Disse Enrico Ghezzi, in un raro momento di comprensibilità, che Roman Polanski (Rajmund Roman Ljebling) se non è uno dei dieci registi più grandi nella storia è certamente l'undicesimo. Difficile affrontare un autore così importante, su cui sono state scritte molte monografie (ottime quelle di Magrelli e di Rulli/De Bernardinis, entrambe fuori commercio). In questo articolo affronterò alcuni dei temi ricorrenti nella sua opera.
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sabato 18 giugno 2011
venerdì 17 giugno 2011
SWANS: "La Risalita dagli Inferi" 1983 - 2010
Ritmi macabri e ossessivi che intrecciano percussioni industriali, elettro noise, atmosfere oscure e rarefatte dal sapore dark, chitarrismi logoranti sospesi tra aggressività hardcore e voodoobilly, disparati ripescaggi sonori della tradizione americana. Possono essere questo gli Swans di Michael Gira? Certamente no, ogni definizione che si vuol tentare risulta miseramente riduttiva.
I TRENI ALL'ALBA: “2011 A.D. (L'Apocalisse della porta accanto)” (2011, Inri)
Un turbinio di suoni di chitarre acustiche, ritmiche, battenti, in fingerpicking, slide, suonate ad armonici: con questo violento (per quanto acustico) impatto si apre l'album dei Treni all'Alba intitolato “2011 A.D. (L'Apocalisse della porta accanto)” e con queste prime note la band svela all'ascoltatore almeno una significativa parte del proprio percorso estetico/stilistico. Infatti i Treni all'Alba sono una band essenzialmente acustica, strumentale, dominata dagli intrecci di chitarra di Daniele Pierini e Paolo Carlotto, ottimamente supportati dalle tastiere di Sabino Paci (accreditato anche al sintetizzatore, ma principalmente pianista) e dalla batteria, mai troppo invasiva, di Felice Sciscioli.
PANDA BEAR “Tomboy” (2011, Paw Tracks)
Noah Benjamin Lennox, di Baltimore, Maryland è stato uno dei membri fondatori degli Animal Collective, uno dei gruppi più acclamati dell’underground a stelle e strisce, artefici di una sterminata discografia, tra dischi ufficiali e collaborazioni. La carriera solistica di Panda Bear, questo il nickname da Noah, in omaggio alla simpatica bestiola, prende l’avvio nel 1998 prima della formazione della delirante band con l’omonimo e sperimentale album di debutto, cui fanno seguito "Young Prayer"(2004) in cui le canzoni già prendono forma in una sorta di Lo-Fi allucinato debitore anche di Tim Buckley ed il penultimo ottimo "Person Pitch"(2007), forse l’opera più conosciuta e compiuta di Lennox.
giovedì 16 giugno 2011
Introduzione al POST ROCK
Simon Reynolds ed il Post Rock
Dopo shoegaze e trip hop il terzo filone peculiare degli anni '90, pur se non prolificissimo è il cosiddetto Post Rock. La definizione è stata coniata da Simon Reynolds (il guru della stampa musicale inglese) in una recensione (su The Wire del maggio 94) al libro “Rock and the pop narcotic”, che vede nel grunge la quintessenza del rock. Reynolds vedeva nel grunge invece il peggio della musica attuale, la somma di quella che potremmo definire una linea di destra rock, cioè i gruppi che fanno dei propri limiti una bandiera sino all' involontaria autoparodia, cioè punk, hard rock e metal.
Dopo shoegaze e trip hop il terzo filone peculiare degli anni '90, pur se non prolificissimo è il cosiddetto Post Rock. La definizione è stata coniata da Simon Reynolds (il guru della stampa musicale inglese) in una recensione (su The Wire del maggio 94) al libro “Rock and the pop narcotic”, che vede nel grunge la quintessenza del rock. Reynolds vedeva nel grunge invece il peggio della musica attuale, la somma di quella che potremmo definire una linea di destra rock, cioè i gruppi che fanno dei propri limiti una bandiera sino all' involontaria autoparodia, cioè punk, hard rock e metal.
ATARI TEENAGE RIOT: "Is This Hyperreal" (2011, Dim Mak)
Eccoci ad un attesissimo (almeno da parte mia) ritorno per gli Atari Teenage Riot di Alec Empire. Reduci da un ultimo disco come “60 Second Wipeout” che oltre un decennio fa rappresento un vero esempio di crossover tra elettronica, metal e estremismo ultra politicizzato e dal lungo periodo di stop causato dalla morte di Carl Crack, l'MC della formazione scomparso a soli trent'anni per overdose e che ha visto i vari membri rimanenti del gruppo cimentarsi in varie opere soliste sempre all’insegna del suono elettronico.
mercoledì 15 giugno 2011
CONTROSENSO: "La strada é di tutti (la verità é di tutti) (2011, Autoprodotto)
Quando, nell'ascoltare un disco, ci si rende conto che a metà scaletta si è persa l'attenzione e - soprattutto - quando questo si verifica per cinque volta di fila, allora forse c'è qualcosa che non va. E quello che non va è che, per l'ennesima volta, una giovane band italiana sforna un disco pulitissimo, prodotto benissimo, professionale nella presentazione, nella stampa, nel booklet e - naturalmente - con pretese rock, ma senza alcun contenuto degno di nota e senza la minima traccia di alcunché che ricordi anche da molto lontano un'attitudine rock.
