mercoledì 2 novembre 2011

SUN ARAW: "Ancient Romans" (release date: 23 agosto 2011, Drag City)

La prima volta che sentii parlare dei Sun Araw è stato quando li ho visti dal vivo, sono bastati pochi minuti per rendermi conto che quello che avevo davanti era un gruppo di impressionante sostanza e talento. Ero a Milano, lo show era organizzato dai ragazzi di Hundebiss Records, gli avevano appena requisito il semi interrato e i Sun Araw si esibirono nel piano inferiore di un locale milanese. I Sun Araw sono uno di quei gruppi da “prendere o lasciare”,
o ti innamori al primo ascolto o è meglio che lasci perdere, la loro produzione è molto varia, alcuni dischi sembrano una deriva psycho-drone dei Jesus & Mary Chain, soprattutto l’attitudine è assolutamente assimilabile ai loro cugini inglesi. "Ancient Romans" è una consacrazione, esce per un etichetta importante come Drag City e questo secondo me rappresenta il loro approdo naturale. Il disco (che è un doppio lp) è composto da otto lunghi brani per lo più strumentali, si fa larghissimo uso di organi e di synth, l’aria che si respira è pregna di suoni vintage rielaborati, rivisitati e ri/proposti in salsa “tropical noise”. Lucretius ci introduce in un' atmosfera percorsa da arpeggi e deflagrazione di rumore analogico mentre sullo sfondo un vecchio Hammond suona un interminabile ed ipnotico assolo. Il pezzo successivo è un rock’n’roll alieno e alienante, una chitarra degna dello Snakefinger più ispirato, si inserisce fra un tappeto di suoni spaziali mentre in lontananza si ha l’impressione di riconoscere Elvis Presley cantare a cavallo di un buco nero.

Il suono del Casiotone è perfettamente riconoscibile in Lute and Lyre, una ballata alla Six Organs Of Admittance, la voce perennemente in delay ci accompagna per mano in questo fantastico brano, una marcia psichedelica verso giungle di suono e di colori. Nell’ultimo lato del disco sono le percussioni a farla da padrone, come in Trireme , dove un ritmo cupo e tribale è immerso in un mare acido e distorsioni, il pezzo sembra opera di un Martin Denny in bad trip durante una cerimonia di iniziazione sciamanica. Questo disco è una sorta di ottomila leghe sotto la carcassa del Voyager, un viaggio all’interno di un synth analogico, apparentemente senza rotta ma trasportato da una corrente eccezionale. L’ultima traccia Impluvium è una danza robotica stile DFA Records, la traccia vocale sembra essere opera di un Iggy Pop in camicia hawaiana ed occhiali scuri che si dimena su una spiaggia californiana fra Mojito e Capirinha; uno scenario sicuramente delirante, come delirante è la musica di questa favolosa creatura di Cameron Stallones. Questo disco pare scolpito nel marmo del Colosseo, è decadente ed imponente, simbolo del declino di una grande civiltà e di una grande stagione, quella della new wave, definitivamente morta e sepolta, ma i Sun Araw non sono certo vermi che strisciano sui cadaveri, no, sono molto avanti, fanno parte della nuova e ricca vegetazione che si staglia sull’orizzonte del suono contemporaneo, sono quella palma lì, riuscite a vederla anche voi?
Nick Zurlo

Drag City/Sun Araw


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