Willy DeVille e' carismatico solo a guardarlo, con i suoi tatuaggi, la lunga chioma mohicana, lo sguardo spento ma allusivo di chi ha attraversato mille tunnel riuscendo a sopravvivere.
Willy dopo nefaste dipendenze ora beve solo vino (ma sara' vero?), anche durante i suoi concerti.
Willy dopo nefaste dipendenze ora beve solo vino (ma sara' vero?), anche durante i suoi concerti.
Merito della sua compagna.
Il diavolo? Certo, questo chicano l'ha conosciuto e ne ha scritto nei suoi mille connotati; sin da quando, fine anni '70, sciupava la giovinezza nel Bronx newyorkese, e cantava con i suoi Mink D.V. sulle assi del CBGB's di ragazze e cadillac. Poi, nelle decadi successive, cuore ed ispirazione romanticamente/perennemente aggrappati alle ballate fifhties di Ben E King e Pomus/Shuman: amore in languida salsa portoricana, bari, coltelli a serramanico, liquori, vampiri e voodoo, sino all'innamoramento fatale per New Orleans.
Ma l'allievo supera il maestro se e' vero che uno dei brani di Pistola s'intitola '...sto per fare qualcosa che il diavolo non ha mai fatto'. Di certo negli ultimi trent'anni ci ha familiarizzato, come Robert Johnson, come i vecchi bluesman del delta del Mississipi che ai crossroads gli vendevano l'anima in cambio dello shining per suonare la chitarra e cantare.
Te ne accorgi a secondo, terzo ascolto, fatalmente: in I'm gonna do something the devil never did Willy canta il blues con fare reiterato e minaccioso, come una reincarnazione di John Lee Hooker. Ed e' ancora blues virato gospel in You gotta the world in your hands, profondo, insidioso, muddy come solo DeVille ha saputo fare nei suoi ultimi dischi; in modo diverso ma non inferiore all'impareggiabile Tom Waits.
Le sorprese vere di Pistola sono nel finale, due brani dove Willy sfodera un parlato-recitato che lascia senza fiato: The stars that speak, spagnoleggiante e con i violini vero wall of sound spectoriano: '...c'e' un parco da qualche parte a New York dove gli artisti possono ascoltare le stelle parlare' . Romantico, visionario!
E The mountains of Manhattan, solo ipnotiche percussioni e bamboo-flute, una danza indiana che disegna una metropoli ancestrale, il sangue 'nativo' che scorre nelle vene di DeVille che si risveglia.
Per il resto un magnifico eclettico Willy DeVille che rivendica il suo inconfondibile dna: dal rock&roll strascicato di So so real (una Savoir faire addomesticata) ad I remember the first time, ennesima rielaborazione della classica Stand by me, dalla delicata ballata folkeggiante When i get home all'unica cover di Pistola, la nashvilliana incantevole Louise, cartina al tornasole dell'amore di Willy per il country.
Commosso l'omaggio dell'artista ('... so i lost New Orleans') ad una citta' amatissima e ferita nel profondo, la funeral-march fiatistica The band played on.
Solo Been there done that, un r&b non molto originale, non riesce a sostenere il livello eccellente del resto del disco, una Pistola che ci lascia stesi sul pavimento vittime compiaciute.
http://www.willydevillemusic.com/
PASQUALE ‘ Wally ‘ BOFFOLI
Ma l'allievo supera il maestro se e' vero che uno dei brani di Pistola s'intitola '...sto per fare qualcosa che il diavolo non ha mai fatto'. Di certo negli ultimi trent'anni ci ha familiarizzato, come Robert Johnson, come i vecchi bluesman del delta del Mississipi che ai crossroads gli vendevano l'anima in cambio dello shining per suonare la chitarra e cantare.
Te ne accorgi a secondo, terzo ascolto, fatalmente: in I'm gonna do something the devil never did Willy canta il blues con fare reiterato e minaccioso, come una reincarnazione di John Lee Hooker. Ed e' ancora blues virato gospel in You gotta the world in your hands, profondo, insidioso, muddy come solo DeVille ha saputo fare nei suoi ultimi dischi; in modo diverso ma non inferiore all'impareggiabile Tom Waits.
Le sorprese vere di Pistola sono nel finale, due brani dove Willy sfodera un parlato-recitato che lascia senza fiato: The stars that speak, spagnoleggiante e con i violini vero wall of sound spectoriano: '...c'e' un parco da qualche parte a New York dove gli artisti possono ascoltare le stelle parlare' . Romantico, visionario!
E The mountains of Manhattan, solo ipnotiche percussioni e bamboo-flute, una danza indiana che disegna una metropoli ancestrale, il sangue 'nativo' che scorre nelle vene di DeVille che si risveglia.
Per il resto un magnifico eclettico Willy DeVille che rivendica il suo inconfondibile dna: dal rock&roll strascicato di So so real (una Savoir faire addomesticata) ad I remember the first time, ennesima rielaborazione della classica Stand by me, dalla delicata ballata folkeggiante When i get home all'unica cover di Pistola, la nashvilliana incantevole Louise, cartina al tornasole dell'amore di Willy per il country.
Commosso l'omaggio dell'artista ('... so i lost New Orleans') ad una citta' amatissima e ferita nel profondo, la funeral-march fiatistica The band played on.
Solo Been there done that, un r&b non molto originale, non riesce a sostenere il livello eccellente del resto del disco, una Pistola che ci lascia stesi sul pavimento vittime compiaciute.
http://www.willydevillemusic.com/
PASQUALE ‘ Wally ‘ BOFFOLI
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