martedì 2 agosto 2011

MOVIES: “Post mortem” di Pablo Larrain (2010, Cile, Messico, durata: 1h. 30')

Cile, 1973. Mario è un uomo solo, che per lavoro compila verbali delle autopsie. Si innamora della ballerina Nancy, ma nello stesso momento la situazione del paese precipita, e il colpo di stato che porterà Pinochet al potere riempie l’ospedale di cadaveri.(cinefile.biz)
La donna, che ospita nel proprio appartamento, senza interessarsene, riunioni politiche, ha già un amante, un giovane attivista del partito comunista.

Una mattina la casa della donna viene devastata dalla polizia. Mario se ne accorge troppo tardi. E' l'11 settembre 1973, il giorno della presa del palazzo presidenziale e del colpo di stato di Pinochet. Richiamato al lavoro, dovrà seguire proprio l'autopsia di Allende, quella che tenta di accreditare la tesi ufficiale del suicidio. Più tardi, scopre che Nancy è ancora viva, nascosta in un vano in giardino. Non da sola. (treninellanotte.splinder.com)

La danza fiancheggia la morte. La leggerezza ludica, d’un erotismo patetico, si contrappone alla gravosità dei corpi senza vita. Mario Cornejo, privo di goffaggine e titubanze, muove, ora con poesia, ora con indifferenza, tra le due dimensioni. Vivere quotidianamente accanto alla morte, porta l’uomo a ritrovare un barlume di vitalismo nella messa in scena caricaturale dell’eros. Egli stesso non fa che perpetrare automatismi dai quali non emerge alcun orizzonte, alcun progetto che non sia l’eterno ritorno dell’identico, della morte resa nello stillicidio di una circolarità conchiusa. Mario è un personaggio che vive in sospeso tra presenza e assenza. Non è completamente vivo, eppure non è ancora morto. Si occupa di redigere referti autoptici in un obitorio. Registra le modalità dei decessi con il medesimo distacco con cui si approccia al suo privato. La sua vicina di casa è una ballerina di spettacoli scadenti. Lui la osserva, ne rimane attratto, la segue in uno dei suoi spettacoli e assiste al suo licenziamento. Nancy – che presenta, curiosamente, alcune analogie con la protagonista omonima di un brano di Leonard Cohen – ha ormai più di quarant’anni, un corpo provato dal tempo e dalla malnutrizione. È un personaggio tragico e carico di quella dignità sublime che solo chi ha liquidato qualunque aspettativa possiede. Se Mario gravita nella polverosità della sospensione, Nancy è disperatamente proiettata verso l’unico altrove, per lei, ormai possibile.
Penso, a tal proposito, alla repulsione che la donna manifesta di fronte all’ipotesi di finire in Purgatorio, lo spazio sovrasensibile nel quale la sospensione conosce la massima amplificazione possibile. Nancy, o meglio il corpo di Nancy, non rappresenta altro che l’anticipazione della sua stessa morte. Non è che la testimone della propria morte così come Mario non è che testimone di quella altrui. Ciò che può fare non è certo ridare la vita alla donna, ma soltanto renderle la morte, rivendicare, in qualche modo, la responsabilità della sua appartenenza ed essa. L’insufficienza del prendersi cura, attraverso gli atti materiali e simbolici a un tempo della nutrizione e del sesso, riecheggia l’impotenza dei personaggi di fronte alla vastità degli avvenimenti politici e sociali che coinvolgono il Cile nel 1973, in seguito al Colpo di Stato in cui viene assassinato il presidente Salvator Allende. L’accento sembra essere posto, dal regista, sul confronto dialettico che si configurerebbe tra la condizione della testimonianza, rispetto alla tragedia del singolo e della comunità, e quella dell’azione, dell’effettualità volta a una modificazione possibile dei percorsi intrapresi dall’alterità, sia sociale sia individuale. Se l’unica forma di mutamento possibile sembra essere adombrata dalla violenza della parola – innescata dallo sfogo verbale della collega di Mario – o del gesto drammatico del protagonista, l’esito chiaramente paradossale a cui essi conducono – invece che riportare alla vita conducono alla morte – non rappresenta certamente un’esortazione alla passività e all’inerzia, quanto piuttosto una riflessione sull’ambivalenza del rapporto possibile con la prossimità e sulla prefigurazione di quella zona liminare, mai nettamente leggibile tra la condizione della testimonianza, rispetto al dramma dell’altro, e quella della responsabilità. I personaggi del film di Larraìn ci vengono spesso mostrati di spalle, dal collo in su, quasi le inquadrature evidenziassero un appiattimento bidimensionale della figura o una decapitazione metaforica che rinvierebbero a un contesto di mancanza e di precarietà incombente. Le luci sottolineano un’atmosfera in cui la materialità dei luoghi e dei corpi si disfa in una granulosità pulviscolare, e il colore si disperde nelle tonalità che viaggiano tra l’ocra pallido e il grigio livido.
Laura Scaramozzino

Sceneggiatura: Pablo Lorain, Mateo Iribarren
Fotografia: Sergio Armstrong
Interpreti: Alfredo Castro, Antonia Zegers, Amparo Noguera, Jaime Vadell, Marcelo Alonso

Presentato al Festival di Venezia 2010

Post Mortem - Trailer
Trailer
Pablo Larrain

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