Joe Jackson é da sempre uno degli artisti inglesi da me preferiti: un vero genio musicale sbocciato in piena era punk (il suo primo album "Look Sharp!" risale al 1979, A&M) ma con presupposti e referenti mod, che ha saputo progredire attraverso una carriera lunga ormai più di 30 anni, dall'essenzialità anfetaminica dei primi tre albums alla rivisitazione di differenti scomparti dello scibile musicale.
Intelligente, curioso, sensibile, come dovrebbero essere tutti gli artisti, ma anche sottilmente polemico e sarcastico nei testi; cantante, pianista, raffinato compositore, non si é mai curato di ciò che i fans ed il suo pubblico si aspettavano dai suoi dischi, rischiando sempre in prima persona in esperimenti (non sempre riuscitissimi) con il jazz, musica classica, colonne sonore, cultura latina e circondandosi di ottimi musicisti come il bassista Graham Maby e la percussionista Sue Hadjopoulos. Dischi come "Look Sharp!", "I'm a Man", "Beat Crazy", "Night And Day", "Laughter And Lust" rappresentano quanto di meglio prodotto dal rock anglosassone dalla rivoluzione punk degli ultimi anni '70 in poi, e sfido chiunque a dimostrarmi il contrario!
L'ultimo ottimo disco in studio di Joe Jackson, "Rain", uscito per la Rykodisc, risale al 2008; del 2009 invece é "At the BBC" (Spectrum Music), delle Peel e Radio Sessions risalenti al periodo d'oro di Jackson, tra il 1979 ed il 1983, con brani tratti da Look Sharp!, I'm A Man e Night & Day registrate dal vivo in tre occasioni diverse nel 1980, 1982 e 1983: una vibrante, imperdibile testimonianza dell'energia e della poliedricità dell'artista e della sua formidabile band, colti al culmine della loro espressività.
Da allora poche notizie e vi confesso che mi manca molto un nuovo lavoro in studio di Joe: le ultime nel suo sito parlano di una partecipazione al progetto "Music" di Andrew Zuckerman, un libro e film-ricognizione nella creatività ed ispirazione di più di 50 eterogenei artisti contemporanei.
Ho pensato quindi di comporre su J.Jackson un pezzo, nell'attesa di novità discografiche, unendo capo e coda: la mia recensione di "Rain" del 2008 con linkati alcuni tra i suoi brani migliori e la trascrizione/recupero ( rivisitare il passato non fa mai male!) di un articolo sempre del sottoscritto su "Beat Crazy", uno dei tre capolavori di Joe Jackson & Band risalente allo scoccare degli anni '80, uscito sulla mia fanzine cartacea Blacks Radio nel dicembre 1980/gennaio 1981 e naturalmente non rintracciabile in rete. "Beat Crazy", come leggerete, fu un fulgido esempio della meravigliosa fase di sincretismo musicale tra punk/mod-music e cultura giamaicana (ska, reggae, rocksteady)che coinvolse tra la fine dei '70 e l'inizio degli '80 artisti e bands inglesi come Clash, Specials, Madness e Selecter.
Se leggere non é la vostra occupazione preferita potete fare una puntatina anche su uno solo dei pezzi di questo bricolage storico/musicale: mi auguro che anche a distanza di trent'anni gli straordinari brani di Jackson vi esaltino ancora come esaltano me.
Rain (2008, Rykodisc)
A cinque anni di distanza da "Volume 4", suo ultimo doppio album in studio Joe Jackson, l’eclettico geniaccio del pop britannico (solo Elvis Costello é al suo livello!) ritorna con "Rain", un lavoro che riesce a centrare l’obiettivo non facile di fondere energia ed eleganza compositiva. Jackson conferma un ennesima volta uno stile inconfondibile affinato in trent’anni di esplorazione di aree espressive a volte molto distanti tra loro, dal punk alla classica, dal jazz alle colonne sonore. Molti i richiami in Invisibile Man, Good Bad Boy, Citizen Sane, King Pleasure Time ai suoi primi indimenticabili albums fine anni’70/inizi ‘80 trasudanti aggressività mod, ma non ci credereste, le chitarre
in "Rain" sono completamente assenti: a farla da padrone ed a tessere tutte le linee armoniche é il pianoforte dell’artista, strumento che già da tempo Jackson aveva mostrato di prediligere e nel quale si è perfezionato. In Solo (So Low) accompagna addirittura in perfetta solitudine la performance vocale di Joe priva di sbavature.
Complice uno combo straordinario comprendente il fedelissimo bassista Graham Maby, Jackson elargisce raffinate melodie simil Bacharach (Wasted Time) e continua nella sua affascinante ed ormai interminabile esplorazione dell’armonia e dell’arte pop.
