Dopo l'enorme successo di riscontri (che continua a tutt'oggi!) del nostro precedente articolo di Edoardo Voodoo Petricca sui KING CRIMSON , abbiamo pensato farvi cosa gradita continuando ad esplorare con effetto retroattivo il magico e tragico milieu di sua eccellenza Robert Fripp e delle varie line-up che hanno ruotato attorno al suo indiscusso regno-ruolo nel progressive prima di tutto degli anni '70. Una saga lunghissima, impegnativa e fascinosa quella di King Crimson, che giunge sino ai nostri giorni. Abbiamo in programma di toccarla più volte, a partire proprio da queste feste natalizie di fine 2011 e nel 2012: se ci accompagnerete in questo meditato tragitto ci farà piacere, non ve ne pentirete ed avrete molte sorprese: si comincia con lo stupendo "Lizard" del 1970 (wally boffoli)
“Lizard” è forse l’album più controverso dei King Crimson, se non per quanto riguarda l’intera carriera della band, quantomeno relativamente alla loro produzione anni ‘70. Per i fans più affezionati, infatti, “Lizard” è, se non il loro album preferito (e per molti, compreso il sottoscritto, lo è!), comunque quello ritenuto emotivamente più coinvolgente e, a tratti, anche commovente nella produzione crimsoniana.
Per gli amanti del rock anni ’70 in genere, che apprezzano i KC in maniera più distaccata, senza il fanatismo del vero aficionado, “Lizard” è invece un po’ freddamente liquidato come un’opera più ammiccante a certo prog romantico della sua epoca, con un effetto meno innovatore rispetto a quanto la band aveva mostrato di saper fare prima e a quanto svelerà dopo. Giudizio ingiusto: in “Lizard” le sperimentazioni, anche spinte, ci sono, e le esamineremo con calma. Certo, quando esce questo album, a cavallo tra il 1970 e il 1971, i King Crimson hanno alle spalle un’opera impressionante e rivoluzionaria come “In the court of the Crimson King” (1969), capace di gettarsi alle spalle il concetto di rock come era stato inteso fino a quel momento (3 o 4 minuti di canzone retta dalla formula strofa/ritornello/assolo) e di tracciare un percorso ben più complesso, chiamato progressive rock e fatto di contaminazioni tra generi (dal jazz
alla musica classica), tempi dispari e grande dilatazione della durata dei brani (si pensi ai 12 minuti di Moonchild). Il successivo “In the wake of Poseidon” (1970) convince meno: talune formule sembrano un po’ troppo ricalcate sul successo dell’album precedente (la potenza di attacco e le accelerazioni centrali di Pictures of a city evocano non poco 21st Century Schizoid Man, la ballad romantica Cadence and Cascade è un po’ la brutta copia di I talk to the wind, l’incedere marziale di The Devil’s triangle, costruito sul tema di Mars – the Bringer of War dalla sinfonia “I Pianeti” di Gustav Holst, non può non evocare in parte Epitaph), ma al tempo stesso si percepisce già qualche avvisaglia del disco successivo (l’irriverente e scanzonata Cat Food, dal sapore veracemente post-beatlesiano, offre delle soluzioni che ritroveremo proprio in alcuni momenti di “Lizard”).Side A
Il terzo album vede la formazione capitanata dal chitarrista Robert Fripp vittima di non pochi scombussolamenti. Al suo fianco, come sola certezza, rimane il paroliere Pete Sinfield, che cura, oltre ai testi,
anche i light-show e le scenografie sul palco. Nel frattempo la band ha perso per strada due tra le sue figure più carismatiche: il bassista/cantante Greg Lake ha già in quel momento, raggiunto la popolarità mondiale in trio con Keith Emerson e Carl Palmer, mentre il fiatista/polistrumentista Ian McDonald, addirittura, da lì a pochi anni farà soldi a palate in America con i Foreigner! Pertanto la figura a cui è affidato il ruolo di frontman crimsoniano è il nuovo bassista/cantante Gordon Haskell (ospite in un solo brano alla voce sul disco precedente), che costituirà una vera e propria meteora, dopodichè si
