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sabato 8 gennaio 2011

THE DECEMBERISTS: “The King Is Dead” (2011, Capitol)

Dopo aver conquistato una posizione di rilievo nel panorama indie rock con il loro album del 2009 “The Hazard of Love” che suonava molto come una parodia di se stessi, sorta di opera rock di portata enorme e che rispecchiava esattamente ciò che nessuno si sarebbe aspettato da loro, ecco arrivare il nuovo album dei Decemberists “The King is dead", il cui titolo è già un omaggio probabilmente anche a se stessi oltre che agli Smiths che forse, in risposta alle critiche , salta esattamente sull’altro piatto della bilancia.
Mentre "Hazard of Love" era un concept-album pieno di preludi e caratterizzazioni stipate nelle 17 tracce che lo componevano, questo nuovo lavoro è

MILES DAVIS : "Bitches Brew" - Recording Date: Aug 19, 1969 / Jan 28, 1970 (Sony, Jan 1970)

Prima che il 2010 terminasse ci sono state le celebrazioni per i 40 anni di "Bitches Brew", il capolavoro di Miles Davis che ha fatto da spartiacque nella storia del jazz quanto in quella del rock: é stata una ghiotta occasione per riascoltare/riesplorare un disco che non credo di esagerare nel definire "uno dei più importanti parti musicali in assoluto" della mente umana nel secondo millennio. Noi ve lo facciamo riassaporare a 2011 appena iniziato, attraverso i nostri link ipertestuali, a corredo dell'ottima recensione di Edoardo Petricca: non potrà farvi altro che bene. La percezione nel riascoltarlo? L'Africa é davvero il continente da cui tutti proveniamo!

I tempi, la copertina, l'organico.
L’estate del 1969 verrà ricordata per tante cose: la politica, i viaggi nello spazio, la guerra in Vietnam, brutti occhiali e lozioni per capelli. Verrà ricordato anche per la pubblicazione di un disco che ha mutato le sorti della musica jazz e della musica rock. Il 1969 è l’anno di “Bitches Brew” di Miles Davis. Il disco fu registrato per la precisione tra l'agosto del 1969 e gennaio del 1970: la 'release date' accreditata é gennaio 1970.
Recensire questo disco non è cosa da poco. E’ un disco inaudito, unico ed inimitabile. Irripetibile. Rivoluzionario. Un flusso di coscienza sonoro,un muro impressionante di elettricità che si staglia come un monolite nel cielo.
Prima di ascoltare il disco rimango impressionato dalla bellezza e dal mistero della copertina, un dipinto dell’artista tedesco Marti Klarwein, già noto per aver illustrato il mitologico disco di Santana “Abraxas”.
Un fiore che brucia (simbolo della stagione dei ‘figli dei fiori’ che muore) che si ricongiunge ad un cielo in tempesta, che si staglia su un mare schiumoso, alle cui sponde un uomo e una donna abbracciati, due nativi africani, scrutano l’orizzonte. Sul retro, due mani, in un intreccio di dita, si uniscono ed emanano da una donna bifronte, nera e bianca anch’essa, con il volto imperlato di sudore ma con i tratti somatici dei nativi d’Africa, quasi a comunicare che l’uomo bianco discende dall’uomo nero. Nero è anche l’uomo incappucciato che si trova accanto a questa immagine, nera è la strega, con il volto truccato di bianco ed un’espressione tra il messianico e l’orgiastico.
Doppia è la copertina, doppia è la formazione che accompagna Davis. Due batteristi (Jack DeJohnette e Lenny White), due percussionisti (Don Alias e Jumma Santos), due sassofonisti (il soprano di Wayne Shorter e il clarinetto basso di Bennie Maupin), tre pianisti elettrici (Chick Corea, Joe Zawinul, Larry Young), due bassisti (il basso elettrico di Harvey Brooks e il basso acustico di Dave Holland), infine la chitarra di John McLaughlin che si contrappone alla tromba distorta, piena di echi e riverberi, grazie agli effetti di editing del suo produttore Teo Macero.

