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La premessa è che dovete amare lo slowcore e non dovete condividere il punto di vista secondo cui si tratta in realtà di indiepop con meno beat. D'altra parte gli Idaho (nella persona di Jeff Martin) non mancano di snocciolare più di una traccia dalle coloriture decisamente pop (The space between, Waited for you), in queste poche occasioni trovano spazio ritmiche più marcate e riff leggermente più catchy, pur con il consueto understatement e le solite tinte pastello ultradiluite.
Più che "soliti", questi elementi sono quelli originali che costituiscono il marchio di fabbrica della band, tradito in parte solo dall'ultimo album "The Lone Gunman", uscito sei anni fa.
La parola chiave per sapere cosa aspettarsi da questo disco è: minimalismo. Secondariamente una innegabile eleganza, ma anche una dose non modesta di manierismo di genere. Il padrone della scena è il pianoforte che, insieme ai suoni sintetici usati con enorme parsimonia e a chitarre che definire rarefatte è un eufemismo, contribuisce a dare corpo a un disco che fluisce prevalentemente come una colonna sonora (e non stupisce se si considera che la composizione di colonne sonore è fra le attività che hanno tenuto impegnato Martin negli ultimi sei anni).
La copertina, disegnata dallo stesso Jeff Martin, rende perfettamente l'idea delle tinte crepuscolari e dell'attitudine naif che di questo disco sono insieme il punto forte e il tallone d'achille. Un decennio buono di carriera nell'ultraindie slowcore fa degli Idaho una garanzia per gli amanti del genere nelle sue declinazioni più filologiche, ma automaticamente li incasella anche nella fisionomia di questo
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Angela Fiore
Idaho
A Million Reasons
Reminder
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