mercoledì 27 dicembre 2006

Sixties Culture/ MISTY LANE CONNECTION n°. 2 ; MISTY LANE Paper-Magazine n°. 20, by Pasquale Boffoli


Vi segnalo invece qui il n°.20 del magazine cartaceo in lingua inglese MISTY LANE curato da MASSIMO DEL POZZO, uscito di recente (la copertina é qui a sinistra) : 150 pagine fitte di articoli, interviste e monografie su Zombies, Bee Gees, Standells, Led Zeppelin, Prime Movers, Shocking Blue, Davie Allan. Mike Stuart Span etc....un lavoro immane; l'ennesimo capitolo di quella che si può considerare ormai una vera e propria enciclopedia/opera omnia su artisti e bands di tutto il globo terraqueo noti, meno noti, oscuri e criptici degli anni '60, decade beat-garage impagabile sviscerata in tutti i suoi multiformi aspetti musicali ed estetici.
In questo numero oltre il consueto imponente lavoro critico ed informativo di del Pozzo, contributi di colleghi stranieri importanti come Steve Elliott, Will Shade, Edwin Letcher e di appassionati free-lance garagers nostrani come Marcello Rizza, Michelangelo Mongiello, Checco, Antonio Olivieri e ... last but not least... anche di chi scrive, con una recensione del lavoro dei mod/garagers calabresi The Kartoons del 2005 Undelivered ed un'intervista al loro leader Francesco Ficco .
Inoltre in allegato alla rivista un cd davvero prezioso, il vol.3 di Today is just tomorrow's yesterday, 27 brani Sixties & Current Garage-Beat Sounds targati Misty Lane e Teen Sound.
Una vera leccornia per gli appassionati entrambi gli oggetti.
Unico piccolo (o meno piccolo...a seconda dei casi!) neo del magazine, che non ha nulla da invidiare a pubblicazioni estere del settore come Ugly Things etc... l'ostacolo della lingua e quindi il lavoro di volta in volta più o meno improbo per appropriarsi dei suoi decisamente ghiotti contenuti, ma Massimo del Pozzo giustamente non poteva fare altrimenti per essere presente su uno scenario critico specializzato internazionale.
Buona lettura ed ancora una volta : .... many thanks Max !!!

PASQUALE BOFFOLI

http://www.mistylane.it/
http://www.myspace.com/teensound
http://crea.html.it/sito/nowsound/

Sixties Culture / MISTY LANE CONNECTION n°.1 ; MISTY LANE RADIO SHOW by MASSIMO DEL POZZO



Se c’è in Italia un apostolo, o se preferite un vate della sixties/culture quello è sin dagli anni ‘80 MASSIMO DEL POZZO, amico ex-barese, ormai da tempo romano di adozione.
Musicista, giornalista, editor (il suo magazine cartaceo Misty Lane ormai è storico!), distributore di alcune tra le più importanti labels rock/garage internazionali (Low Impact, Voodoo Rhythm Rec…), produttore discografico ( Misty Lane Records e Teen Sound Records le sue due etichette) ha fatto della salvaguardia e della riproposizione in chiave moderna del patrimonio musicale e culturale degli anni ’60 la missione della sua vita, coadiuvato dalla sua compagna di vita Bethania Laushner.
Presto parleremo in questo sito di alcune sue recenti produzioni.
In questa sede vi segnalo un’altra sua importante recente iniziativa: uno show radiofonico naturalmente sui Sixties in onda sui 97.7 FM di RADIO CITTA’ FUTURA, ma è Massimo stesso a parlarcene e a darcene le coordinate :

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MISTY LANE RADIO SHOW Condotto da Massimo del Pozzo

In onda tutte le domeniche su RADIO CITTA'FUTURA
(97.7 FM oppure dal sito della radio)
oppure in streaming ogni giorno alle 10 e alle 18 su
RADIO MICCA CLUB http://www.miccaclub.com/intratt.html