Il primo disco
Il primo disco è un flusso ininterrotto di elettricità e tribalismo. Il primo brano, Pharoah’s Dance, di Joe Zawinul, perfetto alter-ego musicale di Miles che di lì a poco fonderà i Weather Report, si dilata per venti lunghissimi minuti, in un incalzare sincopato e allo stesso tempo spezzettato delle batterie, tra cui si insinuano le tastiere elettroniche e le percussioni, in una sorta di rito iniziatico, di battesimo del fuoco.
La musica viene dilatata, espansa, in una sorta di brodo psichedelico: le tastiere avanzano ringhiando, la chitarra di McLaughlin disegna paesaggi elettrici, mentre la tromba di Davis si situa al di sopra delle trame sonore suonando tre note cacofoniche prima del caos. Pause, accelerazioni improvvise. Cambi di tempo. Sovrapporsi di suoni e note. Un muro sonoro scolpito dall’improvvisa tromba di Miles.
Il secondo brano, la title track Bitches Brew, firmata dallo stesso Davis, ci regala altri ventisei minuti di fuoco. La tromba di Miles fa da guida con le sue note intrise di eco e riverbero, preludendo alla frase del basso che sembra emergere dal nulla e viene poi coadiuvato dal borbottio del clarino basso e dallo schioccare di dita di Miles. Poi un suono viene lanciato, quasi all’unisono, dagli strumenti e la tromba di Davis scimmiotta il tema di Spinning Wheel dei Blood Sweat and Tears, quasi una beffa, uno schiaffo in pieno volto alla borghesia bianca votata al jazz che vuole suonare come i neri senza riconoscerne il merito e, soprattutto, l’influenza.

Il secondo disco
Il secondo disco suona più calmo e disciplinato. In Spanish Key, Jack DeJohnette e Lenny White suonano un tempo marcatamente rock su una ritmica funky della chitarra di McLaughlin: le tastiere impazzite di Corea e Larry Young innestano un dialogo con la tromba di Miles Davis in una sorta di jam-session collettiva sullo stile bandistico delle fanfare di New Orleans.
John McLaughlin, suonato solo dalla sezione ritmica, senza Miles e Shorter, è un atto di ringraziamento nei confronti dell’altro alter-ego di Miles, McLaughlin, e segue gli stessi modi rhythm and blues della precedente composizione in poco più di quattro minuti, una sorte di ponte al finale di Miles Runs the Voodoo Down, quasi festosa, colorata e bandistica, guidata dalla batteria di Don Alias. Sanctuary e Feio chiudono il disco.
Dopo quarant’anni questo disco suona ancora fresco e rivoluzionario, come fosse uscito ieri.
Un capolavoro senza tempo che ha finalmente abbattuto le barriere tra jazz e rock, inaugurando un modo nuovo di produrre la musica e di fruirla, con i rivoluzionari utilizzi della stereofonia e degli elementi di editing e post–produzione del mago Teo Macero, ma soprattutto con le geniali trovate di un musicista unico ed inimitabile come Miles Davis, che filtra tutte le esperienze della musica nera e bianca e le sintetizza in una maniera del tutto inedita ed assolutamente affascinante.
Edoardo “Voodoo” Petricca

LOST IN TREES: "All Alone In An Empty House" (2010, Anti)

Arrivano da Chapel Hill, North Carolina Lost In Trees e sono una vera e propria orchestra folk.
Già pubblicato nel 2008 dalla Trekky Records, "All Alone In An Empty House" viene ora riproposto dalla Anti records, una delle etichette alternative più importanti degli ultimi anni.
A primo impatto si può avere l'impressione di ascoltare il solito disco di canzoni pop folk ma presto ti rendi conto che invece è qualcosa di più.
"All Alone In An Empty House" si presenta come un album autobiografico dove all'interno vivono più di un anima musicale, quella folk, quella pop e quella classica.
Per Ari Picker, fondatore dei Lost In Trees, la musica ha molti ruoli nella vita, può essere un meccanismo di difesa, un modo di affrontare le relazioni difficili che si vivono. Cantare è un modo di lasciare andare il dolore.
Le canzoni dell'album si riferiscono alla casa dove Ari Picker è nato, ai rapporti difficili tra i suoi genitori e a una serie di eventi non troppo belli, come la morte alla nascita della sorella gemella.
"All Alone In An Empty House" è un disco vivo, che sussura emozioni e urla di dolore, un giardino ricco di mistero, amore e inquietudine. Un giardino dove sarà facile perdersi tra gli alberi.

