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Nel 1973 facevo seconda liceo, mi piaceva l'hard rock (allora i Deep Purple e i Led Zeppelin erano etichettati così) e i Beatles, mentre ero piuttosto scettico sui Rolling Stones. Di jazz e dintorni, manco parlarne. All'epoca l'argomento ‘musica’ in classe era piuttosto popolare e un compagno insistette finchè non accettai in prestito “Hymn of the 7th Galaxy” di Chick Corea. Fu la prima esperienza con il jazz-rock, un genere allora nuovo, anche controverso (i ‘puristi’ del jazz non l'hanno mai mandato giù) ma del quale sono rimasto subito innamorato, anche se quella stagione è durata poco, man mano che la creatività dei ‘prime movers’è andata scemando. Non è per fare una micro-biografia di chi scrive che racconto questo aneddoto, ma per arrivare ad una definizione sensata del genere del quale ci stiamo occupando: non poteva
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Non era così, si trattava di una vera e propria contaminazione tra generi, c'era dentro il rock, ma anche la musica nera, il blues, il funk, la musica etnica, anche l'avanguardia in alcuni casi. Possiamo fissare l'inizio del fenomeno alla fine degli anni '60, quando Miles Davis pubblicò l'acclamato “In a Silent Way” e, poco dopo, il seminale doppio album “Bitches Brew”. Ma era un periodo di grande fermento, durante il quale uscivano
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“Bitches Brew” fu un successo di pubblico da più di 500.000 copie vendute, anche se alcuni critici e musicisti pensarono che l'album avesse oltrepassato i confini del jazz, o addirittura che non fosse jazz per niente.
Date un'occhiata alla splendida copertina in puro stile afro di Abdul Mati Klarwein: niente di simile alle minimaliste copertine dei dischi di jazz, con i faccioni dei musicisti e via.
In Pharaoh's Dance (da “Bitches Brew” di Miles Davis): c'è dentro tutto quello che dicevamo sopra, alla
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Poi date un'occhiata alla formazione: oltre al nostro naturalmente alla tromba ci sono tutta una serie di musicisti che faranno la storia del jazz-rock: Wayne Shorter e Joe Zawinul, poi nei Weather Report, Lenny White e Chick Corea, protagonisti dell'album che citavo all'inizio, e John McLaughlin, il micidiale chitarrista inglese che, con il violinista ex-Flock Jerry Goodman, Ian Hammer fondò la Mahavishnu Orchestra; assolutamente essenziale la loro opera prima "Inner Mounting Flame" (1971) . Tutta gente di cui parleremo diffusamente nel corso di questa disamina.
Davis non tornò più indietro, continuando, con alterne vicende, sulla strada aperta con i due dischi sopra citati. Mi piace ricordare con Black Satin,
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Herbie Hancock, Head Hunters
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“Head Hunters” è anche il titolo dell'album del 1973, che contiene questa Sly , il cui titolo cita, non casualmente, uno degli eroi del funk, Sly Stone. L'andamento del pezzo evidenzia lo splendido tocco del pianista sul Fender Rhodes e la spiccata attitudine funk della formazione, in cui figuravano Bennie Maupin ai sassofoni, Paul Jackson al basso elettrico, Bill Summers alle percussioni e Harvey Mason alla batteria, ma che non dimentica, in particolare con l'assolo di Maupin, di pagare il dovuto tributo al free jazz.
Weather Report
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L'album fu registrato parte in studio (il primo lato si diceva in quegli anni!) e in parte dal vivo in Giappone. Il gruppo si muove nella direzione tracciata da Miles Davis, ma il suono è più frenetico, violento, a tratti distorto. Un ascolto impegnativo, insomma, ma di grande soddisfazione. Vi propongo il primo pezzo del lato B, quello dal vivo: si tratta di un medley dei pezzi Vertical Invader, TH - Dr. Honoris Causa .
