venerdì 26 agosto 2011

QUINTRON: "Sucre du savage" (2011, Goner)

# Consigliato da DISTORSIONI

Quintron sembra uscito da un film di science fiction anni ’50. Immaginate dei visitatori dall’outer space che scelgono come punto di approdo una bettola qualsiasi di New Orleans. Anzi, in questo caso un posto ben preciso, lo Spellcaster Lodge, club di cui lui stesso è titolare e che utilizza come base operativa e in cui si esibisce. Accompagnato dalla inseparabile Miss
Pussycat, figura fiabesca a tratti goffamente esasperata, che contribuisce con coretti e maracas a dare un tocco esotico al tutto.
Chi è già abituato a gironzolare per gli angusti e sporchi bassifondi del punk blues in bassa fedeltà ricorderà il suo nome accompagnare quel pezzo di gran classe che gli Oblivians intitolarono proprio "Play 9 songs with Mr. Quintron". E’ da tredici anni che l’alieno retrò continua a orbitare nella nostra esosfera, lanciando di tanto in tanto i suoi ultimatum alla terra; tredici con quest’ultimo, a compilare il suo diario di bordo. L’universo parallelo di Quintron oltre che essere caratterizzato dagli inconfondibili grooves di organo Hammond, e synth della prima epoca, si avvale di congegni di propria invenzione, come la Drum Buddy, una rudimentale drum machine ricavata da un rullo rotante intorno ad una lampadina, che comportandosi come una scheda forata, a mo’ di un computer primordiale, invia porzioni varianti di luce e intermittenti a una fotocellula che una volta captati trasforma in loop sonori.
Nei suoi album precedenti abbondavano le lunghe e ripetute divagazioni sperimentali con un’attenzione rivolta maggiormente alle sonorità che Quintron inserisce in strutture free-form con la meticolosità di un alchimista, alternate a pezzi più immediati e commestibili. Anche in questo caso non si sottrae alla consueta prassi, questa volta la doppia natura del repertorio è stata “saggiamente” divisa in due parti. La prima ci introduce a questo nuovo "Sucre du savage" con un’euforica atmosfera da club in festa. Uno humour sense come poteva essere quello dei Devo, o dei B52’s, ma con i piedi impantanati nelle paludi del Sud, dove nel suo processo di “umanizzazione” si concretizzano delle songs divertenti e interessanti. Ring the Alarm sembra i Sigue Sigue Sputnik analogici e scalda l’ambiente per proseguire con le “waveggianti” Face Down in the Gutter e New Years Night o la stessa title track, sicuramente capaci di infervorare la folla.
Ma come dicevamo non manca lo spazio per escursioni dalle soluzioni più sperimentali, che mettono in risalto l’estro di questo personaggio poliedrico. Come nella parentesi quasi mistica di Bells con le campane tibetane, o Train Ride episodio che pare ispirato dalla musique concrete, o Deer in the Clouds dalle sonorità ambient. Assolutamente imperdibile la prima parte su disco, per la seconda rimanderei ad una dimensione live.
Federico Porta

Goner Records





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