sabato 12 marzo 2011

RADIOHEAD: "The King Of Limbs" (2011, XL) DISCO EVENTO - DUE RECENSIONI A CONFRONTO: Mazzoli, Dimauro)

“The King of Limbs”, non è solo , come ben saprete, l’ultimo disco dei Radiohead, gruppo inglese sopravvissuto agli anni novanta, sospeso musicalmente tra rock e elettronica. E’ un vero e proprio evento: per capirlo basta dare un’occhiata furtiva al mondo del web. Sulle webzine, su numerosi social networks (Facebook, Twitter) si rincorrono le prime indiscrezioni, su Youtube compare il video del primo estratto Lotus Flower, con protagonista assoluto della scena un inedito Thom Yorke, nei panni di un ballerino scatenato, quasi tarantolato. In fondo non c’è da stupirsi più di tanto, le premesse c’erano già tutte. Già all’epoca dell’uscita di “In Rainbows”, i Radiohead avevano spiazzato il pubblico, gli addetti ai lavori, i meccanismi discografici, rendendo disponibile il download del disco in uscita sul sito ufficiale. Dato il successo dell’operazione nel 2007, la band ci riprova oggi ai bagliori del 2011; c’è un solo un piccolo cambiamento di strategia, il prezzo del download non è a libera scelta del consumatore, ma è stato fissato un range di partenza, pari a 7 euro. Entriamo nel vivo del disco, per esplorare le viscere più profonde di “The King of Limbs”. L’album si apre con Bloom. Un inizio ambient: la drum machine è in primo piano, inebriante, ripetitiva, seduttiva. In lontananza, nello sfondo richiami classici, violini tra il vivace e il malinconico e un'apertura all’insegna della sfuggente melodia del pianoforte, interrotto da un turbine di echi elettronici. Atmosfere nebulose, oscure, enigmatiche imperversano fino a diventare ossessive, conturbanti. Vortici sonori in cui è facile perdersi. Rimbombano le armonie vocali tra ritmi elettrici altalenanti (Morning Mr. Magpie). Rari raggi di luce illuminano il paesaggio, come se la luna fosse scomparsa dall’orizzonte. Tra scenari orientaleggianti, scorci scricchiolanti, fugaci arpeggi di chitarra, si fa strada in un crescendo ricco di pathos lo stregante sospiro di Yorke (Little by little). Nel buio più profondo, i riff di chitarra intrappolati da sabbie mobili sono ormai ostaggio di synthetizer e drum machine, attori protagonisti del cromatismo sonoro del disco. Scie di suoni dall’andamento intermittente esplodono inaspettatamente a singhiozzi, tra mari e monti di decibel (Feral). Dimentichi dei presupposti elettronici descritti, dopo aver assaggiato con gioia le insidie ballerine del fiore di Loto (Lotus Flower), è tempo di lasciarsi cullare da ballate dal sapore dolce-amaro, spazio dunque a toni minimali. Nessun artificio elettronico questa volta, solo voce e chitarra/piano (Codex, Give up the ghost). Questi sono i nuovi Radiohead, in bilico tra la freddezza avvolgente di drum machine e la calda intimità acustica. (Separator)
Monica Mazzoli
TheKingOfLimbsRadiohead


La recensione di Franco Lys Dimauro

La cosa eccezionale è stata riuscire a correre più veloce di quanti li seguivano: fan, musicisti e recensori. Accelerare proprio quando tutti sembrano felici di stare al tuo fianco, in cima al mondo. Diventare prima inafferrabili, poi alieni.
Dalla terra tutti aspettano i segnali della loro astronave. Aspettano nuove canzoni che nessun terrestre potrà mai cantare. E stavolta ne arrivano otto, che piovono dapprima in download e poi si fissano come gocce di vernice su tele e fogli di carta, in una delle più belle confezioni con cui sia mai stato impacchettato un disco.
Otto brani immersi in questa placenta amniotica che è diventata la musica del quintetto inglese, un generatore di Van De Graaff perennemente attraversato da piccole scosse elettriche, in un alienante laboratorio musicale dove sussulti ritmici (i pattern dubstep di Bloom, l’ossessiva scansione di Morning Mr. Magpie, lo scrosciare ossessivo di Feral) e glaciali paesaggi lunari (il pianoforte smarrito di Codex, la chitarra e le voci sospese di Give up the ghost) disegnano architetture marziane e disturbanti mentre Thom Yorke continua a scannerizzare il dolore, con quel suo tono indisponente e piatto.
"The king of limbs" ci concede l'incanto di Little by little che è forse quanto di più vicino ad una canzone i Radiohead abbiano scritto da quando hanno deciso di lasciare la terra e di una Lotus Flower che è il prototipo di una canzone soul scritta su Alpha Centauri, a 4,36 anni luce da noi e la consueta soffocante maglia di fibre ottiche che avvolge la musica dei Radiohead dai tempi di "Kid A".
Franco Lys Dimauro

9 commenti:

Anonimo ha detto...

Ricardo Martillos says.
Grazie Monica, stupenda recensione.Poi disco e Gruppo favoloso ma quello si sapeva già...

Anonimo ha detto...

non l'ho ancora ascoltato, ma sono molto ben disposto nei loro confronti. La recensione così appassionata non può far altro che accrescere in me la voglia di sentirlo

SDH

Anonimo ha detto...

beh però paragonare la musica dei Radiohead a quella dei van der graaf generator!!!!! proprio no.

claudio decastelli ha detto...

ma non era un riferimento ai van der graaf generator la band, ma al generatore di energia progettato da van dder graaf! :-D

claudio decastelli ha detto...

(segue) ... dimenticavo, generatore da cui il gruppo di peter hammill ha derivato il proprio nome ...

Anonimo ha detto...

ok, allora mi spiego meglio il van de graaff e mi scuso, anche se francamente continuo a non cogliere l'altissima tensione di questo lavoro, la mania di osannare Yorke come se fosse un semidio dal talento infinito - alimentando il suo smisurato ego. E' un vizio che la critica musicale sembra non volersi proprio togliere, plaudiremo ai radiohead anche quando sforneranno cani morti imbastiti da cornicette di autoreferenzialità e deliri di onnipotenza, oramai è incontrovertibile!

claudio decastelli ha detto...

fai bene a manifestare i tuoi dubbi sul disco e/o sulla band e/o su yorke, il motivo delle 'recensioni disco evento' e' proprio quello di permettere di evidenziare vari approcci a dischi su cui e' piu' facile che si manifestino giudizi 'monolitici'. su questo ultimo dei radiohead si sono sentite voci non proprio entusiastiche eppure nessuno ha voluto esprimersi formalmente con una recensione, a differenza di cosa e' invece capitato con l'ultimo lavoro dei rem. forse perche' ai radiohead si riconosce un'onesta' di intenti, tutto sommato, che pone in imbarazzo chi al di la' di quella non trova nel risultato artistico un livello corrispondente?

Anonimo ha detto...

ma sulla recensione in questione nulla da dire.... ben fatta per carità. Obiettavo sulla band e per dirla tutta la loro "onestà di intenti" la colgo solo nell'autocelebrazione quasi irritante, nel condire la loro ricerca sonora (seppure inecepibile)di una vena finto/malinconica che risulta falsa e stucchevole, nella ridondanza e nell'eclettismo di un personaggio vanitoso e pieno di sè come yorke. ma questo è solo un parere.

claudio decastelli ha detto...

parere che trovo giusto tu abbia espresso ...