2) Sulla sinistra della pagina vedete che c'è un'icona di radio, cliccateci sopra si apre una finestrella abbiate pazienza ci vuole un po' prima che carichi. È inoltre indispensabile avere sul pc il programma quick time se non lo avete andate su questo link e ve lo scaricate http://www.apple.com/quicktime/win.html; è gratis.
Altra condizione per ascoltare Misty Lane Radio Show è avere l'Adsl.
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Questi i contenuti della prima parte dello speciale U.K. andato in onda nello show radiofonico di Massimo del Pozzo illustrati dal conduttore con tutti i titoli dei brani/bands trasmessi in grassetto (enjoy !!!) :

Puntata dedicata al sound INGLESE, continuiamo la nostra ricerca a ritroso nel tempo con alcune band decisamente OSCURE, e per il piacere del nostro Franco chiuderemo con un brano italiano.
Il nostro viaggio nell' Inghilterra dei sixties non può che iniziare con un brano dei Beatles, rifatto però in chiave freakbeat dai grandi Score nel 1966 (anche se suona decisamente più tardo sixties) :
Please Please Me / The Score
La classica band inglese che ottenne un enorme successo in Italia, dove si trasferì per un po’ di anni. Qui con uno dei loro primi brani, fortemente in chiave Merseybeat :
She Asks of you / The Rokes
Beat inglese al 100% con i grandi Birds inglesi di Ron wood, ottimo combo di R&B bianco :
You're on my mind / The Birds
Un altro personaggio che farà parlare di se nella decade successiva, niente pocodimeno che Rod Stewart, qui con un classico blues apprezzato dai più nella versione classica degli Yardbirds:
Goodmorning little schoolgirl / Rod Stewart
Oscuro è davvero il termine più appropriato per la prossima band, provenienti da Belfast (Irlanda quindi), amici/rivali dei Them di Van Morrison dai quali vennero ovviamente oscurati...:
Call My name / The Wheels
Un salto nel mondo dei brani strumentali con un brano sorretto da un basso decisamente innovativo per i sixties :
Love You Too / The Sounds Nice
Puro Freakbeat con una delle band Inglesi che negli scorsi 10 anni è stata maggiormente rivalutata, gli ATTACK, tratto dal loro secondo singolo del 1967... il suono di Londra:
Anymore than I do / The Attack
Un brano che dedichiamo al nostro collaboratore oscuro Marco di Nicola, puro Mod Sound con il retro del loro unico hit #1, All or nothing:
Understanding / The Small Faces
Ancora Mod-Sound, ma decisamente una band sconosciuta con un solo singolo all’attivo :
Walking Walkin walking / The Favourite Sons
Uno dei brani freakbeat più gettonati nei raduni Mod, il brano è tratto dal loro primo singolo che uscì solo nel 1968 suonando però come una delle prime produzioni degli Who con echi Beatlesiani.. :
Father's name is dad / The Fire
Un salto in territori dal sapore psichedelico, per una band della Nuova Zelanda che incise su Decca e si trasferì in Inghilterra per un lungo periodo, ottimo freakbeat datato 1967:
Pink Dawn / The Human Instinct
Una nostra dedica se vogliamo alla vicina America, con uno dei brani di Boyce & Heart resi celebri dai Monkees (che gli inglesi definiscono bubblegum per amateurs) , qui in versione freakbeat :
I'm not Your steppin stone / The Flies
Ancora oscurità con i Nite People anche se la band ebbe un buon numero di singoli e addirittura un album verso la fine dei sixties... ecco la loro fantastica:
Love Love Love Love / The Nite People
Il prossimo è davvero uno dei miei brani preferiti ed infatti è divenuta una cover della mia band THE TRYPPS, la band del Lancashire con soli due singoli all’attivo:
Guess I Was Dreaming / The Fairytale