trascinerà fra problemi di droga e alcool per tutti gli anni ’70 e ’80 e ritroverà un suo equilibrio interiore solo a partire dagli anni ’90, come artefice di un garbato cantautorato venato di blues. Il parco-fiati di Mel Collins è estremamente ricco: flauti e sassofoni di varie altezze e tonalità, mentre Fripp, professionalmente orfano di McDonald, si sobbarca anche tutte le tastiere. I King Crimson, a differenza di tutte le bands-simbolo dell’Era d’Oro del progressive rock, non hanno mai schierato un vero tastierista in formazione e ciò li limitava parecchio nel riproporre in veste live le loro complesse composizioni. In “Lizard”, peraltro, le tastiere sono più presenti che in ogni altra produzione crimsoniana. Dietro i tamburi siede Andy McCulloch e con lui si conclude la formazione-base. Ma in questo disco Fripp decide di spostare ancora più in avanti il mood jazzistico della sua band e si circonda di alcuni tra i nomi migliori appartenenti al giro dei Nucleus, dei Soft Machine e del Canterbury Sound: Nick Evans (trombone), Mark Charig (cornetta), Robin Miller (oboe e corno inglese) e il pianista Keith Tippett (frequente collaboratore di Frida).
Inoltre, un vero e proprio “Special Guest” che incontreremo più avanti. L’album si apre con Cirkus (scritto con la K per richiamare nel titolo la C e la K di King Crimson, un escamotage che la band userà spesso fino agli anni 2000): le prime note del brano sono quantomai rarefatte e valorizzano al massimo la voce pastosa e rotonda di Haskell, punteggiata da un synth dal timbro molto sottile (una vera rarità nella tavolozza sonora crimsoniana). Ma ecco che esplode un riff massiccio in cui i sax sono doppiati dal suono spigoloso di fiati del Mellotron Mk.II, una delle più ruvide e ancestrali tastiere della famiglia Mellotron, ancora lontana da quelle solennità sinfoniche del più famoso Mellotron Model 400, usato a piene mani da Genesis e Yes (e molti altri!) in contesti orchestrali e corali. In questa canzone piena di sorprese sentiamo anche un inedito Fripp spagnoleggiante alla chitarra classica e il tutto si chiude facendoci incontrare il primo dei molti ospiti del disco, un Mark Charig dalla cornetta al gusto Malaga che ben si sposa con i curiosi ammiccamenti flamenco di Fripp. Indoor Games è uno dei manifesti dell’album: il tema iniziale di fiati dal sapore “geometrico” non può infatti non evocare quel jazz inglese a cui Fripp, unico compositore di tutte le musiche del disco, intende rifarsi in quel preciso momento della sua carriera.
asciutto e percussivo del piano che si intreccia con le percussioni intonate, dando ancora una volta un taglio jazz al tutto. Questa commistione di accattivanti melodie molto beatlesiane e arrangiamenti da Canterbury School rende questo episodio fortemente simile a Cat Food, che si basava proprio sulla stessa fusione di sapori. Il finale del lato A del vinile è affidato a Lady of the dancing water. Si tratta di una ballad romantica come ne abbiamo già incontrate sui due dischi precedenti della band, ma con una sostanziale differenza: il suono scuro del clarinetto basso che reggeva tutto il tessuto armonico di I talk to the wind sul primo album, giusto per fare un esempio, qui cede il passo al trombone di Evans, che rende tutta la cosa assai più morbida. Forse il momento più romantico e toccante nella storia dei King Crimson. Side B
L’intero lato B del vinile è affidato a un unico brano articolato in più movimenti, la suite Lizard. Qui l’ascoltatore ha la sorpresa capace di mozzargli il fiato: infatti la prima parte del brano, che ha per
Alberto Sgarlato
King Crimson History
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