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Guardo la copertina e penso a Burzum: la cosa già mi garba. Poi leggo che il trio femminile nipponico si è ridotto a soli due elementi, la chitarrista Mika se ne è andata e sono rimaste Vivian (basso e sax) e Risa (batteria). Penso subito che l' attitudine è fondamentale, che la lezione numero uno del punk è proprio questa: si fa con quello che si ha, senza lamentarsi, ci si rimbocca le maniche e via.
Quindi passo all' ascolto e rimango letteralmente stordito dalla forza dirompente del duo: black metal (di nuovo Burzum, ma le prime cose), punk/black crust (Celtic Frost, Amebix), passaggi slow pesanti
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che personalmente mi rimandano a Swans e Sleep, riff mandati in loop ossessivo (drone), terrorismo sonico tenuto sotto controllo, sound cupo e nerissimo. La voce alterna fasi isteriche a momenti maniacali, in bilico fra ansia distruttiva e frustrazione, come in
Sober, un brano con linee di basso che mi portano dritto dritto al paranoico nichilismo dei Flipper. Una "sporcizia sonica" di fondo che non sottrae nulla alle composizioni, ma che rende molto bene l' idea di urgenza (di nuovo il punk), la necessità quasi fisica di correrci incontro a questa "Fine", spossati dalla dolorosa lentezza che il Tempo impone. Death metal scarnificato, minimale, doloroso. L' apice dell' album, forse, lo tocchiamo con i 10 minuti e passa della traccia conclusiva
108=7/T-NA con il sax che Vivian tenta di suonare come una chitarra dissonante e impazzita, mentre il tappeto sonoro fonde insieme il dark/gothic inglese con le visioni cimiteriali e catastrofiche del death più riuscito. Disco duro e difficile, per tempi duri e difficili.
Andrea Fornasari
Peaceville Records
2 commenti:
Accetto l'invito all'ascolto
Anonimo, grazie per aver raccolto l'invito: vi dovete sempre firmare nei commenti, almeno con un nome, nome e cognome ancora meglio, per favorire uno scambio di opinioni, grazie (wally boffoli, l'Amministratore)
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