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sabato 11 giugno 2011
STEELY DAN: “An Occasional American Dream” 1971 - 2011
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venerdì 10 giugno 2011
SPARITI I GRUPPI SU FACEBOOK DISTORSIONI VIDEO E MEETING POINT
per gli iscritti ai gruppi facebook distorsioni video e meeting point che non se li vedessero piu' comparire tra i propri: i gruppi non sono stati cancellati su iniziativa degli amministratori, sono spariti probabilmente per malfunzionamenti del sistema di facebook.
l'attivita' di distorsioni sul blog continua ovviamente, in attesa del ripristino dei gruppi medesimi per comunicazioni si possono lasciare commenti sui post del blog oppure via facebook tramite wally boffoli o claudio decastelli oppure tramite la mail distorsionibox@yahoo.it
WIGHT: “Wight Weedy Wight” (2011, Wightism@GMX.DE)
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All'ascolto del disco non potrete non pensare a nomi come Black Sabbath, Hawkwind, Sleep e Colour Haze. "Wight Weedy Wight" é un disco autoprodotto (almeno per ora difficile da reperire nei negozi), un fresco mix di doom, stoner rock e rock psichedelico, composto da sei tracce in gran parte strumentali che percorrono lo spazio come una meteora incandescente.
GIORGIO TUMA: “In the Morning We'll Meet” (2011, Elefant Records)
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giovedì 9 giugno 2011
FRANCO BOLELLI/LORENZO 'JOVANOTTI' CHERUBINI “VIVA TUTTO!” (2010 Add editore)
NADIE': "Questo giorno il prossimo anno" (2011, Seahorse Recording/Lunatik)
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JOSH T. PEARSON: “Last of the Country Gentlemen” (2011 Mute Records)
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mercoledì 8 giugno 2011
DROPKICK MURPHYS: “Going out in style” (2011, Cooking Vinyl)
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AFRICAN HEAD CHARGE: "Songs of praise" (1990, On-U Sound)
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COMMA: “Visionario” (2011, MK Records)
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THE GIFT: “Rebirth” (2011, Automatic Records/Protosound)
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martedì 7 giugno 2011
REFERENDUM 11 E 12 GIUGNO: UN SI' CONVINTO E RESPONSABILE PER OGNUNO DEI 4 QUESITI
DISTORSIONI: un magazine musicale? Certo, ma non solo: chi ci legge e frequenta un minimo assiduamente, se ne sarà accorto da tempo! Proprio oggi, ad esempio, a riprova della non ortodossia editoriale che ci caratterizza, abbiamo pubblicato un articolo sul Big Brother profetizzato da George Orwell più di mezzo secolo fa, cosa che i cosiddetti ‘professionisti’ della musica, i giornalisti col tesserino, definirebbero con molto imbarazzo un suicidio editoriale. Ma - l’abbiamo detto più volte - l’unica linea editoriale che DISTORSIONI riconosce è quella improntata a una scellerata, imprudente, spericolata, velleitaria, utopistica continuità con le istanze anarco-libertarie, psichedeliche, ribellistiche in cui da sempre la cultura del rock (e le sue filiazioni) si è identificata a partire dagli anni ’50, dalla beat generation sino ai giorni nostri. L’unica filosofia che Distorsioni abbraccia è quella riassunta in poche parole e con modalità seminale-psichedelica cinque decadi fa da Allen Ginsberg: “Dilatate la vostra coscienza!”. La dilatazione psichica estetico-individuale indotta dalla cultura rock costituisce da sempre per i suoi adepti l’anticamera-incubazione di una sensibilizzazione a tutte le tematiche sociali, vissuta a volte anche con risvolti drammatici. Diciamoci la verità senza stupide ipocrisie: i referendum per i quali ci apprestiamo a votare tra qualche giorno sono probabilmente l’unica VERA forma democratica e anti-autoritaria che noi, popolo o gente che dir si voglia, abbiamo a disposizione per esprimere il nostro SACROSANTO parere su temi di scottante attualità: e non li stiamo qui a elencare perché ormai li conoscete tutti bene. Ecco perché DISTORSIONI, dalla redazione allo staff a tutti i collaboratori, invita lettori, amici, fan, artisti, a esprimere un SI’ convinto e responsabile su tutti e quattro i quesiti referendari.