Ancora una cover strumentale scelta dai miei Trypps, questa volta ascoltiamo l’originale:
Disco 2 / The Salon band
Il prossimo brano segna quasi il passaggio a certo powerpop anticipando di qualche anno la creazione di questo termine che nel quale ritroviamo spesso brani dai forti accenti pop melodici con chitarre cristalline e accordi potenti, alla maniera dei migliori WHO:
Poor little heartbreaker / The Timebox
Finalmente una band conosciuta, gli immensi Pretty Things, con un brano dal loro album meno acclamato (per me il migliore che abbiano mai realizzato, Emotions, del 1967) , dal quale ascoltiamo:
Children / The Pretty Things
Ancora dall'anno di grazia 1967 una pietra miliare della psychedelia inglese :
Lucifer Sam / The Pink Floyd
Un salto in avanti e siamo nel 1969 (grande annata!) con un ottima Mod band nata dal freakbeat ed orientatasi presto su coordinate hard e pre-progressive, tratto dallo sfortunato (all’epoca) album Made in England:
Paper Man / The Bulldog Breed
In chiusura un piccolo omaggio alla Londra immaginaria di quegli anni ad opera di una band tutta italiana, i Marc Four del maestro ArmandoTrovajoli, brano che dedichiamo al nostro resident DJ Alessandro Casella: Piccadilly / The Marc 4 .

MASSIMO DEL POZZO mistylane@iol.it

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martedì 26 dicembre 2006

DEATHS ... / JAMES BROWN (May 3, 1933 --- Dec. 25, 2006)


' ...IT'S A MAN'S MAN'S MAN'S WORLD !'

Ero ancora con la mente al natale di quattro anni fa funestato dalla morte di Joe Strummer quando ieri, 25 Dicembre, mentre ero a tavola.. my brother Ciro mi telefona, ' ...non voglio rovinarti il pranzo ed il Natale..ma oggi é morto JAMES BROWN !'.
Semplici coincidenze queste feste quasi puntualmente segnate dalla perdita di GRANDI che abbiamo tanto amato ?
SEMPLICI COINCIDENZE !
Ma il sentimento che provo a queste notizie ormai é intriso di rassegnazione quanto di dolore !
Questo 2006 é stato poi particolarmente crudele : prima Syd Barrett, poi Arthur Lee, quindi Nikky Sudden per finire con il grandissimo JAMES ...
Non é importante quando tutti questi artisti hanno dato il meglio di sé, non é importante (mi si perdoni il paradosso!) quanto i loro dischi siano stati più o meno significativi per la musica del XX secolo; e non é neanche importante che non seguissi da tempo le sue vicende artistiche : se li ami, ogni volta uno di loro vola via porterà con sé un pezzettino del tuo cuore e della tua storia personale !
Ecco perché quando ho appreso la notizia le prime immagini affacciatesi alla mia memoria sono state le copertine di due 45 giri di James Brown, due piccoli 'cari' pezzi di vinile che tra il 1966 ed il 1967 il mio mai dimenticato mangiadischi color celeste (il primo supporto in assoluto grazie al quale ascoltar musica) ingoiava molto, molto spesso, insieme a quelli dei Troggs, Los Bravos, Spencer Davis Group, Stones, Beatles, Sandie Shaw, Lovin' Spoonful : IT'S MAN'S MAN'S MAN'S WORLD e COLD SWEAT.
Arduo quantificare le vibrazioni possenti penetrate nel mio dna, emanate da quella voce sensuale e tragica che urlava : '...nothing...without a woman to care ', ' ...he's lost in the wilderness..'.
Certo é, col senno di poi, che James in quel brano straordinario e dal feeling debordante, che a mio parere rimane uno dei più grandi della sua discografia e della storia del soul e del rock di tutti i tempi, disegnava tragicamente la vacuità dell'esistenza umana quando é priva di amore, di uno scoglio sicuro cui aggrapparsi.
Forse é per questo che di sbagli nella sua vita di artista ed uomo di colore ne ha fatti tanti ?
Se fosse qualcuno a farmi questa domanda risponderei : e chi é non commette sbagli nella sua vita, pagandone poi le conseguenze a livelli diversi ?
E poi la calda, vibrante COLD SWEAT, attorcigliata a strettissimi riffs fiatistici, colma di selvaggia, virile energia sessuale...urla minimali ed isteriche, il corpo che trionfa enfatizzando ed estremizzando quel concetto di fisicità che la cultura 'nera' ha sempre portato in seno.
Certo per molti, moltissimi, James Brown, o 'Mr. Dynamite', o 'the Godfather of soul' rimarrà sempre e solo quello di SEX MACHINE, PAPA'S GOT A BRAND NEW BAG e soprattutto quello di I GOT YOU ( I Feel Good), brano mortificato ed imbastardito da un milione di cover-versions di un milione di bands e vocalists scellerati disseminati sul pianeta terra .
Unico e solo brano '...I Feel Good ' con cui ormai l'ignaro ascoltatore e fruitore medio (per colpa di pubblicità, shows televisivi etc...e cioé a causa dei mass-media del cazzo ed inetti che ci opprimono quotidianamente) identificava l'artista.
Forse come al solito, solo con il suo trapasso a miglior vita é giunta l'ora di rendere giustizia alla vera arte del grande James ( ...un altro James, Chance/White ne sa qualcosa!)?
Ed allora signori, vogliamo iniziare proprio da quel brano che riusciva a galvanizzare soul e coglioni del sottoscritto... ed anche a farmi piangere, alla tenera età di 14 anni ?


