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venerdì 3 giugno 2011

INTERVISTE - DORIAN GRAY: Davide Catinari

Dopo aver recensito "La Pelle Degli Spiriti", l'ottimo nuovo lavoro dei sardi Dorian Gray il nostro Maurizio Galasso ha intervistato il cantante-frontman della band Davide Catinari

Distorsioni: “La pelle degli spiriti” racchiude in un unicum molteplici aspetti artistici. Il Premio Lunezia che ti fu conferito per "Spleen" crea un ponte fra Ginsberg e la cosiddetta Beat Generation e Rimbaud, Baudelaire, Verlaine. In che misura e con quali dinamiche la poesia e la letteratura in genere hanno influenzato la tua musica e viceversa?
Davide Catinari: Il rapporto con certa letteratura è sempre stato una costante della mia scrittura ma non ho mai permesso che prendesse il sopravvento sull’immediatezza dei testi, che devono raccontare, esprimere, descrivere ma mai rappresentare un’opinione assoluta. Normalmente scrivo la musica prima del testo e questo forse mi aiuta a essere più conciso nell’elaborazione di concetti che debbono incastrarsi in metriche precise, cercando di rispettare le parole che uso, il loro significato e la loro musicalità.
In questo senso la mia scrittura lascia lo spazio all’interpretazione che la prima persona plurale violenta sistematicamente. Le canzoni non devono sostituire la realtà, ma possono trasferirla. Quando si limitano a descriverla, almeno per me, perdono energia, diventano una lettura banale di ciò che vediamo già da soli. Una canzone ha occhi e cuore, come un bambino, e non è bello mentire a un bambino.

Parlaci di come si è evoluto, a tuo modo di vedere, il progetto Dorian Gray dagli esordi del 1989 alla realtà 2011
I Dorian Gray sono nati principalmente per reazione al sixties revival di fine anni ’80, con una proposta musicale assolutamente controcorrente per l’epoca. Sembra strano dirlo oggi ma l’attitudine che ci spinse a formare la band derivava dall’approccio punk tipico della generazione a cui appartengo, che non ha mai apprezzato la ciclica ripetizione di modelli cristallizzati. La seconda vita, quella che inizia nel 2008 per intenderci, è figlia di un percorso certamente meno autodistruttivo e più consapevole, perché le cicatrici debbono pure insegnarti qualcosa.

Siete una band storica della scena musicale indipendente. Ha senso secondo te questa definizione nell’epoca dei social network e dei dischi fatti in casa? Qualunque sia la risposta, perché?
L’indipendenza è come la libertà, un’utopia di cui tutti abbiamo bisogno per sentirci unici. Questo è il vero punto di scollamento fra le parole, il loro significato e la realtà del quotidiano. Credo che mai come oggi il valore di certi concetti sia talmente trasfigurato da rappresentare esattamente l’opposto del senso etimologico del termine. Quando tutti si proclamano indipendenti probabilmente la gabbia del conformismo è sold out come un concerto di Ligabue.

Ho apprezzato molto il suono e l’uso delle chitarre ne “La pelle degli spiriti”. Ti va di dirci qualcosa circa gli strumenti usati e l’approccio con gli stessi da parte di Samuele e Nico?
Nel disco Samuele suona diverse chitarre, dalla Martin alla Gibson 335, Nico invece è votato al suono Fender. Gli cedo volentieri la parola.
Nico: Il nuovo corso dei Dorian Gray, da “Forse il sole ci odia” in poi, è sicuramente caratterizzato da un differente utilizzo delle chitarre, che conservano comunque un ruolo prevalente. Del resto quasi tutte le songs sono state scritte alla chitarra da Davide, che ha un approccio allo strumento tutt'altro che canonico. Al suono muscolare, industriale e abrasivo dei primi album, è subentrato un arrangiamento chitarristico che rimanda piuttosto a scenari desertici, rarefatti, liquidi. Questi intenti motivano l'utilizzo di una chitarra twanging, di timbri prevalente acuti, di reverberi dilatati nel tentativo di enfatizzare quanto di caustico e abrasivo già ci fosse nei primi lavori. Mi piace pensare che lo slide di chiara matrice blues, rievochi le sonorità narco-lisergiche di Ry Cooder in Paris-Texas.

Quali sono state le tue primissime influenze musicali?
Sono sempre stato un appassionato di musica estera, per lo più anglosassone. Ho passato l’adolescenza sbattendo e percuotendo tutto ciò che mi capitava a tiro sperando di diventare un batterista ascoltabile. All’inizio adoravo tutte le band con sound importante e granitico, poi è subentrato l’ascolto meno ormonale e più malinconico, ma ero già più grandicello e cominciavo a ragionare da frontman, con tutte le responsabilità del ruolo. Comunque il mio primo album, almeno il primo che ho comprato, fu “Houses of the Holy”, dei Led Zeppelin.

La scelta del luogo “altro” per effettuare le registrazioni mi è sembrata perfetta non solo per l’aspetto ambientale, ma anche simbolico. Il teatro: tempio della dicotomia sogno/realtà. Tu che ne pensi?
Volevamo un suono riconoscibile e tecnicamente la scelta di utilizzare ambienti naturali, diversi da quelli dello studio di registrazione è stato il vero plusvalore del progetto. Il teatro restituisce la profondità che amplifica la visione onirica delle canzoni. Personalmente credo che la profondità sia il più grande regalo che la musica possa fare a ognuno di noi ed è per questo che abbiamo cercato di rispettare l’integrità del suono che usciva dal palco e dalla sala. Un’esperienza interessante, che ci ha insegnato molto.

Questo è un disco di grande spessore, tecnico e artistico; cosa avete in programma per promuoverlo al meglio e diffonderlo?
Ti ringrazio di cuore per le tue parole. Nei prossimi mesi sono previsti alcuni showcase nel circuito Fnac e Feltrinelli e una decina di date, probabilmente anche in Germania, come appendice estiva del tour vero e proprio che comincerà a Settembre nei club italiani.

La formazione per i prossimi tour rimarrà la stessa?
L’investimento nella band è qualcosa che tutti gli attuali membri hanno sottoscritto con il cuore prima che con la mente. Credo che la line up attuale sia la migliore espressione del suono Dorian Gray
Maurizio Galasso

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