31 KNOTS: "Trump Harm" (2011, Polyvinyl, Goodfellas)
Potremmo definirlo l'ennesimo caleidoscopio post-punk rock questo ultimo lavoro a firma 31 Knots. Bisogna ammettere che il trio di Portland ce l' ha messa davvero tutta per condensare al meglio un background davvero vasto dal quale emerge con forza l'influenza tanto della prima wave inglese quanto quella del college-rock e del math-rock di matrice nordamericana. Un disco sicuramente onesto, nel quale 31 Knots hanno investito senza dubbio in impegno e passione, ma che non sembra destinato a lasciare un segno indelebile nella storia della musica indipendente. L'avere adottato (ormai da qualche anno) l'uso del campionatore e un approccio più post-prodotto durante le fasi di editing e missaggio non appare sufficiente a rendere "Trump Harm" un buon album, vuoi per la poca originalità per quel che riguarda l'aspetto melodico e la struttura delle canzoni, vuoi per una sezione ritmica a cui mancano spesso doti di incisività e vuoi ancora per un sound mai pienamente convincente.
VISIONI DAL FUTURO - GEORGE ORWELL: "1984", The Big Brother + Soundtracks
VISITA ILNUOVO SITO DI DISTORSIONI:
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Un quotidiano savonese di qualche giorno fa titolava testualmente un articolo di cronaca locale della zona in cui vivo: Il grande fratello sulle strade di Savona: telecamere in diversi punti della città. Avendo letto il giornale al bar, poco dopo lo abbandonavo su una sedia del dehor dove veniva fatto preda da un gruppo di ragazzi, due maschi e due femmine, che, seduti al tavolino accanto, cominciavano a sfogliarlo. Giunti alla pagina dell’articolo citato, lo stupore e l’incredulità di quei giovani diventavano maggiori del tasso zuccherino delle brioches e dei cappuccini che avevano davanti. Quei quattro non riuscivano a crederci: a Savona si sarebbero svolte le selezioni per partecipare al Grande Fratello.
lunedì 6 giugno 2011
BELONG: “Common Era” (2011, Kranky, Goodfellas)
I Belong, duo americano di New Orleans composto da Turk Dietrich e Michael Jones, presentano “Common Era” (2011, Kranky), a distanza di cinque anni dal precedente album di debutto “October Language” (2006). “Common Era” si presenta come un’affascinante sperimentazione pop che mescola assieme lo shoegaze più sognante con il post-punk più decadente, all’interno di un sottofondo radiante di elettronica drone e noise. A caratterizzare l’intero l’album è un canto lontano e irriconoscibile che cerca di emergere al di sopra di un rumore di fondo molto denso, ottenuto con una tessitura di synth e di chitarre, completamente nebulizzata e dilatata. Il risultato finale è un suono soffice come la neve, dilatato sino alla trasfigurazione, che diviene in molti casi invocazione, una sorta di litania dei tempi moderni, una forma di religiosità tipica delle epoche decadenti.
JOE LALLY: "Why Should I Get Used To It" (2011, Dischord Records)
Per chi ha vissuto l'epopea punk-hardcore nei tardi anni '80, il nome di Joe Lally è senz'altro noto e indissolubilmente legato ai grandi Fugazi, campioni di originalità e coerenza, al punto da dichiarare, nel 2002, invece di un definitivo scioglimento, una “pausa indefinita”. Essa è tuttora in atto, i componenti del gruppo si sono sparsi per il mondo (l'artista di cui ci occupiamo, infatti, vive a Roma, con la compagna e un erede) e continuano i propri percorsi personali. In particolare Joe Lally, nel periodo di “pausa”, ha prodotto tre album solisti. Questo, appena pubblicato dalla seminale Dischord, ha però una caratteristica peculiare: è il primo a non ospitare le collaborazioni di alcun membro del gruppo madre, essendo stato integralmente registrato a Roma, con due musicisti locali, la chitarrista Elisa Abela e il percussionista Emanuele Tomasi.