Michele Passavanti

All Alone In Empty House
Song for the painter
Love on my side
Walk around the lake
Mvt II. Sketch
Lost in The Trees Perform A Room Where Your Paintings Hang at ExploremMusic
Lost in the Trees "Wooden Walls of this Forest Church" 1/15/10 NCSSM

venerdì 7 gennaio 2011

SONIC YOUTH - News and “The Eternal” (Matador, 2009)

Sonic Youth news

Le notizie più recenti che riguardano i Sonic Youth sono la realizzazione della soundtrack del thriller francese Simon Werner A Disparu, premiato a Cannes ad inizio 2010. La colonna sonora uscirà a Febbraio per la loro label Sonic Youth Recordings .
Nel 2011 poi ci sarà l'uscita di "Benediction", album solista di Thurston Moore prodotto da Beck (ci canta anche). Sempre attivi e stakanovisti Kim Gordon, Thurston Moore & c. Il loro ultimo lavoro in studio risale al 2009: ci parla della band e di "The Eternal" Edoardo Petricca. (wally)

The Eternal

Grunge, noise-rock, post-hardcore e gran parte dell’indie-rock anni '90 devono la loro esistenza anche alla musica dei Sonic Youth, che hanno funzionato da catalizzatori nell'assimilazione dei linguaggi del rock e della musica d'avanguardia da parte della generazione di musicisti del dopo-punk. La musica dei quattro newyorkesi è un rock chitarristico ‘totale’, che incrocia la grammatica del garage-rock, del punk, della no-wave, dell’hardcore, applicandole ora alla trance del rock psichedelico, ora al pop chitarristico più calmo.
Intellettuali, ma grandi conoscitori del rock e appassionati di cultura pop e underground, i Sonic Youth hanno fatto conoscere i Grateful Dead ai cultori dell’hardcore e delle piccole etichette indipendenti, accorpando le suggestioni di trent’anni di musica popolare in un’amalgama sonoro che sapeva essere rabbioso, nichilista, sognante, delicato, pesante, disturbante, pauroso e sensuale. Sono stati definiti ‘noise-rock’ per l’abbondanza del rumore nei loro brani, ma tante altre definizioni sarebbero perfette per inquadrare le tante sfaccettature della loro musica.
Nonostante l'alternarsi di capolavori e cadute nel manierismo, a quasi trent'anni dalla loro genesi i Sonic Youth possono vantare una delle più prestigiose e sfaccettate carriere della storia del rock. Icone e iconoclasti allo stesso tempo, i Sonic Youth sembrano possedere un'eterna giovinezza, quella giovinezza ‘sonica’ che ancora oggi riescono a far esplodere sui palchi di tutto il mondo, come se gli anni per loro si fossero fermati a quella confusion che ha reso i loro dischi delle autentiche miniere d'oro di sperimentazioni e soluzioni melodiche.

L’ultimo album pubblicato è “The Eternal" (Matador, 2009). Nonostante non sia una delle migliori produzioni dei ‘giovani sonici’ racchiude un pò tutto ciò che hanno composto e scritto in più di venti anni di carriera. È allora giusto accostarsi a “The Eternal” con la consapevolezza che dopo una carriera così lunga e gloriosa non si può pretendere da Thurston Moore e soci un nuovo capolavoro, ma chieder loro semplicemente di invecchiare bene e in maniera coerente con il loro eccelso passato d’oro.
Non c’è eccessiva sperimentazione ma si percorrono soluzioni sonore/soniche di alto livello. Il passaggio alla Matador, etichetta indipendente tra le più prestigiose di New York, non solo segna una frattura con la Geffen ma, paradossalmente, un passaggio verso una nuova dimensione, più matura e consapevole, in cui il suono arrugginito delle chitarre elettriche distorte non è solo un mezzo per portare fuori uno stato d’animo esistenziale, per metterlo a disposizione di una platea di giovani più o meno infervorati, ma diviene funzionale al testo che comunque i Sonic Youth hanno sempre considerato come uno degli elementi fondamentali della loro musica.
“The Eternal” non aggiunge nulla di nuovo alla loro discografia, se non alcune semplici ma intriganti virate melodiche, ma conferma la grandezza di una band che riesce ancora ad emozionare. Non è, quindi, un album fondamentale ma si può considerare come una specie di bignami della storia della gioventù sonica. È ipnotico, allucinante, coinvolgente, si lascia ascoltare facilmente e ha il merito di aver fatto uscire il gruppo da una crisi artistica che durava da troppi anni.
Due sono i brani che rispecchiano molto bene la loro carriera. Il primo,  Sacred Trickster, è anche l’incipit dell’album. Il brano in questione è di una immediatezza e rumorosità impressionanti.
Dopo un intro cacofonico, memore degli esordi sonici, la voce di Kim Gordon ci culla per tutta la durata dell’album. Resta, insieme ad altri tre, il miglior brano dei Sonic Youth da cinque anni a questa parte.
Il secondo brano è Massage The History, conclusivo del disco. Il meglio i ‘sonici di mezz’età’ sembrano averlo riservato per la fine, per i quasi dieci minuti del brano in questione, le cui continue placide variazioni riportano alla dimensione attualmente più confacente alla band, quella della consapevole maturità di “Washing Machine” e “A Thousand Leaves.
Edoardo Petricca