This is a man's world /
This is a man's world /
But it would be nothing... Nothing without a woman to care /

You see man made the cars to take us over the world /
Man made the train to carry the heavy load /
Man made the electro lights to take us out of the dark /
Man made the bullet for the war like Noah made the ark /
Man thinks of our little baby girls and the baby boys /
Man make them happy 'cause man makes them toys /
And her man make everything, everything he can / You know that man makes money to buy from other man /

This is a man's world ...but it would be nothing.. nothing not one little thing...
Without a woman to care /
He's lost in the wilderness... He's lost in the bitterness He's lost, lost and ...

http://www.funky-stuff.com/jamesbrown/

PASQUALE BOFFOLI p.boffoli@tiscalinet.it

domenica 24 dicembre 2006

Collaborations / ANNIVERSARI ; THE BEATLES : REVOLVER ( Aug.5 1966) by Franco De Lauro

Anche in questo periodo di feste 2006 l'icona BEATLES fa parlare di sé per la pubblicazione del discusso LOVE, realizzato da George Martin. Ma l'argomento di questo articolo é un altro.
Era da tempo che avevo in mente di pubblicare un pezzo sul loro celeberrimo album REVOLVER , prima di tutto perché a mio modestissimo parere fu (é) sotto certi aspetti un'opera più innovativa dello stesso pluricelebrato Sergente Pepper, e poi, é lapalissiano, potevamo in occasione del quarantennale della sua pubblicazione far terminare il 2006 senza parlarne?
Per una serie di motivi ho finito col 'commissionare' il pezzo all'ineffabile Franco De Lauro, dopo aver constatato che l'aveva posto tra i suoi albums preferiti di sempre.
L'analisi che ne fa é molto personale e per certi versi inconsueta !
Vi raccomando vivamente di non lasciar trascorrere definitivamente il 2006 senza averlo riascoltato almeno una volta : dal 2007 in poi ripetete il rito ogni settimana, tra l'ennesima novità indie e l'ennesima band meteora....non vi farà certo male, anzi !
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REVOLVER ha compiuto quest’anno quarant’anni: fu pubblicato in Inghilterra il 5 agosto 1966, tre giorni dopo in America e questo è un buon motivo per parlarne, anche se si corre il rischio di dire cose trite e datate, trattandosi di uno degli album più noti e commentati nella storia della musica popolare.
The Beatles, nel 1966, erano già baronetti, per meriti artistici e commerciali.
Erano il complesso più famoso e acclamato, conosciuto nell’intero Pianeta, persino in Paesi dove la censura era più soffocante.
In quell’anno visitarono l’India.
Secondo la Storia comunemente accettata, da quel viaggio uscirono mutati e illuminati, nonché ispirati.
In realtà, l’unico fra i Beatles a subire una seria influenza dalla cultura indiana fu George Harrison ed anche lui ci mise un po’ prima di cominciare a comporre musiche e arrangiamenti orientaleggianti, cosa che, per fortuna, fece in maniera abbastanza parsimoniosa.
Io mi limiterei a dire che quel viaggio fece bene ai quattro di Liverpool.
Gli consentì di allargare la propria visuale, acquisire nuove sonorità e, soprattutto, di distaccarsi dal mondo musicale a sufficienza per poterlo guardare e interpretare meglio.
