplorazione di aree espressive a volte molto distanti tra loro, dal punk alla classica, dal jazz alle colonne sonore. Molti i richiami in Invisibile Man, Good Bad Boy, Citizen Sane, King Pleasure Time ai suoi primi indimenticabili albums fine anni’70/inizi ‘80 trasudanti aggressività mod, ma non ci credereste, le chitarre
in "Rain" sono completamente assenti: a farla da padrone ed a tessere tutte le linee armoniche é il pianoforte dell’artista, strumento che già da tempo Jackson aveva mostrato di prediligere e nel quale si è perfezionato. In Solo (So Low) accompagna addirittura in perfetta solitudine la performance vocale di Joe priva di sbavature.
Complice uno combo straordinario comprendente il fedelissimo bassista Graham Maby, Jackson elargisce raffinate melodie simil Bacharach (Wasted Time) e continua nella sua affascinante ed ormai interminabile esplorazione dell’armonia e dell’arte pop.
Beat Crazy (Jan. 1980, A&M)
Joe Jackson é sempre stato artista istintivo, sincero, di quelli per cui i testi ed i ritmi devono essere specchio reale della vita, della quotidianità spicciola come dei grossi problemi esistenziali. Lo avverti nel suo stile vocale teso, inquieto, che vuole comunicarti gli stupori repentini e le amare disillusioni che colpiscono l'uomo in prima persona. Il nostro torna alla ribalta con un terzo microsolco, "Beat Crazy", preceduto da un e.p. live contenente il brano di Jimmy Cliff They Harder They Come.
Non si tratta certo di un episodio isolato nella produzione di Joe: sin dall'esordio fenomenale "Look Sharp!" molti brani contenevano forti coloriture reggae ed andamenti sincopati; l'artista stesso ha dichiarato più volte l'influenza che ska, reggae, rocksteady e tutta la musica giamaicana hanno avuto sulla sua formazione artistica.
"Beat Crazy" non smentisce queste prerogative, anzi le amplifica e sviscera sino in fondo: c'é addirittura un brano dedicato a Linton Kwesi Johnson, un poeta-musicista giamaicano residente a Londra, impegnatissimo nella lotta per la difesa dei giamaicani trapiantati nella capitale britannica. In Battleground adottando lo stile vocale-recitativo di Linton Joe accomuna 'black nigger' e 'white nigger' sul terreno della lotta, in nome di una fratellanza emotiva e sociale che affonda le radici in iniziative come Rock Against Racism. A fronte di bands come Police, che del reggae ha adottato solo le componenti ritmiche per la costruzione di un personale successo internazionale, tra gli artisti bianchi per fortuna c'é anche chi come Joe Jackson (e Clash), pur filtrando il genere con la sua sensibilità 'white nigger', non ne devitalizza l'aderenza più autentica di musica-ritmo-life problems-frustrations.
Anche In every dream home (a nightmare) e Beat Crazy presentano cadenze reggae accentuatissime: della prima segnaliamo l'interpretazione di Joe sofferta ed accorata, alle prese con un 'guy' afflitto da problemi esistenziali; nella seconda si alternano alle voci Jackson ed il fido bassista Graham Maby: i toni sono distesi e concitati, il risultato pulsante come un cuore tachicardico!
One to one é uno dei capolavori melodici dell'album: Joe ed il suo piano fanno miracoli: é il bisogno d'intimità con la sua donna ad ispirare il brano, perché 'one to one is real and you can't hide ...' e più in là 'you're beautiful when you get mad, or that's a sexist observation!', sottile ma significativa ironia.
In "Beat Crazy" Jackson approfondisce il suo rapporto con le tastiere e fa delle cose egregie: ascoltate Crime don't pay, costruito sul suo suo organo corrosivo che viene su lentamente, il piano che vi si aggiunge nel finale, tutto molto bello. L'album precedente "I'm a Man" (1979, A&M) rischiava di farne a detta della stampa soprattutto un musicista da hits radiofonici: l'orecchiabilità di On Your Radio, Geraldine & John, Different For Girls, fece pensare a molti che Joe stava diventano un 'animale' da classifica: brani maturi e complessi come Biology e Fit in questo terzo disco dovrebbero mettere a tacere anche i più perfidi detrattori. Songs costruite con maestria esemplare: le interprepretazioni di Joe sono in crescendo, appassionate ed angosciate, roba da brividi!
Ascoltare per credere Biology, tutta basata sul maledetto dualismo corpo-anima che ossessiona Jackson: ' Nothing to do with their hearts, with their heads, with their homes, with their beds ...it's just B-I-O-L-O-G-Y'. In Fit punta lo sguardo sull'omosessualità rimproverando il suo interlocutore, ma infondendo poi speranza 'Don't laugh, but there are people in this world, born as boys and fighting to be girls ...but don't cry, kid yourself you're fighting for life, kid yourself you fight for love'.
Someone up there pone l'interrogativo dell'esistenza di un essere supremo: 'Someone up there makes the sun and sea, brought my girl to me, makes the wind and rain...no messing with the hand of fate!'. Con Pretty Boys e The Evil Eye si torna all'artista mod nervoso che ci aveva sedotti con i due lavori precedenti, "Look Sharp" e "I'm A Man": straordinaria la coordinazione strumentale della band, così come in Battleground e Beat Crazy. Mad At You é il brano probabilmente più costruito in studio, con tutti quegli echi alla voce ed agli strumenti, forse un pò lungo nel finale, dove pare andar fuori di testa. Pregevole il delizioso solo di melodica di Jackson in Pretty Boys. La produzione dell'album é di Joe Jackson e come esordio merita trenta e lode, la copertina-cartoon simpaticissima da un'idea dello stesso artista. Nelle note interne di copertina si legge: 'Quest'album rappresenta un tentativo disperato di dare un senso al rock&roll', forse per questo nei solchi si avverte costantemente un senso di affanno e sottile angoscia?
Wally Boffoli
Iscriviti a:
Post (Atom)