Malibu Gas Station
Antenna
Leaky Lifeboat

Sonic Youth

SPIRIT: story and selection, by Wally Boffoli

SPIRIT: Randy California (guitar, vocals, bs) - Ed Cassidy (drums) - Jay Ferguson (keyboards, vocals) - John Locke (keyboards) - Mark Andes (bass, vocals)

Nel ricco,variegato e rivoluzionario panorama rock californiano della seconda metà dei '60 gli Spirit (si formano a Los Angeles nel 1967) si distinsero per un'ispirazione talmente originale ed eclettica che non é mai stato facile 'costringerli' sotto un'etichetta. Se attribuiamo al termine 'sixties psychedelia' un'accezione estremamente elastica, che comprenda oltre l'uso acido di chitarre e tastiere quello di archi, fiati ed influenze jazz, allora potremo dire che gli Spirit furono una band psichedelica: estremamente raffinata però, come nessun'altra nel panorama 'alternativo' di quegli anni, tanto da guadagnarsi nel vademecum musicale online AllMusic etichette come 'Prog-Rock' ed 'Art Rock'. Nei loro brani sono presenti anche componenti folk, soul-rock (I Got A Line On You) di musica classica e contemporanea, riferimenti alla tradizione ebraica(Jewish).

Giusto per capire: il batterista Ed Cassidy ed il tastierista John Locke, ad esempio, prima degli Spirit avevano suonato insieme nel New Jazz Trio. Cassidy suonò anche nei Rising Sons. Randy California, grandissimo chitarrista, ebbe la ventura invece d'incontrare Jimi Hendrix a New York quando era ancora semisconosciuto e si faceva chiamare Jimmy James; con lui California suonò per una breve stagione, in Jimmy James & the Blue Flames, poco prima che Hendrix fosse scoperto dal manager ex-bassista degli Animals Chas Chandler e 'teletrasportato' a Londra, dove successe ciò che tutti sappiamo!

Anche il bassista Mark Andes ed il tastierista Jay Ferguson venivano da precedenti esperienze, tra cui i Red Roosters con gli stessi Cassidy e California; Andes e soprattutto Ferguson furono in possesso di una notevole vena compositiva coadiuvando California e Locke, e siglando alcuni tra i migliori episodi degli Spirit (Animal Zoo, When I Touch You, Cold Wind, Dream Within A Dream, Silky Sam, Fresh Garbage). Gli album seminali degli Spirit furono quattro: "Spirit" (1968, Sony), "The Family That Plays Together" (1968, Epic/Legacy), "Clear" (1969, Epic/Legacy), "Twelve Dreams of Dr. Sardonicus" (1970, Epic/Legacy), con una profusione di geniali intuizioni compositive (scrivevano tutti e cinque) e strumentali talmente sbalorditiva da lasciare senza fiato; una concezione trasversale ed 'universale' del rock, marchiata così a fuoco dalla tendenza per le contaminazioni da risultare assolutamente 'contemporanea'.


Gli Spirit continuarono ad incidere conservando un'alta qualità musicale per tutti gli anni '70 (ottimo rimane "Feedback", 1972 / London Sinfonietta Label), anche dopo l'abbandono di Randy California, che inciderà notevoli album solisti, e di Mark Andes e Jay Ferguson, che formeranno i validi Jo Jo Gunne; della formazione originale in Feedback rimangono i soli Ed Cassidy e John Locke. Usciranno albums degli Spirit sino a secondo millennio iniziato, quasi sempre 'compilation' e live risalenti agli anni '70.

Nella seguente Selection ho scelto alcuni tra i brani più rappresentativi ma anche più eclettici della produzione degli Spirit, sperando di introdurvi adeguatamente alla (ri) scoperta dell'immensa eredità artistica lasciataci da una delle più sottovalutate (e poco presenti in sede critico/informativa) bands di ogni epoca.
Wally Boffoli


From "Spirit" (1968)

Fresh-Garbage (Ferguson)

Mechanical World (Andes, Ferguson)

Elijah (alternate take, 1967) (Locke)

Taurus (California)




From "The Family That Plays Together(1968)

I Got A Line On You (California)

It Shall Be (California, Locke)

Silky Sam (Ferguson)

Dream within A Dream (Ferguson)



