martedì 23 agosto 2011

YES: “Fly from here” (2011, Frontiers Records/Avalon)

# Consigliato da DISTORSIONI

Attenzione: qui si parla di progressive rock; i detrattori del genere sono pregati di astenersi dal leggere la recensione e soprattutto di tapparsi le orecchie se note di questo album vagheranno nell’aire minacciandoli anche di un piccolo ascolto casuale. Per gli altri no, per gli amanti del genere qui si parla di prog della più bell’acqua e della miglior specie anche se ... Beh, io sono uno di quelli per cui i Genesis finiscono (non subito, ma poco dopo) con la fuoriuscita di Peter Gabriel; essendo poi un romantico non ho
mai apprezzato quelle operazioni che vedono la PFM ridotta in tre che si esibisce con turnisti sicuramente bravi, ma comunque solo onesti comprimari, così come fanno il Banco e mille altri gruppi con le degenerazioni, per restare in Italia, che attualmente vedono due Biglietti per l’inferno contrastarsi a suon di concerti e di avvocati e due Orme che vivono la stessa situazione, cosa capitata anche ai New Trolls e agli stessi Yes del periodo diasporico di “Union“ album che a dispetto del nome vedeva praticamente due band con lo stesso nome e con il solo Jon Anderson elemento in comune.

Quindi, questa versione Yes rattoppata con i redivi Trevor Horn, Geoffrey Downes, un Wakeman solo figlio di cotanto padre e l’oscuro cantante di una tribute band al posto di un basilare Anderson mi puzzava parecchio di marketing e di vecchiume, e mi sono accostato al disco con un discreto pregiudizio. Ora non voglio dire di aver avuto una rivelazione di proporzioni bibliche, ma il pregiudizio si è comunque ridimensionato e come si suol dire, la verità probabilmente sta nel mezzo di pregi e di difetti.
A dieci anni esatti dal mediocre "Magnification" questo nuovo album è diviso idealmente nelle due vecchie facciate degli ellepì dei quali ha anche la durata di soli quarantasette minuti: la prima parte è una classicissima suite divisa in sei movimenti dei quali, dopo la breve Ouverture, il brano seguente We can fly a confermare il titolo vola veramente altissimo in una perfetta “Yes dimenscion” che non fa rimpiangere i momenti più belli del glorioso passato del gruppo. Il basso di Chris Squire è una macchina da guerra macinante e squassante come non si sentiva da tempo, lo sarà per tutto l’album e basterebbe solo questo magnifico sentire per dare, se non altro, la sufficienza al disco.
La suite procede tra momenti più acustici e altri più tosti fino al brano Madman at the screens dove, ne sono certo, mentre registravano il pezzo le luci dello studio che colpivano gli Yes proiettavano sul muro le ombre fumose e inconsapevoli dei Gentle Giant e mi sento di dire che la voce di Benoit David quando canta in solitaria pur simile a quella di Jon Anderson non è poi del tutto clonata come si racconta in giro (punto a suo favore), mentre è invece nei frequenti cori che salta fuori, come il pupazzo a molla dalla scatola, il fantasma di Jon Anderson come nella stupenda We can fly reprise che termina con una certa ridondanza la ventina di minuti della piacevolissima suite: se finora si era sentita la mancanza del protagonismo di Steve Howe, quest’ultimo si ritaglia un bello spazio in The man you always wanted mi to be, ottimamente cantata da Chris Squire, dove si esibisce nei suoi tipici assoli birichini e sottili che viaggiano, come suo solito, sulle note più acute del manico della chitarra per poi riproporsi successivamente in completa solitudine nell’acustica Solitaire che, pur facendo il verso alla sua antica e classicissima Mood for a day, è bella prova di chitarra classica suonata con estrema classe. Downes alle tastiere fa la parte del leone anche se ritroviamo Oliver Wakeman in un brano dal quale però non si capisce se oltre a non avere le enormi orecchie a sventola del padre possa averne o no anche le dita, e lo stesso Trevor Horn che produce l’album si ritaglia oltre a coreggiare (non è una parolaccia) qualche spazio tastieristico mentre la batteria di Alan White registrata inspiegabilmente “sotto”, unica pecca di una produzione magistrale, è assolutamente anonima e non brilla per evidenza e personalità.
Se tra i difetti vogliamo metterci che se nessun brano è assolutamente memorabile e potrebbe stare alla pari con i vecchi classici - però, We can fly e la sua gemella diversa ci vanno molto vicino, per poi farci scoprire che l’ottimo brano è un fondo di magazzino che non trovò posto su "Drama" e allora tutto si spiega - è anche vero che pur trattando un genere musicale il cui nome è divenuto sinonimo di ridondanza e dinosauricità, da questo album trasuda una certa freschezza e una brillantezza di suono lieve e leggera che si fa ascoltare con grande piacere. Oltre al CD normale l’album è stato pubblicato in una seconda veste con allegato un DVD che documenta la realizzazione del disco e il videoclip del brano che ho già definito il migliore: a questo punto se fossi un recensore banale concluderei scrivendo che con questo album gli Yes hanno nuovamente spiccato il volo ma invece non lo scrivo.
Maurizio Pupi Bracali

Gli Yes saranno in Italia a novembre 2011 per due appuntamenti: il 24 novembre al Teatro Smeraldo di Milano e il 25 novembre al Palasport Chiarbola di Trieste.

Yes










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