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' A quei tempi avevo una cagnetta. Si chiamava Mia ed era una cucciolina Breton. Io nella mia cameretta mettevo sul giradischi quel disco un poco strano che possedevo da pochi giorni e poi mi buttavo sul letto. Con le mani incrociate dietro la nuca osservavo il soffitto bianco, poi chiudevo gli occhi e mi godevo quella musica elettronica e dadaista così schizofrenica e fuori da ogni schema sonoro ascoltato prima. Mia mi raggiungeva, balzava sul letto e mi si accucciava accanto poggiandomi il muso sul fianco o sulla pancia.
A un certo punto la cacofonia industriale e metallica della suite iconoclastica che stava su una delle due facciate sfumava lentamente lasciando il
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Quel disco non l'avevo comprato, l'avevo permutato: in cambio avevo ceduto al mio caro amico Santino, un patito della California più hippie, "If i could only remember my name" il capolavoro west coast di David Crosby. Santino sarcasticamente mi prendeva in giro, mi accusava di avere fatto il cambio solo perché quel disco dei Faust era strano e particolare ma che in fondo era inascoltabile e non mi piaceva neppure. Aveva ragione solo in parte; effettivamente avevo fatto il cambio perché quello sconosciuto disco dei Faust era strano e particolare, ma poi me n'ero innamorato.
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Why dont'you eat carrots? (9:35, Faust) il primo brano, già annunciava la furia elettronica e indomita che si annidava tra quei solchi e che percorreva sismicamente l'album; in questo brano oserei dire c'è tutto; tutto quanto si possa (in)immaginare da un gruppo che fa sua e mette in musica, probabilmente senza consapevolezza, una sorta di stream of consciouness, il flusso di coscienza non tanto di Joyce quanto quello Burroghsiano (e i futuri "Faust Tapes" del 1973
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Sintetizzatori sibilanti, citazioni di canzoni famose di gruppi famosi, pianoforti dissonanti, fiati jazzati, musica da fiera di paese, marcette bandistiche, collages zappiani, ritmi convulsi, rumori siderali, canti da osteria e voci declamanti convivono in questo brano informale e alienato pervaso da una dissoluzione e dissolutezza totale e dadaista come si è già detto e bisogna accostarsi al successivo Meadows Meal (8:05, Faust, Sossna) per ascoltare un arpeggio 'normale' che si perde però subito dopo tra nuovi rumori e rimbombi tellurici, accenni di blues trasversale e un triste organo da chiesa che
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Percussioni impazzite e fuori tempo ritmano la danza spaventevole e folle di un gruppo di esagitati agitatori di suoni che poi ironicamente di colpo cambiano marcia narrando inaspettate fiabe a due voci e cantilenando litanie fino all'orgia finale di reboante percussività e di elettronica compulsiva e sgangherata, simile al ritmo incrostato di una betoniera che si appresta a gettare le basi per la costruzione di un maniero gotico nella foresta nera e che si spinge imperterrita fino alla catarsi giungendo a far terminare l'ascolto smarriti ed estenuati.
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Tutto questo fece sì che tra i Corrieri Cosmici furono gli esponenti più a latere, i meno conosciuti, i meno ascoltati e quelli dalla carriera più effimera.
Alcuni anni dopo, (sarà stato il '74) presentatomi da un amico comune, conobbi un ragazzo di Torino. Si chiamava Stefano Moretto ed era venuto con la famiglia a trascorrere un'estate al mare nella mia città. Con Stefano c'intendemmo subito,
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Aveva tutti i dischi dei Faust tranne il mitico primo album stampato fino a quel momento in sole seicento copie e naturalmente rarissimo e introvabile.
Quello lo avevo io. Da parte di Stefano cominciò allora un corteggiamento assiduo e inarrestabile; ogni pochi giorni mi chiedeva di vendergli quell'album epocale, mi offriva soldi, la sua chitarra di marca, decine di altri dischi in cambio, ma io niente! Non cedevo alle lusinghe, sapevo che quel disco era troppo raro e prezioso per darlo via in cambio di alcunché.
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Ora sono passati oltre trent'anni. Mia, la mia cagnetta breton è morta ovviamente da moltissimo tempo, di Stefano dopo alcune lettere e qualche telefonata da Ferrara, ho perso ogni notizia. Santino, il mio amico fricchettone westcoastiano, abita in una cittadina a pochi chilometri ma non ci frequentiamo e non ci vediamo più da anni e alcuni mesi fa un mio conoscente occasionale sapendo della mia passione per il rock mi ha regalato circa trecento LP che altrimenti avrebbe sconsideratamente buttato via. Era tutta roba degli anni settanta soprattutto americana e californiana.
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Quando sono arrivato a casa me li sono guardati attentamente uno per uno e osservando alcune scritte a margine delle copertine e delle buste interne ho scoperto con sorpresa che erano dischi appartenuti proprio a Santino il mio amico hippie. Ho continuato la visione di quegli album e finalmente l'ho trovato: "If i could only remember my name" il mio vecchio disco che avevo scambiato coi Faust.
“Era ora che ritornassi a casa dopo tutti questi anni”, ho detto al faccione rosso di David Crosby sul retro-copertina e poi ho aggiunto parlando con me stesso: “E chissà che un giorno non ritorni anche il primo album dei Faust, in questa vita non si sa mai...”
Maurizio Pupi Bracali
1 commento:
Bellissimo!
Mi é piaciuta moltissimo la storia e mi sento vicino a questo modo di "raccontare" un disco...
fatto piú di esperienze personali magari, piuttosto che di dati tecnici o strettamente musicali, peró...bellissimo!
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