a favore della loro reputazione e che, anche se non certo sotto il profilo musicale, poteva far pensare a dei novelli Beastie Boys almeno nel modo di porsi. E proprio come i Beastie Boys i nostri capiscono che a un certo punto arriva il momento di dimostrare che scherzi a parte, quando vogliono sono in grado di fare sul serio, anche perchè le capacità non mancano di certo.
Produzione illustre affidata a Mark Ronson (che già aveva lavorato con Christina Aguilera, Duran Duran, Robbie Williams, Amy Winehouse, Maroon 5) e che pur vantando una competenza decisamente “da classifica”, fuori dai canoni del gruppo, non contrasta più di tanto con la natura freak del loro sound che facendosi più pop, resta apprezzabile nel suo proporsi “attualmente vintage”. Le carte in regola per aspettarsi qualcosa di grande ci sono tutte, eppure il risultato non convince e come già accennato non è tanto da imputare alla scelta di produzione, quanto semmai ad una certa scontatezza che pervade quasi l’intero album. Un totale di 16 tracce, che rimestano nel grande pentolone storico musicale e non mancano di omaggiare, più o meno direttamente, i vari riferimenti ai quali il gruppo si è sempre rivolto, ma che ora diventano canzonette pop punk tanto immediate quanto prevedibili; sorvoliamo su Modern Art che sembra addirittura rubata agli Hives, in Raw Meat ci ricordano il bubblegum di “Leave Home” dei Ramones, così come è facile ritrovare gli altri fratellini, i Wilson, tra le linee di Bone Marrow, i Rolling Stones di Dead Flowers in Dumpster Dive e il consueto ammiccamento garage sixties questa volta riservato a Noc-a-Homa e Mad Dog. Le vette dell’album lo riscattano a malapena nella introduttiva Family Tree ornata di sax, in The Lie alla quale si può anche perdonare una stretta somiglianza con i Violent Femmes, e dulcis in fundo la conclusiva You Keep On Running, un blues contorto che li imparenta ad altri Lips, più “flaming” che “black”.
Se nei precedenti episodi si erano distinti per la loro capacità di dissacrare gli stilemi del rock con una personale interpretazione ubriaca, oscena e sconcia, questo nuovo approdo, decisamente più sobrio, al massimo odora di Red Bull e vodka alla festa per il 18°compleanno. La sensazione è quella di scoprire che i vecchi compagni di sbornie, una volta smaltiti i postumi non siano poi così divertenti come la sera prima. Sicuramente un album fresco e frizzante, adatto per accompagnarvi nelle vostre vacanze on the road, o se preferite sotto l’ombrellone, ma un’occasione mancata per quello che si preannunciava come il loro “White Album”-
Federico Porta
Vice Records
Dumpster Dive
The Lie
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