sabato 13 novembre 2010

BOOK REVIEWS: "Le biciclette bianche" di Joe Boyd (2010, Ed. Odoya, pp. 286)

Si autodefinisce l’eminenza grigia della musica rock, un uomo che è stato dietro il lavoro di musicisti come Nick Drake, Incredible String Band, John Martyn, Sandy Denny, Tomorrow, Pink Floyd; produttore discografico e cinematografico, promoter, gestore di locali underground, il nome di Joe Boyd è legato ad alcuni dei momenti più importanti e significativi della storia della musica rock e non solo poiché con lui hanno lavorato anche bluesmen e jazzisti.
Nel 2006 ha pubblicato le sue memorie sugli anni 60, ed ora le edizioni Odoya le hanno finalmente tradotte in italiano, il titolo "Le biciclette bianche" richiama sia le biciclette che i provos di Amsterdam mettevano gratuitamente a disposizione della cittadinanza, sia la canzone dei Tomorrow, band prodotta dall’autore e protagonista delle memorabili serate dell’Ufo, il locale di Boyd, dove si esibivano anche Pink Floyd, Arthur Brown, Incredibile String Band, Procol Harum, al centro della scena psichedelica londinese e sotto il mirino della polizia e della stampa conservatrice.
Merito principale del libro, che ne fa una lettura indispensabile per chi ama e vuol approfondire la conoscenza di quel periodo musicale, è quello di farci rivivere dall’interno l’atmosfera dell’epoca, quel senso di libertà improvvisa che un’intera generazione si trovò a prendere in mano liberando grandi energie creative che sfociarono nel periodo più incredibilmente esplosivo della musica rock. Joe Boyd dà anche una sua spiegazione, a mio avviso convincente, sul perché gli anni Sessanta rappresentarono un periodo così straordinariamente vivace e rivoluzionario: fu la disponibilità di denaro, nel senso che la vita era molto meno cara di adesso, e di tempo che rese quella generazione così libera e fiduciosa nel suo futuro, al contrario di quanto avviene oggi in cui la sensazione dominante è la mancanza e di denaro e di tempo.
Se non mancano le critiche a quel periodo, il razzismo con il quale gran parte del mondo musicale inglese accolse, per esempio, i jazzisti sudafricani Chris McGregor, Mongezi Feza, Dudu Pukwana, Johnny Dyani, il sessismo, l’autodistruttività che si manifesterà nell’uso di cocaina ed eroina, “ … non mi sono mai accorto che la cocaina migliori qualcosa”; dall’altra parte Boyd afferma con passione la grande vitalità di quegli anni e la sua forza di rottura: furono anni di grandi speranze e di grandi sfide, durante i quali ‘giovani senza debiti’ riuscirono a dare un deciso cambiamento alle società occidentali, per Boyd gli ideali che sono ancora fonte di speranza per il futuro hanno le loro radici negli anni Sessanta.
La rievocazione delle sue esperienze, Boyd la fa con un tono volutamente basso, il volume non è affatto autocelebrativo, eppure la materia non sarebbe mancata visto che il nostro ha avuto a che fare con indubbio fiuto con quanto di meglio e di meno convenzionale il rock abbia offerto: al contrario presenta gli avvenimenti e i personaggi nelle loro varie sfaccettature, legandoli al periodo storico e culturale, non dando giudizi moralistici, ma fornendoci le informazioni necessarie per capire.
Molto interessante e appassionante, ad esempio, la sua rievocazione della celebre esibizione elettrica di Dylan al festival folk di Newport (“Molto degli anni Sessanta è rispecchiato in quel sabato sera a Newport, quando Dylan fece scappare Pete Seeger nella notte con la festosa aggressione della sua musica originariamente ispirata dallo stesso Seeger.”) o la ricostruzione della vicenda dell’Incredible String Band, dei rapporti personali fra i musicisti e del ruolo che ebbe la loro adesione a Scientology nella parabola artistica della band.
Ma la parte più intensa e coinvolgente, dove si sente anche la partecipazione emotiva dell’autore, è la ricostruzione della personalità artistica ed umana di Nick Drake, del quale Boyd non si stanca mai di sottolineare lo straordinario talento artistico e musicale e sul cui tragico percorso umano cerca di trovare una spiegazione.
Naturalmente sono molti i personaggi che sono passati sotto gli occhi di Boyd e che troverete fra le pagine del libro, dai Fairport Convention a Paul Butterfield, da Steve Winwood a John Sebastian, da Jimi Hendrix a Thelonius Monk, per citare solo una minima parte.
Da grande produttore Boyd usa parole che suoneranno miele per i moltissimi appassionati del vinile e delle vecchie registrazioni: ”Il suono migliore di tutti è quello direttamente stereofonico, senza mixaggio, senza sovraincisioni, e non digitale.”
Ricco di aneddoti, personaggi più o meno famosi dell’universo rock, lucide analisi sociologiche, acuti giudizi musicali, il libro tratteggia un quadro non sempre conosciuto del mondo musicale degli anni 60; unica pecca gli errori di stampa presenti nell’edizione italiana, riscattati però dall’utilissimo indice dei nomi, indispensabile per un libro che è utile anche come opera di consultazione.

Ignazio Gullotta

Tra i grandi dischi prodotti da Joe Boyd:
"Arnold Layne" (Pink Floyd, 1967)
"The Hangman’s Beautiful Daughter" (Incredible String Band, 1968)
"Five Leaves Left" (Nick Drake, 1969)
"Unhalfbricking/Liege & Lief "(Fairport Convention, 1969)
"Bryter Layter "(Nick Drake, 1970)
"Full House" (Fairport Convention, 1970)
"Pink Moon" (Nick Drake, 1972)
"Jimi Hendrix" (Soundtrack, 1973)
"Fables of Reconstruction" (REM, 1985)


Tomorrow: My White Bicycle
Dylan Goes Electric & Pete Seeger Goes Nuts! - 1965 Newport Folk Festival
Jimi Hendrix: Hear My Train A Comin'
Nick Drake: River Man
Fairport Convention: Authopsy
Pink Floyd: Arnold Layne
The Incredible String Band: Koeeoaddi There

Joe Boyd on the web

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