ESMEN: "Tutto è bene quel che finisce" (2011, Greenfog Records)
Gli Esmen sono un gruppo nato e sviluppatosi dalla mente di Fabrizio Gelli, che dopo aver pubblicato un ep di 5 canzoni, da vendersi alla maniera dei Radiohead di "In Rainbows", in download con offerta libera, grazie all'interessamento della Greenfog riescono finalmente a giungere alla prova sulla lunga distanza. "Tutto è bene ciò che finisce", questo il titolo dell'album, è un disco cantato in italiano, scelta coraggiosa per una band che inizialmente si proponeva con testi in inglese.
ROCK ARCHEOLOGY - THE HUMAN INSTINCT : "Kiwi psych heads"
Guido Sfondrini, il nostro prodigioso 'archeologo' sonico, ci propone un nuovo prezioso reperto dal passato (fortunosamente riattualizzato da immimenti ristampe), liberato dalle incrostazioni e da uno spesso strato di polvere depositatosi con gli anni: questa volta trattasi di rarissima 'nugget' scovata nella Nuova Zelanda. We hope that you like it! Enjoy people! (Wally Boffoli)
martedì 14 giugno 2011
THE GREENHORNES: "****" ("4 Stars")(2010, Third Man Records)
Ritorno atteso questo dei Greenhornes, con un disco uscito nel novembre 2010. Almeno cinque anni, infatti, separano "****" ("4 Stars") dalle loro precedenti prove discografiche (un EP e una raccolta), nonchè dal loro contributo alla colonna sonora del film 'Broken Flowers'. Ed è proprio Jim Jarmusch a scrivere le liner-notes per questa uscita "stellare" per la Third Man Records, etichetta di Jack White (The White Stripes). Chiariamo subito una cosa: se cercate dell'originalità a tutti i costi non la troverete nel trio di Cincinnati, e probabilmente questa cosa a loro non interessa nemmeno tanto.
IL CARICO DEI SUONI SOSPESI: “Condizione Alienata” (2011, Autoprodotto)
Intelligente, acuto, ironico, colto, uncool e snob. Questi sei aggettivi, tutti da intendersi nell'accezione di complimenti, descrivono in breve “Condizione Alienata”, il primo lavoro autoprodotto e autodistribuito (gratuitamente scaricabile dal sito) di un eclettico quintetto fiorentino che va sotto il nome de Il Carico dei Suoni Sospesi. Nel sapore complessivo del lavoro c'è un inconfondibile sfumatura anni '90: il ricordo va all'attitude delle bands alternative con voci femminili alte e taglienti che cantavano testi aggressivi in italiano.
lunedì 13 giugno 2011
JAZZ-ROCK - "A Story - Fourth Part" - l'Italia: Perigeo, Area, Arti e Mestieri
Il 13 GIUGNO 1979 moriva per un maledetto morbo tropicale l'immenso DEMETRIO STRATOS degli immensi AREA, come ci ha ricordato 'caramente' il compagno nostro collaboratore RICARDO MARTILLOS: ma oggi c'è stata anche una grande vittoria, e Demetrio ne sarebbe stato molto felice. Riproponiamo, come piccolo contributo di DISTORSIONI, un articolo di LUCA SANNA sul jazz-rock contenente un sentito omaggio a DEMETRIO STRATOS e AREA (wally boffoli)
ANDREW'S CORNER - VAMPIRE RODENTS: "Lullaby Land" (1994, Re-Constriction)
Continua con Vampire Rodents band e "Lullaby Land" disco, davvero 'sorprendenti', difficilmente ricollegabili ad altre esperienze soniche e d'avanguardia, la personale retrospettiva del nostro Andrea Fornasari sugli artisti e sui dischi più corrosivi degli anni '80 e '90, soprattutto americani (wally boffoli)
Intanto precisiamo subito una cosa: il titolo è fuorviante. Qui di ninnenanne non ce ne sono. Sfido chiunque nel riuscire a dormire con un simile sottofondo. La band era composta principalmente da due elementi, due professori universitari: i Vampire Rodents erano un progetto aperto, vi partecipavano vari musicisti e cantanti. Alla fine il duo compone il puzzle, stendendo un tappeto sonoro estremamente vasto e variegato. Si passa dalla musica classica contemporanea, all'avanguardia industriale, ad accelerati riff hardcore e campionamenti improvvisamente tagliati da stacchetti stile Rip Rig+Panic, per poi affondare nell'heavy più estremo.
