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stavolta è orfano di qualsiasi patrocinio “di classe”: Andy Warhol e Nico hanno accompagnato la barella fino al corridoio della sala operatoria, poi hanno abbandonato l’ ospedale lasciando l’ equipe dei dott. Cale e Reed libera di tormentare quel corpo agonizzante. "White Light/White Heat" è un abominio di crudeltà.
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E’ un disco che richiede fegato e volumi altissimi malgrado nessun moccioso figlio di puttana potrà mai ascoltarlo se non con i potenziometri al minimo quando a casa girano mamma e papà. Perché qui non c’ è I want to hold your hands ma un branco di marinai che abusano di otto trans e ne fanno a pezzi qualcuna.
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l’ impianto hi-fi di casa è spento sanno bene dove nasconderla quella cazzo di copertina nera come il veleno, in mezzo a quella discoteca casalinga piena dei colori abbaglianti dell’ estate dell’ amore e dell’ iridescente beat anglosassone. John Cale ha lasciato a casa la viola e sul nuovo album si diverte a massacrare tastiere e basso o a cantare impassibile alcune delle liriche più bizzarre di Reed come The Gift, macabramente ispirata a The Lottery di Shirley Jackson o l’ operazione chirurgica di Lady Godiva ‘s Operation. Tutto (ad eccezione della brevissima Here she comes now che taglia idealmente in due il disco) è hard qui dentro: linguaggio e musica sono le cose più devastanti e oltraggiose che l’ America possa tollerare all’ epoca. Provate a sentire l’ assolo di chitarra che squarcia la carne
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c’ è di così morbosamente eccessivo e pesante in quel 1968 che doveva essere
l’ alba del nuovo mondo e che invece è l’ anticamera dell’ abisso? Buona immersione. L’ ossigeno nelle bombole è quasi terminato. Ho paura che stavolta dobbiate fare senza.
Franco Lys Dimauro
The Velvet Underground
2 commenti:
bellissima! Antonio
Bella recensione, complimenti!
zac
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