mercoledì 17 novembre 2010

PAOLO CONTE: "Nelson" (Platinum, 2010)

Se tracciate una linea che colleghi Parigi a Napoli vi troverete, quasi a metà strada, a sfiorare le città di Genova e quella di Torino. Una un po’ più a sinistra, l’ altra leggermente sulla destra. Al centro di quell’ immaginario incrocio, nell’ intersecarsi di quelle due linee irreali ed ipotetiche sta seduto l’ Avvocato, leggermente curvato sul suo pianoforte.
Il suo viso un groviglio di rughe. Le sue falangi piegate a martelletto. La sua gola un nodo di catarro.
Non è mai andato via da lì, neppure quando gli operai della TAV minacciavano di seppellirlo assieme alle macerie dello sbancamento per la realizzazione della Tortona/Genova. E’ rimasto lì anche dopo la partenza dell’ amico Renzo Fantini. Lo aveva accompagnato alla stazione ferroviaria di Asti un po' perplesso dopo aver visto che la tabella degli Arrivi non prevedeva nessun rientro per quel vagone su cui l’ amico era salito salutandolo con un sorriso che sapeva di rimpianto e dolore infinito. Pensava fosse un modo furbo per scongiurare l’ ovvietà dei ritardi.
Invece era un treno di sola andata. Come quello che passa sui binari incolti dei nostri sogni, ma per una destinazione lontana dalla linea dei tropici. Molto, molto più lontana. Lui si è riaccucciato al suo pianoforte e ha rimesso la testa storta e le dita a martello. E ha suonato per lui e per il suo cane Nelson.
Ha lasciato l’ affanno del cambiamento che aveva condiviso con Fantini sugli ultimi dischi e ha deciso di tornare ad essere il brontolone romantico che crede nella solitudine degli amori disperati, guardando una volta a Parigi e una volta a Napoli, lungo quella linea di cui vi parlavo. E’ tornato a parlare di vecchie orchestre e di città 'bagnate e fradice', di smoking che puzzano di tabacco e 'donne d’ inverno' ed è tornato a parlarne con le viscere. Come se fosse stato anatomicamente costruito a rovescio.
Nelson vibra di lusinghe già provate.
C’ è aria di ritorno a casa, di già sentito, profumo di quotidianità rassicurante, di foto ricordo appese alle pareti e poggiate sui sofà. Come quando sul reggae zoppo di Bodyguard for myself sembra materializzarsi il fantasma di Bartali o il ricordo di Max che emerge una volta sciolto il cerone di Clown.
La sperimentazione è sottile e misurata, appena accennata tra le pieghe elettroniche di Sarah e dentro il mambo scuro di Suonno, è tutt’ o suonno che ci riporta alla memoria la celebre epigrafe di Walter Chiari, calibrata nell’ ottica di un disco che non vuole disegnare nuove prospettive ma godere di quella che io definisco l’ “arte dei tramonti”: il gusto tutto poetico del vedere spegnersi la luce del giorno con la consapevolezza arcana che ogni replica di quello spettacolo è un giorno in meno che ci resta da vivere.


Franco Lys Dimauro



Paolo Conte presenta Nelson
Clown
L’Orchestrina
Tra le tue braccia
Nina
Sotto la luna bruna
Bodyguard for myself

1 commento:

Anonimo ha detto...

COMMOVENTE.....