Si è detto, proprio riguardo a questo disco, che vi sono tracce di idee di altri musicisti, in particolare dei Byrds e dei Beach Boys. L’osservazione, se non proprio da contestare nelle radici, va precisata.
Il Beat, ormai, mostrava la corda.
Non si poteva continuare a proporre pezzi basati su pochi, semplici, giri di chitarra accompagnata da basso e batteria. La realtà era in evoluzione. Il nuovo, però, non era ancora ben definito.
I Beatles avevano, dalla loro, uno straordinario talento compositivo ma questo non basta a creare della musica di successo, soprattutto se si è al top e si vuole mantenere la posizione. La Storia racconta che i Fab dividevano la popolarità con i Rolling Stones, ma questa è pura fantasia.
Per universalità di consensi ed intensità di entusiasmo i Beatles erano in una posizione mai più assunta da nessuno.
Gli Stones, più che dei rivali, erano dei colleghi intenti a coltivare altre aree di vita musicale, direi quasi altri orari.
Quando gli impiegati timbravano il cartellino d’uscita e le sirene delle fabbriche liberavano la propria forza lavoro, quando le persone erano libere di prendersi cura di sé stesse, quello era il momento degli Stones, in un mondo ancora non snervato e virtualizzato dai media.
Gli Stones si rivolgevano alle viscere e alle passioni di un pubblico adulto, quando questo chiedeva qualcosa di forte, che alimentasse i flussi vitali.
I Beatles, che erano presenti anche in questi momenti, occupavano invece l’intera giornata, dalla colazione al lavoro e fino alla ninna nanna.
Erano amati dai ragazzi, ma anche dalle mamme e dai papà.
Degli Stones si è detto.
Degli altri, gli emergenti, nel 1966 dovevano ancora tutti mangiare pane duro prima di impensierire i Nostri.
Certo, c’erano i Beach Boys ma con Pet Sounds (pubblicato il 16 maggio 1966) avevano dato il canto del cigno.
E c’era Bob Dylan. Quello rappresentava un problema.
Il cantautore americano era impegnato, colto, ispirato e amato dagli intellettuali. Fin qui, poco male.
Il fatto, però, è che aveva pubblicato tre album molto pericolosi per la leadership dei Beatles, delle riuscite fusioni di folk e rock elettrico.
Mi riferisco a Bringing It All Back Home, Highway 61 Revisited ( 1965) ed al doppio vinile Blonde on blonde che precedette nel 1966 (fu pubblicato lo stesso giorno di Pet Sounds) di tre mesi circa la pubblicazione di Revolver.
Quel che è peggio, alcune sue canzoni erano entrate nel repertorio di tanti interpreti famosi.
La Bambina triste di Dylan non poteva vantare le centinaia di interpretazioni di Yesterday, però si sentiva molto e ovunque.
Dylan, inoltre, dava luogo a molteplici tentativi di imitazione e finanche plagio, il che era indice di carisma, oltre che di popolarità, a tutti i livelli, anche i più commerciali e leggeri.
Basti pensare a “Pietre”, la canzoncina portata da Antoine al Festival di Sanremo, la quale altro non era se non una versione scanzonata di “Rainy day women nos.12&35”.
Per i Beatles, Dylan era il problema.
Quel che seppero fare, al loro livello cioè al top, fu di valutare il nuovo, l’onda emergente, nel suo complesso, ponendosene a cavallo e facendosi portare.
Non orecchiarono gli altri, ma ascoltarono ed elaborarono le tendenze più interessanti, rifinendo, completando e finendo col precedere tutti.