FILO Q: “Il Bordo del Buio” (2011, Micropop)
Filo Q, vero nome Filippo Quaglia, è un interessante cantautore genovese, per usare un termine caro alla migliore tradizione musicale italiana dei settanta, uno dei tanti del sottobosco indie: la Micropop in questo caso gli ha dato fiducia e lui si fa largo a gomitate tra decine di produzioni nostrane di questo decennio zero ed oltre. In questo lavoro registrato a Londra e prodotto da Giorgio Pona si avvale tra gli altri della collaborazione di validi strumentisti quali Max Morales al piano, vero fulcro nevralgico del disco oltre al rumorista Giorgio Pona e Pharoa Russell alle percussioni. Un primo ascolto denota immediatamente che il nostro ascolta ed ha ascoltato molto la vecchia gloriosa scuola cui accennavo sopra, lui è genovese come De Andrè e Fossati tanto per citarne due, senza peraltro avvicinarsi a quello stile: la voce infatti è debitrice del modo di cantare tipico di questi ultimi anni, sussurrata, lenta, non esattamente quella che si può definire originale o facilmente riconoscibile.
KRAUTROCK/KOSMISCHE MUSIK - KLAUS SCHULZE: “Blackdance” (1974, Virgin Record )
Qualcuno storcerà il naso. Prendere in esame un unico album di Klaus Schulze che non sia il pluriosannato "Irrlicht" (1972) o l’altrettanto premiato da pubblico e critica "Cyborg" dell’anno successivo, per molti potrebbe sfiorare il sacrilegio, ma poiché nel mio innato anticonformismo acquariano mi piacciono le sfide, la scelta è caduta su "Blackdance" album del 1974, scelta affatto casuale ma dettata da motivi ben precisi; il primo dei quali è che quell’apprezzato esordio del nostro corriere cosmico è una composizione per orchestra, mentre io ho preferito occuparmi dello Schulze solitario e impegnato dietro i suoi marchingegni e macchinari sonori, poi perché lo spirito che aleggia in questa danza oscura è quello della maturità e della “rivalità” coi Tangerine Dream (anche "Phaedra" di cui mi sono già occupato è del 1974), gruppo dal quale Schulze divenne un fuoriuscito dopo avervi militato, e poi perché in questo album c’è anche un po’ d’Italia che non fa mai male.
domenica 5 giugno 2011
ADAM AND THE ANTS: "Kings of the wild frontier" (1980, Epic)
Fra le tante truffe perpetrate da Mr. Malcolm McLaren una delle più famose riguardò quella ai danni di Stuart Leslie Goddard ovvero Adam Ant, all’indomani dell’ uscita di "Dirk Wears White Sox", l’ album di debutto della sua band. La sua band sono gli Ants, le formiche. McLaren è il formichiere. Matthew Ashman, Leigh Gorman e Dave Barbarossa vengono risucchiati in toto dalla tana di Adamo la Formica e costretti a formare una nuova band che sia la copia del gruppo madre, ma con una voce femminile a fare la differenza. Una voce e, soprattutto, un corpo. Perchè quello che il Sig. McLaren ha in mente è un gruppo porno-wave. Nascono così i Bow Wow Wow. E così nascono pure gli Adam and The Ants di "Kings of the wild frontier".
GANG OF FOUR: "Entertainment!" (1979), "Solid Gold" (1981)
Entertainment (1979)
Se associamo al dopo-punk inglese un termine quale "rigore formale", allora forse nessun' altra band al pari dei Gang Of Four è riuscita nell' intento di fondere il severo punto di vista accademico con la musica rock. I quattro di Leeds, provenienti dal dipartimento di Belle Arti dell' Università della città, elaborarono (è proprio il caso di dirlo) sul finire dei 70's una sorta di rock concettuale e freddo, ispirato tanto dall' essenzialità dei Dr. Feelgood, quanto da Stevie Wonder(!): schegge di funk chitarristico glaciale e nervoso, supportate da una sezione ritmica precisa e dal controllo quasi matematico. Il bassista Dave Allen, "costretto" dalla band a "limitarsi", suonando meno della metà del numero di note che sapeva suonare, ed il batterista Hugo Burnham con il suo meccanico incedere (loop di batteria ridotti all' osso, uso limitatissimo dei piatti) contribuiscono alla "costruzione" di un sound crudo e severo, lontano anni luce dalla tipica atmosfera rock.
SUBWAY SECT: "1978 Now" (1978-79) (2007, Overground)
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Non hanno il look adatto, nessuna posa, nè curati nè trasandati: troppo normali, perfino timidi e di certo mai sfrontati.
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