
A guidarli sempre la cantante Anna Carazzai che in più di un’occasione sfodera interpretazioni ambiguamente ‘viziose’ ed ammiccanti (Mata Hari, in odore di Blond Redhead), a volte filtrate, altre addirittura intimistiche come nella conclusiva delicata Honey, cartina al tornasole di quanto si sia arricchita la gamma espressiva dei Love In Elevator.
I quasi nove minuti in crescendo, tormentati e densi di Dune, nobilitati dal violino di Nicola Manzan svelano enormi ambizioni estetiche, addirittura riferimenti ai King Crimson più solenni (lo so, è arduo da credere) ed a certo progressive roboante.
Insomma di punk ed indie-rock sopravvivono pochissime vestigia, subito trasfigurate nella ricerca di atmosfere a volte forse troppo sature, qualcosa che è difficile etichettare (Mancubus), ma che lascia nelle orecchie una scia significativa.
Wally Boffoli
LoveInElevator
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