Intanto precisiamo subito una cosa: il titolo è fuorviante. Qui di ninnenanne non ce ne sono. Sfido chiunque nel riuscire a dormire con un simile sottofondo. La band era composta principalmente da due elementi, due professori universitari: i Vampire Rodents erano un progetto aperto, vi partecipavano vari musicisti e cantanti. Alla fine il duo compone il puzzle, stendendo un tappeto sonoro estremamente vasto e variegato. Si passa dalla musica classica contemporanea, all'avanguardia industriale, ad accelerati riff hardcore e campionamenti improvvisamente tagliati da stacchetti stile Rip Rig+Panic, per poi affondare nell'heavy più estremo.
JAMES LEG: “Solitary Pleausure” (2011, Alive Records, Goodfellas)
Lanciando un’occhiata alla copertina stile gothic, ci s’inquieta. Lo stile è cupo, sullo sfondo nero due scarne e bianche mani dalle tonalità bluastre intrecciano le dita e il teschio dell’anello, seppure piccolo, pare vedere tutto! Ad ascoltarlo, poi, l’impatto è pesante, piacevolmente pesante: percussioni picchiano a tutto spiano nel brano di apertura, Have To Get It On, ed è energia pura. C’è tutta la migliore tradizione del rock nel brano che apre l’opera di James Leg, “Solitary Pleausure”. Lui è in realtà John Wesley Myers, è del Tennessee, dove l’album è stato registrato.
GREVE: “Greve EP” (2011, IndieBox)
Quando si chiamavano Virginia Madison tendevano ad un melodic hardcore brillante e coinvolgente che tuttavia strizzava l’occhio a gruppi leggendari e precursori di un genere che più o meno ci aveva già raccontato tutto. Ovviamente anche per motivi di collocazione temporale oramai abbondantemente fuori dagli impeti furoreggianti della generazione punk, gli stessi Bad Religion, Strung Out e Nofx (per citare solo i più importanti) avevano avuto semplicemente la capacità di rendere più vicini al melodico dei generi fino a quel momento lontani dai clamori popolari, riportandoli alla ribalta come una moda prima abusata e poi, alla stessa velocità, archiviata.
DAN SARTAIN: “Legacy of Hospitality” (2011, ONE LITTLE INDIAN, Goodfellas)
Chi conosce bene Dan Sartain si tufferà su questa sua ultima release con il gusto che ogni fan ha per i take alternativi, per le versioni inedite dei grandi classici, per le b-sides e per i memorabilia in generale. Per chi non avesse familiarità con questo bizzarro e malinconico giocoliere del rock'nroll, che qualche anno fa si autodefiniva “nato nel fuoco e battezzato nelle lacrime di Johnny Cash”, “Legacy of Hospitality” è un bignami perfetto, in grado di riassumere l'intero universo sonoro di una carriera.
domenica 12 giugno 2011
LIVE REPORT - "James Chance and The Contortions" - Torino, @Spazio 211, 16 marzo 2011
Monica, l'autrice di questo live report sul recente show torinese di James Chance & the Contortions, nel 1978, quando uscì "No New York", il caustico manifesto della No Wave newyorkese prodotto da Brian Eno, credo fosse piccina assai: lei stessa nell'articolo che leggerete ammette candidamente di conoscere pochissimo ciò che successe artisticamente in quegli anni nella Grande Mela. Nondimeno le ho affidato, dandole fiducia (ricambiata con tanta buona volontà) e puntando sulla sua istintività, questo live report, contaminato (confesso!) in qualche punto dal sottoscritto, cercando tra l'altro di alleviare anche in minima parte il cocente dolore di non aver assistito in prima persona a uno dei recenti show italiani di James Chance.
ROYAL TRUX: "Drugstore Cowboys", 1988 - 2002
Mi piace pensare alla musica dei Royal Trux come ad un frullatore dentro al quale vengono prima triturati e poi amalgamati i più svariati nomi dal summit storico-enciclopedico del rock e non solo. Riesco anche a intravvederli nel bel mezzo del loro processo creativo: un enorme sacco contenente centinaia di foglietti di carta con su scritti altrettanti riferimenti musicali (nomi, quando non addirittura titoli di canzoni), e da lì vengono pescate a sorte le coordinate per l’ispirazione del prossimo pezzo. Certo, visto con questo criterio il gruppo sembrerebbe affidare tutto alla casualità, mentre ogni album della band possiede una peculiarità concettuale a sé.