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Dopo questo capolavoro, il gruppo ha sfornato almeno altre due pietre miliari: “Sweetnighter” e “Mysterious Traveller”, suonati dalla stessa formazione, con l'inserimento di un altro pezzo da novanta, il bassista Alphonso Johnson, al posto del forse troppo ‘mainstream’
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Chick Corea, Return To Forever
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Verso la fine del decennio entra nell'entourage di Miles Davis (ancora lui!) sperimentando gli strumenti
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Nel 1971 inizia l'epopea del suo gruppo Return To Forever, una delle formazioni che diedero inizio allo sviluppo del jazz-rock. Inizialmente i componenti erano, oltre a Corea, un giovanissimo Stanley Clarke al basso, Tony Williams alla batteria, Joe Farrell al flauto e sassofono, il percussionista brasiliano Airto Moreira e la vocalist Flora Purim, moglie e connazionale di quest'ultimo. Con questa formazione il gruppo pubblica due album, il primo omonimo e
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Dopo questi due album l'attitudine del gruppo cambia radicalmente, assieme alla formazione: via i due brasiliani e Tony Williams, arrivano Bill Connors, alla chitarra rigorosamente elettrica e Lenny White alla batteria, presente con Corea nelle sessions di “Bitches Brew” e quindi già avvezzo a certe sonorità. Con questa line-up, nel 1973, il gruppo pubblica “Hymn Of The 7th Galaxy”. Si tratta di uno dei dischi ‘simbolo’ del jazz-rock, nei quali si incontrano la perizia strumentale e le
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Ho reperito questa versione del 2008, suonata però dalla band originale, del primo pezzo del disco, dallo stesso titolo, Hymn Of The 7th Galaxy. Ancora una volta, la musica è più eloquente di mille parole. Tra l'altro, la versione in questione è assolutamente simile all'originale del 1973, segno che i ‘ragazzi’ non hanno perso affatto lo smalto...
L'anno dopo esce “Where Have I Known You Before”.
Rispetto all'album precedente, cambia il chitarrista: infatti Bill Connors abbandona il gruppo per dedicarsi a progetti solisti acustici, e al suo posto arriva il giovanissimo (19enne) enfant prodige Al DiMeola, un autentico virtuoso della chitarra,
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Chicago, Blood Sweat & Tears, If
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Prendiamo, per esempio i Chicago, una big band vera e propria, in grado, almeno per i primi due monumentali doppi LP, risalenti al 1969 e '70, di coniugare il rigore jazzistico delle sezioni di fiati e degli assolo di questi ultimi, con il violento quanto virtuoso chitarrismo heavy e la voce roca
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Discorso simile vale per i Blood, Sweat & Tears, attivi fin dal 1967 con una formazione nella quale militavano, tra gli altri, Al Kooper, chitarrista bianco dedito al blues, un certo Michael Brecker, sassofonista di cui parleremo più tardi, ma nella quale, nel tempo si sono succeduti jazzisti di vaglia come il trombonista Lew Soloff, il chitarrista Mike Stern e addirittura il povero Jaco Pastorius. La produzione dei nostri ha
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Attraversiamo l'Atlantico, ora, e interessiamoci di un gruppo assolutamente misconosciuto, che invece meriterebbe molta più attenzione, gli If. Attiva dal 1969 al 1975, si trattava di una formazione a sette elementi, abbastanza strana, visto che comprendeva una sezione di fiati composta da due sassofoni, il che le dava un suono piuttosto peculiare.
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Il gruppo era capitanato da due tra i migliori esponenti della scena jazz del Regno Unito, Dick Morrisey, al sax e al flauto e Terry Smith, alla chitarra. Quest'ultimo abbandonò la band nel 1973, quando le pagine migliori erano già state scritte, dopo la pubblicazione di quattro album, intitolati con poca fantasia "1, 2, 3 e 4". In compenso il suono del gruppo era abbastanza originale, come testimoniano queste splendide Fibonacci's Number, dal terzo LP e The Promised Land, dal primo. Qualcuno etichettò gli If come ‘progressive jazz-rock'.
Luca Sanna
2 commenti:
Bellissima ed esauriente (per quanto possibile) cavalcata attraverso il periodo del Jazz-Rock. Anche la scelta dei brani è ottima, anche se per "Where have I know you before" avrei scelto "Vulcan Words", secondo me il pezzo in assoluto più rappresentativo del genere.
Complimenti, Luca Sanna
G.G.
Un ottimo refresh di un genere divertente che ha aiutato molti (me, per esempio) ad avvicinarsi al Jazz in tutte le sue forme. Ottima anche la scelta dei pezzi, anche se, a proposito di "Where have I known you before" avrei scelto "Vulcan words", secondo me in assoluto il brano più rappresentativo del genere insieme a "Up on it" di George Duke in "From me to you"
Complimenti, Luca Sanna
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