From "Clear"(1969)

Dark-Eyed Woman (California, Ferguson)

Apple Orchard (Andes, California, Cassidy)

Cold Wind (Ferguson) Give A Life, Take A Life (Adler, California) 1984 (California)





From "Twelve Dreams of Dr. Sardonicus" (1970)

Nature's Way (California)

Mr. Skin (Ferguson, Spirit)

When I Touch You (Ferguson)

Why can't i be free (California) / Love has found a way (California-Locke)

Prelude - Nothin' to Hide (California)

giovedì 6 gennaio 2011

'80s CALIFORNIAN PUNK - "Hell come to your house", vol. 1 var .art. 1981, rec. date: Jul 1981 - Sep 1981 (1981, Time Bomb Recordings/Bemisbrain)

Alla luce del successo che ha avuto la prima Californian Punk Selection pubblicata, by Marco Colasanti, mi ha fatalmente rapito la psicosi di rispolverare (é proprio il caso di dirlo!) e proporvi dalla fanzine cartacea che curavo nei primissimi anni '80 alcuni dei miei articoli scritti in quella stagione incredibile e irripetibile di grande punk americano: creatività e furore esecutivo elargito a piene mani. Il primo articolo riguarda una delle migliori compilation uscite nel 1981, "Hell Comes to Your House".
Vi confesso che m'intrigano tantissimo questi 'trapianti' dalla carta in Internet, soprattutto perché si tratta di materiale mai apparso prima d'ora; custodisco da trent'anni gelosamente tutti gli originali cartacei: si sono 'violentemente' ribellati alla polvere che li intasava ed ora gridano vendetta!
Naturalmente confido nei vostri feedbacks, come sempre! Solo da essi dipendono ulteriori pubblicazioni di preziosissimi 'reperti' punk/new-wave che probabilmente voi 'pischelli' in ascolto ignorate!
(wally)


Articolo tratto dalla punk - fanzine cartacea Blacks/Radio (supplemento Stampa Alternativa,1981)

"Se la Posh Boy, SST e New Alliance Rec. sono attivissime, le altre piccole etichette punk californiane non stanno certo a guardare! "Hell Comes to Your House" per la Bemisbrain e "Keats Rides a Harley" per l' Happy Squid sono due tra le raccolte più riuscite ascoltate di recente.
"Hell Comes to your House" esprime in modo esauriente lo stato d'animo delle frangie giovanili più esasperate di Los Angeles e dintorni. Cover rosso-nightmare, foto raccapriccianti di zombies da 'Notte dei morti viventi': sentirsi degli zombies significa la estrema rinuncia nichilistica a qualsiasi cambiamento della realtà?
I TSOL si rivelarono profeti con il loro "Dance With Me" e le band di quest'antologia affondano ancor più i bisturi nella piaga producendo brani che trasudano un pesante ed orrido suspence; potrebbero essere la colonna di 'horror movies'! Super Heroines ad esempio, forse i più abili nel forgiare piccoli capolavori 'horror comics'; la loro capacità di creare atmosfere articolate ed estremamente dinamiche si riscontra in Death On The Elevator ed Embalmed Love.
Capacità comune ai Christian Death, che con Dogs, lenta ed immersa in un cupo senso di panico, siglano uno degli episodi più inquietanti dell'album.
Esasperati ed esasperanti Secret Hate e Conservatives con i loro piccoli medley all'insegna del parossismo e dello sconvolgimento nervoso. Cover di brani seminali da parte di Modern Warfare (una Street Fighting Man irriconoscibile più l'epica Out of my Head ) e Red Cross (una sarcastica Puss 'n' Boots).
Eccitanti ed epici come sempre i Social Distortion, che con Lude Boy e Telling Them si confermano tra i più perversi punk-groups dell'ultima onda.
Si vibra morbosamente con l'allettante masochistico invito di 100 Flowers Reject yourself ! Insoliti e sarcastici i brani di Legal Weapon (Daddy's gone mad) e Rhino 39, che paiono mutuare l'ispirazione cabarettistica delle Dolls di
"Too Much Too Soon".
Infine 45 Grave, che comprendono due ex-Germs, Pat Smear alla chitarra e Don Boles alla batteria. Ancora malessere, cattiveria e necrofilia: riff taglienti come lame di toledo e passaggi strumentali killer! Tre brani per 45 Grave (Evil, Concerned Citizen , 45 Grave) che introducono in modo ineffabile 'l'inferno nelle vostre case'.
E se vi sembra di ascoltare dei rumori strani provenire dal corridoio, aumentate il volume del giradischi, 'stonarvi' con il punk malsano di questo album non può farvi altro che bene! '

