mercoledì 16 novembre 2011

PEOPLES TEMPLE: “Sons of Stone” (Uscita: 19 aprile, Hozac)

# Consigliato da DISTORSIONI
Capita, e anche sovente, di imbattersi in album che risultano interessanti già dal primo ascolto e che promettendogli un approfondimento, vuoi per scarsa memoria, vuoi perché subissati da altre uscite in contemporanea, rimangano messi lì da parte e quasi dimenticati. E’ a proposito del consueto, anche se non indispensabile, censimento sulle uscite dell’anno in corso con cui da

appassionati ci si ritrova a pronosticare, che mi tornano al pettine questi Peoples Temple.
Chiariamo subito: nulla di originalissimo, a partire dal nome, sinonimo utilizzato dalla setta del massacro di Jonestown, un fatto di cronaca diventato un clichè ricorrente e che sembra aver turbato non poco la sensibilità di tutta la scena neo-psychedelica. 
Anche qui si respira aria di sixties garage psych per capirci, anche se orientati più verso il periodo pre-Sgt. Pepper. Il pregio di questo album debutto (preceduto da un paio di singoli) di 4 giovanotti del Michigan, sta  nello sfruttare quello che già è a portata di mano intessendolo in maniera equilibrata e riuscendo a mettere a fuoco una visione grandangolare ben più ampia. Proprio come il cerchio che nella copertina di Sons of Stone raffigura lo scorcio di un’immensa distesa rocciosa. Sostanzialmente 14 belle canzoni, immediate e piacevoli, con pochi essenziali arrangiamenti e melodie vocali accattivanti,  ma non troppo levigate da risultare stucchevoli; la formula è davvero semplice ma il risultato molto personale. 
La trionfale ballad della title-track ti inchioda subito lì con il suo riff di chitarra acida e riverberata, mentre il cantato imprime al brano un’anima folk-pop. Già da questo primo pezzo si intuiscono i numeri della band e si riesce a sopportarne piacevolmente un po’ di prevedibilità. Anche quando di tanto in tanto i fumi di Music Machine, Electric Prunes, Rolling Stones, Remains offuscano la panoramica, nel loro sound vibra una luce che non ce li fa vedere poi così distanti. Axeman (cantata dal bassista) e Pretender spostano i registri verso sfumature più wave-punk, mentre Sons of stone (revisited) ha un tono giocoso quasi sperimentale. A modo suo un piccolo capolavoro che per quanto mi riguarda mi ricorderà, tra altri, di questo 2011, votandolo più sulla fiducia di quello che ci potrebbe portare nell’anno prossimo venturo. Alla faccia della legge di stabilità.
Federico Porta





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