Beat Crazy (Jan. 1980, A&M)
Joe Jackson é sempre stato artista istintivo, sincero, di quelli per cui i testi ed i ritmi devono essere specchio reale della vita, della quotidianità spicciola come dei grossi problemi esistenziali. Lo avverti nel suo stile vocale teso, inquieto, che vuole comunicarti gli stupori repentini e le amare disillusioni che colpiscono l'uomo in prima persona. Il nostro torna alla ribalta con un terzo microsolco, "Beat Crazy", preceduto da un e.p. live contenente il brano di Jimmy Cliff They Harder They Come.
Non si tratta certo di un episodio isolato nella produzione di Joe: sin dall'esordio fenomenale "Look Sharp!" molti brani contenevano forti coloriture reggae ed andamenti sincopati; l'artista stesso ha dichiarato più volte l'influenza che ska, reggae, rocksteady e tutta la musica giamaicana hanno avuto sulla sua formazione artistica.
"Beat Crazy" non smentisce queste prerogative, anzi le amplifica e sviscera sino in fondo: c'é addirittura un brano dedicato a Linton Kwesi Johnson, un poeta-musicista giamaicano residente a Londra, impegnatissimo nella lotta per la difesa dei giamaicani trapiantati nella capitale britannica. In Battleground adottando lo stile vocale-recitativo di Linton Joe accomuna 'black nigger' e 'white nigger' sul terreno della lotta, in nome di una fratellanza emotiva e sociale che affonda le radici in iniziative come Rock Against Racism. A fronte di bands come Police, che del reggae ha adottato solo le componenti ritmiche per la costruzione di un personale successo internazionale, tra gli artisti bianchi per fortuna c'é anche chi come Joe Jackson (e Clash), pur filtrando il genere con la sua sensibilità 'white nigger', non ne devitalizza l'aderenza più autentica di musica-ritmo-life problems-frustrations.
Anche In every dream home (a nightmare) e Beat Crazy presentano cadenze reggae accentuatissime: della prima segnaliamo l'interpretazione di Joe sofferta ed accorata, alle prese con un 'guy' afflitto da problemi esistenziali; nella seconda si alternano alle voci Jackson ed il fido bassista Graham Maby: i toni sono distesi e concitati, il risultato pulsante come un cuore tachicardico!
One to one é uno dei capolavori melodici dell'album: Joe ed il suo piano fanno miracoli: é il bisogno d'intimità con la sua donna ad ispirare il brano, perché 'one to one is real and you can't hide ...' e più in là 'you're beautiful when you get mad, or that's a sexist observation!', sottile ma significativa ironia.
In "Beat Crazy" Jackson approfondisce il suo rapporto con le tastiere e fa delle cose egregie: ascoltate Crime don't pay, costruito sul suo suo organo corrosivo che viene su lentamente, il piano che vi si aggiunge nel finale, tutto molto bello. L'album precedente "I'm a Man" (1979, A&M) rischiava di farne a detta della stampa soprattutto un musicista da hits radiofonici: l'orecchiabilità di On Your Radio, Geraldine & John, Different For Girls, fece pensare a molti che Joe stava diventano un 'animale' da classifica: brani maturi e complessi come Biology e Fit in questo terzo disco dovrebbero mettere a tacere anche i più perfidi detrattori. Songs costruite con maestria esemplare: le interprepretazioni di Joe sono in crescendo, appassionate ed angosciate, roba da brividi!
Ascoltare per credere Biology, tutta basata sul maledetto dualismo corpo-anima che ossessiona Jackson: ' Nothing to do with their hearts, with their heads, with their homes, with their beds ...it's just B-I-O-L-O-G-Y'. In Fit punta lo sguardo sull'omosessualità rimproverando il suo interlocutore, ma infondendo poi speranza 'Don't laugh, but there are people in this world, born as boys and fighting to be girls ...but don't cry, kid yourself you're fighting for life, kid yourself you fight for love'.
Someone up there pone l'interrogativo dell'esistenza di un essere supremo: 'Someone up there makes the sun and sea, brought my girl to me, makes the wind and rain...no messing with the hand of fate!'. Con Pretty Boys e The Evil Eye si torna all'artista mod nervoso che ci aveva sedotti con i due lavori precedenti, "Look Sharp" e "I'm A Man": straordinaria la coordinazione strumentale della band, così come in Battleground e Beat Crazy. Mad At You é il brano probabilmente più costruito in studio, con tutti quegli echi alla voce ed agli strumenti, forse un pò lungo nel finale, dove pare andar fuori di testa. Pregevole il delizioso solo di melodica di Jackson in Pretty Boys. La produzione dell'album é di Joe Jackson e come esordio merita trenta e lode, la copertina-cartoon simpaticissima da un'idea dello stesso artista. Nelle note interne di copertina si legge: 'Quest'album rappresenta un tentativo disperato di dare un senso al rock&roll', forse per questo nei solchi si avverte costantemente un senso di affanno e sottile angoscia?
Wally Boffoli
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