Wally Boffoli

BOOK REVIEWS: "Rosso Floyd" di Michele Mari (Einaudi, 2010) - Syd Barrett and Pink Floyd

Rosso Floyd. Romanzo in 30 confessioni, 53 testimonianze, 27 lamentazioni di cui 11 oltremondane, 6 interrogazioni, 3 esortazioni, 15 referti, una rivelazione e una contemplazione. Sono questi il titolo e il sottotitolo del romanzo che Michele Mari, affermato autore milanese, ha dedicato ai Pink Floyd. Perché in effetti di romanzo si tratta, anche se il punto di partenza è con molta evidenza un'approfondita conoscenza di tipo documentario sulle vicende che hanno caratterizzato la storia del gruppo da ancor prima della sua nascita nel 1965 allo scioglimento definitivo nel 2006. Ma, a partire dai fatti storici, Mari ricostruisce in forma romanzata sensazioni, sentimenti, opinioni, e immagina anche tutto ciò che non è noto della band, in modo da creare un ponte tra la verità e la finzione letteraria, tanto solido da rendere difficile probabilmente distinguere dove finisce l'una e dove comincia l'altra per chi non conosce in modo sufficientemente approfondito la storia del gruppo.
Il risultato, in ogni caso, è un intarsio perfetto che proietta il lettore nell'universo Floyd e un romanzo originale nell'impostazione, ben scritto e godibile per tutti.
La narrazione ha la forma di brevi capitoli nei quali a parlare sono i numerosi personaggi che hanno ruotato attorno alla storia della band inglese, raccolti e numerati in base alle categorie del sottotitolo. Dunque, innanzitutto le confessioni. Sono quelle dei membri del gruppo, cui l'autore attribuisce sembianze animalesche (e d'altronde gli animali sono molto presenti nella storia dei Pink Floyd), facendo parlare per primo l'uomo-topo Richard Wright:

«Mi chiamo Richard William Wright detto Rick, nato a Hatch End il 28 luglio 1943. Sono il tastierista dei Pink Floyd, l'uomo-Farfisa, sì. Sono diverso dai miei compagni, più di quanto possiate immaginare: non fatemi troppe domande ma vi assicuro che è così. Sono il più vecchio e il più saggio, e assomiglio a un topo. Roger invece è un cavallo. Nick è con tutta evidenza un cane. E Dave, beh non ci sono dubbi che Dave sia un gatto. Quanto a Syd ... Syd lo so cos'è, ma non ve lo posso dire. Piuttosto vi suggerisco di dare un'occhiata alle date di nascita.
Roger Waters, Bookham 6 settembre 1943.
Nick Mason, Birmingham 6 marzo 1944.
Syd Barrett, Cambridge 6 gennaio 1946.
David Gilmour, Cambridge 6 marzo 1946.
Tutti il 6. E se consideriamo Dave in alternativa a Syd abbiamo tre 6, che non ho bisogno di dirvi cosa significhino
».

Syd Barrett

L'unico a non fare nessuna confessione diretta nel libro è Syd Barrett ma non si può certo dire che sia assente dal romanzo. Al contrario, bisognerebbe forse dire che questo romanzo è dedicato a Syd Barrett più che ai Pink Floyd. Ogni azione, ogni composizione, ogni vicenda della vita dei Pink Floyd viene ricondotta alla presenza/assenza di Barrett e non a caso nella quarta di copertina c'è una frase in cui si parla di lui:

«Syd è impazzito perché era sempre un passo più avanti, e non essere mai in sintonia con gli altri fa di te un naufrago su uno scoglio, o un astronauta perso nello spazio... Qualsiasi cosa facesse o pensasse era sempre all'avanguardia, sempre: a un certo punto si trovò così in là che intorno a lui non c'era più nulla, e in quel vuoto precipitò».

Confessa ad un certo punto l'uomo-cavallo:

«Abbiamo avuto la sfortuna di perderlo, ma anche la fortuna di averlo, e di averlo all'inizio... E' l'inizio che conta, Dave, come nella vita di ognuno ... Si decide tutto entro i primi sei-sette anni, dopo è solo questione di aggiornamento ... E' stato così anche per i Pink Floyd, siamo un albero cresciuto da quel virgulto, per questo l'abbiamo tenuto in vita, per questo l'abbiamo tradito come ogni adulto tradisce il bambino che fu ...»

