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«La musica, di qualsiasi genere e provenienza, è considerata alla stregua dei peggiori rumori molesti e invadenti: non arte o svago quindi, ma semplicemente chiasso e disturbo!».
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Nel romanzo "Venice rock'n'roll" c'è tutto questo. C'è da un lato la storia di un gruppo di ragazzini, ventenni negli anni '70, che inseguendo la loro passione per la musica mettono su una band e cominciano a suonare con strumenti da quattro soldi, senza amplificatori e con dei fustini del Dixan a fare da batteria. E' una storia che accomuna molti ragazzi e che potrebbe quindi essere ambientata ovunque, ma il fatto che si svolga a Venezia, città unica al mondo, la rende in qualche modo una storia speciale. C'è la musica nel libro e c'è Venezia, oggi «quinta di cartapesta sempre più inzuppata e macera, merletto nella boccia di vetro», ma un tempo più aperta e vivibile. Ed essendo una storia veneziana è infarcita di frasi in dialetto, dal momento che i veneziani parlano molto il dialetto fin da bambini, il che contribuisce a creare quello sguardo ironico, ma allo stesso tempo benevolo, con cui l'autore guarda alla sua città e che coinvolge ancora di più il lettore in una scrittura molto fluida e piacevole. Il libro è comunque opportunamente corredato da un dizionarietto finale con la traduzione dei termini dialettali e delle espressioni gergali in italiano.
«Da noi – forse a memoria dell'ancestrale legame tra vita lagunare ed elemento liquido – anche le vecchiette più decrepite sanno calcolare con precisione degna di uno studio balistico traiettoria ed effetti del contenuto di un secchio, riuscendo a valutare l'anticipo con cui lanciare. E ben sanno inquadrare il bersaglio, tanto da poter scegliere se colpire in pieno (in questo caso – appunto – si ritorna a casa bòmbi) o semplicemente sgianzàr, e quindi avvisare che al prossimo baccano non ci sarà più pietà alcuna».
Il protagonista del romanzo, Paolo “Catfish” Ganz, comincia la sua esperienza musicale influenzato dai Beatles, come accadeva a molti in quegli anni.
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Ma naturalmente nemmeno allora era così facile suonare a Venezia e spesso i tentativi di provare in strada, sui tetti o negli androni dei palazzi finivano bruscamente alla comparsa di una qualche vecchietta arrabbiata alla finestra.
«La mia prima formazione musicale fu minata da una costellazione di sfratti e diffide per rumori molesti. In un primo tempo il complessino con cui mi esercitavo ottenne ospitalità a casa mia, perché l'intento dei miei era quello di controllarmi in ogni momento, e ci fu messa a disposizione la polverosa soffitta di calle dei Bombardieri. Si provava solo al sabato pomeriggio, durante la mia settimanale scarcerazione dal collegio di Treviso, ma erano disturbi da poco: due chitarre collegate a un aplificatore di appena dieci watt di potenza, un basso (senza amplificatore) e la batteria composta da fustini del Dixan».
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«Un basso, mi ci voleva un basso! Di chitarre bene o male ne avevamo una a testa, ma nel gruppo mancava il basso, e io QUELLO volevo suonare! Erano ancora i tempi bui del collegio a Treviso, quando aspettavo smaniando la liberazione del sabato pomeriggio per ritrovare la musica, le ragazzine e gli amici. Nei brevi momenti di libertà quotidiana – durante la cosiddetta libera uscita, insomma – le mie mete erano invariabilmente le vetrine dei tre negozi di strumenti musicali in città. E proprio nel più modesto acquistai per quindicimila lire, dopo furiosi e disperati risparmi, il mio primo strumento a quattro corde. Era una bottega all'antica proprio sotto i portici di via Santa Margherita, una strada tutta ciottoli che scendeva a precipizio verso il Sile; con le pareti gialline dipinte a olio e una quantità impressionante di anticaglie a imbandire la vetrina. Il proprietario, un tipo tracagnotto e distinto che tutti chiamavano il colonnello, indicò tra gli strumenti appesi quanto poteva propormi nel nuovo e nell'usato di marca; ma quando depositai sul banco tutti i miei averi cambiò espressione e cavò dal magazzino una
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Dunque Paolo compra il suo primo basso, presto denominato “il basso dei turchi” per la sua forma e il suo colore. Carico di eccitazione per l'acquisto fa la sua trionfale entrata in sala prove il sabato pomeriggio accolto dagli amici festanti:
«con la Galanti verde bottiglia di Nano Pavàn, la batteria dei Cadaveri, il microfono RCF tipo altare di Capodistria e questo nuovo acquisto eravamo un vero complesso!»
Ma sorge subito un problema: come si accorda un basso?
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Dunque a quei tempi il problema dell'accordatura del basso andava risolto diversamente e i ragazzi si rivolgono al nonno di Capodistria, maestro di banda, per avere lumi. Capodistria proviene da una famiglia musicalmente aperta e proprio grazie alla madre i ragazzi scoprono la loro strada musicale.
«Fu proprio sua madre, una bella donna di orgini istriane, a farci casualmente conoscere la musica che sarebbe stata la pietra d'angolo per la nostra formazione. Accadde che per il quattordicesimo compleanno del
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I brani da citare potrebbero essere ancora molti poiché la lettura di Venice rock'n'roll è davvero trascinante. Ma se vi siete riconosciuti nelle vicende raccontate in questi passaggi, oppure se non avete idea di come fosse il mondo non in linea o se semplicemente volete leggere un bel romanzo a sfondo musicale, questo libro fa decisamente al caso vostro.
Rossana Morriello
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