Non c’è nulla di più foriero di successo che l’arrivare un attimo prima degli altri nel dire quel che tutti hanno sulla bocca.
Tecnicamente, se si può usare il termine, cosa fecero?
Si badi bene che è davvero appropriata l’osservazione di chi ha parlato di un album costruito a tavolino, cioè pianificato per uno scopo.
Questo atteggiamento accompagnerà il quartetto, in effetti, almeno fino all’esaurimento del periodo psichedelico ed in maniera molto evidente per l’orecchio allenato.
Non per niente Frank Zappa dedicherà ai Beatles uno dei suoi primi lavori meglio riusciti, la parodia di Sergent Pepper’s intitolata “We’re only in it for the money”.
Tornando ai Beatles: all’epoca di Revolver questi non avevano il tempo di aspettare che maturasse il pezzo capolavoro.
L’album in esame, infatti, non contiene nessun pezzo fra i primi dieci e, per quanto mi riguarda, neanche fra i primi venti nella produzione dei Fab. Contiene, però, quattordici ottimi brani, tutti arrangiati ed eseguiti al meglio e con l’uso appropriatissimo di nuove sonorità. Lennon & soci si diedero un tema.
Pensarono di fare dei bozzetti, dei quadretti situazionali nella tradizione britannica, con degli intermezzi.
I più giovani possono pensare al teatro di Mr. Bean, giusto per capire il concetto.
C’è l’uomo delle tasse (Taxman), quello che non riesce a trovare più amore negli occhi dell’amata (For no one) ed una allegra brigata di sommergibilisti (Yellow submarine).
Idee semplici, usate e svolte nei testi e nelle musiche in maniera, qualcuno direbbe, impressionistica, con l’oculato uso di suoni onomatopeici.
I Beatles avevano un pubblico mondiale e dovevano essere comprensibili anche da chi non conosceva la lingua inglese.
Ora, si potrebbe pensare che la bozzettistica di Revolver sia una forma disimpegnata di espressione musicale volta a fini commerciali. Niente è più lontano dalla verità di questo concetto.
Come aveva spiegato lo psicanalista Jung, l’arte di disegnare quadretti, situazioni e scenette affonda nell’esigenza di esprimere gli archetipi, che sono il fondamento della cultura umana.
In Inghilterra Jung non era e non è un personaggio della Cultura di cui parlano i dotti per darsi un atteggiamento.
Al contrario, il suo insegnamento è entrato nella cultura del popolo britannico, tanto da ispirare centinaia di artisti i quali tendono coscientemente al situazionismo.
Quella di Revolver, quindi, fu un’operazione di Alta Cultura, per lo scopo perseguito e per il risultato ottenuto.
In effetti Revolver risulta essere un capolavoro per la leggerezza e la naturalezza con la quale i quattro svolsero il compitino auto-assegnatosi.
Si pensi a Yellow Submarine.
Esistevano le ballate marinare ed i Beatles, ispirandosi ad esse, produssero un pezzo che è il modello ideale del genere.
Ci vorrà il miglior Neil Young, in evidente voglia di emulazione, per produrre un altro pezzo archetipico di simile livello.
Mi riferisco a Crippled Creek Ferry da After the gold rush, ma siamo nel 1971.
Tornando al 1966, la concorrenza, compreso Dylan, dovrà aspettare ancora parecchio per scalzarli, senza dimenticare di ringraziare la signora Lennon, la quale è sempre nei pensieri dei fan del marito.
E non nei migliori.