Dunque il libro racconta di Syd. Syd che compare improvvisamente in sala durante la registrazione di Shine on you crazy diamond, grasso, completamente calvo e con le sopracciglia rasate, Syd, anima ribelle e anticonformista che non si adatta alle richieste del manager Norman Smith tanto che la EMI lo avrebbe voluto fuori dal gruppo dopo l'uscita di “The Piper at the gates of dawn”, Syd interlocutore di Roger Waters in tutto “The Final Cut”, Syd vero ispiratore del personaggio di Pink in "The Wall". E poi Syd che viene aiutato da Robert Wyatt nella registrazione di “The Madcap Laughs”, e dagli stessi Gilmour e Waters nella realizzazione di tutti e due i suoi dischi, Syd nella successiva breve esperienza con Twink e Jack Monk negli Stars e così via.
Le confessioni sono dunque quelle dei quattro che l'hanno conosciuto, che hanno suonato con lui e che hanno vissuto la sua estromissione del gruppo con un più o meno grande senso di colpa; un'estromissione che ha segnato profondamente soprattutto Roger Waters, l'amico di infanzia di Syd, e David Gilmour, anche lui amico di lunga data di Syd, nonché la persona che ha insegnato a Syd i primi trucchi alla chitarra, voluto proprio per questo a sostituirlo. Quel senso di colpa che alla lunga porta al deterioramenteo dei rapporti e alla decisione di sciogliere il gruppo dopo l'uscita di “The Final Cut”, nonché alle varie e note vicende tra Rogers e Gilmour sull'uso del nome del gruppo, seguite poi dalla reunion per il Live Aid organizzato da Bob Geldof e da quelle successive.

Insomma, la storia dei Pink Floyd c'è tutta nel romanzo, attraverso le confessioni dei membri della band e attraverso le altre parti annunciate nel sottotitolo. Le testimonianze, tra le quali quelle degli impresari che in vario modo hanno avuto a che fare con il gruppo, dei musicisti che si sono alternati all'inizio, degli amici, colleghi e collaboratori come Robert Wyatt, Alan Parsons, Bob Geldof, John Peel. Ci sono poi le lamentazioni di chi come Stanley Kubrick li avrebbe voluti per la colonna sonora di 2001: odissea nello spazio e poi per Arancia Meccanica ma non è riuscito ad averli oppure quelle più ironiche di Pink Anderson e Floyd Council per il 'furto'del nome o del signor Arnold Layne, che ama indossare abiti da donna e improvvisamente trova questo suo vizietto raccontato in una canzone.
Infine le interrogazioni, come quella di Ziggy che chiede a David Bowie di parlare dei suoi rapporti con Syd (cui segue la testimonianza di Bowie «ho sempre amato Syd Barrett»), i referti (stralci da articoli di giornale, passi da libri e altri documenti simili), le esortazioni e una rivelazione oltre a una contemplazione che lasciamo alla curiosità dei lettori.
In conclusione, Rosso Floyd è un bel libro sui Pink Floyd e in particolare su Syd Barrett, la cui tesi di fondo può essere sintetizzata in questa frase tratta dalla testimonianza di Jason Coleman: «vi posso dire questo: che ogni volta che i Pink Floyd si sono trovati ad un punto morto, per ritrovare la strada hanno avuto bisogno di tornare a Barrett».
Un libro che piacerà, dunque, agli amanti dei Pink Floyd ma soprattutto a chi pensa che i Pink Floyd senza Syd Barrett non furono più la stessa cosa (e tra loro – lo confessiamo – c'è anche l'autrice di questa recensione), ma per capire come in realtà Syd Barrett nei Pink Floyd ci sia sempre stato.

Rossana Morriello

Pink Floyd With Syd Barrett - Interstellar Overdrive-Part 1
Pink Floyd With Syd Barrett - Interstellar Overdrive-Part 2
Astronomy Domine
Lucifer Sam
Jugband Blues

mercoledì 5 gennaio 2011

ZACH HILL - "Face Tat" (Sargent House/Goodfellas, 2010)

Il tropical-punk degli Abe Vigoda si è imbolsito prematuramente? Non disperate, ci pensa il percussionista Zach Hill a portare avanti quel discorso musicale, inventandosi un album che sguscia via da ogni parte. "Face Tat" pare una specie di riassunto in note di quello che è il curriculum di Zach: Marnie Stern, Prefuse 73, Wavves.
E ci sono poi da aggiungere gli ospiti speciali qui presenti: Devendra Banhart, Guillermo Scott Herren (Prefuse 73) nonché svariati membri di No Age, Hella e Deerhoof. Quello che ne viene fuori suona incredibile:The Primitives Talk staziona da qualche parte fra gli anni '80 di Heaven 17, gli anni '90 di Aphex Twin e gli anni '00 di Prefuse 73. L'uso dell'elettronica, poi, ha un sapore davvero antico: echi di Residents e persino qualche tinta forte dei Chrome, magari stemperata da breakbeats o da rumorismo puro (è il caso di Ex Ravers).
Mentre altrove è la follia degli Animal Collective a prendere il sopravvento: completamente scollata dalla forma canzone, però, rimane come deliro vocale vorticoso (The Sacto Smile). Più il disco va avanti, più storto si fa sulle gambe: Green Bricks potrebbe anche fingere di essere un pezzo indie-rock, ma somiglia molto all' Helios Creed dissonante.
E quando il ritmo si inceppa, ne nascono numeri di strambo 'shitgaze', talmente aleatori da dare l'impressione che il brano sia in realtà una specie di traversata sulle onde di una impazzita radio fm.

Massimo Padalino

The Sacto Smile

The Primitives Talk
Ex Ravers

Zach Hill

LOS VIDRIOS QUEBRADOS Reissue: "Fictions", 1967 (Anima Records, 2010)

In occasione della prima ristampa ufficiale, su vinile e rimasterizzata dai master tapes originali, uscita per Anima Records la scorsa primavera, vorrei parlarvi dei LOS VIDRIOS QUEBRADOS (I Vetri Rotti), un quartetto di studenti cileni che andarono completamente controcorrente. Grazie alla loro testa dura ci hanno lasciato come testimonianza il primo album Rock cileno composto interamente da brani originali: era il 1967 (gli stessi Stones non lo fecero sino ad Aftermath nel 1966)
Chiaramente lo si puó apprezzare ancor piú esaminando il contesto cileno dell’epoca, dove dominava la Nueva Ola, versione annacquata di successi stranieri sempre cantati in spagnolo;la veritá é che a queste orecchie "Fictions" ha fatto impressione sin dalla primissima volta, grazie a una ristampa bootleg in vinile del 1997 o giú di lí.
Senz’altro un disco di culto che con il tempo lo é diventato sempre piú, grazie anche ad internet: grazie ad essa le cose son cambiate tanto sia a livello di informazione che di reperibilitá; ben differente sarebbe trovare l’album originale! É un disco con uno stile tutto suo anche se di chiaro stampo beat/folk-rock con gruppi come Beatles, Hollies e Byrds come influenze dichiarate. Accenna alla psichedelia e sará una grande ispirazione perLos Mac’s ed il loro “Kaleidoscope Men” (anche questo ristampato da Anima) una sorta di "Sgt. Pepper" cileno!
Los Vidrios Quebrados rifiutarono qualsiasi compromesso, registrarono in 3 giorni e con chitarre costruite da loro, solo composizioni proprie, in un ottimo inglese in netto contrasto con le regole imposte dell’industria discografica cilena: covers e/o testi in spagnolo.
Il tono dell’album é abbastanza tranquillo, peró in un paio di pezzi il gruppo si lancia all’attacco, come nella title track o in Time is out of question brani che secondo il chitarrista e mente musicale del gruppo, Hector Sepulveda, rappresentano al meglio il loro suono dal vivo.
I loro testi si riferiscono spesso alla nuova generazione, al loro rifiuto del conformismo, al non giudicare dalle apparenze: parafrasandoli, “...anche Gesú Cristo portava i capelli lunghi”. Il mio brano favorito é la byrdsiana Inside your eyes che potrebbe essere stato un singolo... peró non accadde, infatti l’unico 45 uscí anteriormente, nel 1966, accoppiando 2 brani originali, Friend e la stupenda She’ll never know I’m blue. Purtroppo questi due brani non sono mai apparsi in nessuna delle varie ristampe.
Tra le varie ricordiamo che é apparso in CD in Cile nel 2000, e giá un paio d’anni fa come 10” per la spagnola Munster Records. Durante gli ultimi anni l’album “Fictions” é stato riproposto dal vivo in piú occasioni, grazie all’iniziativa del gruppo Matorral che ha accompagnato Juan Mateo O’Brien, cantante e membro originale de Los Vidrios Quebrados.

Aldo Reali

oscar wilde
inside your eyes
fictions

concert in a minor
miss l. o'b. spring
of life and guidance
we can hear the steps
both sides of love
time is out of question Juan Mateo O´Brien con Matorral (LIVE 2009)