Dove ci portano i Crystal Stilts giunti alla soglia del fatidico terzo album, da sempre grande prova del nove per tutte le band musicali? Ad un EP: “Radiant Door”. Nella loro breve ma prolifica carriera, questo lavoro, composto da cinque brani, segue a solo pochi mesi di distanza il loro secondo ottimo lavoro “In Love With Oblivion” e segna in qualche modo una piccola svolta musicale, inevitabile passo per ogni band che non vuole rischiare di arenarsi in un cliché.
Appare subito evidente all'ascolto un sound più organico e compatto, in virtù di una più affinata tecnica stilistica e soprattutto di un maggior affiatamento tra il gruppo, una ritrovata coesione alchemica che riveste di nuove raffinatezze e nuove vibrazioni il loro progetto. Dopo la dipartita nel 2009 della batterista tribale Frankie Rose, si è aggiunto al suo posto Keegan Cooke. Il suo approccio più marcatamente jazz allo strumento, ha messo senz'altro in luce soluzioni più singolari e imprevedibili, chiavi di letture sicuramente diverse rispetto a quelle del passato. Ne è la prova più emblematica e palese l’iniziale Dark Eyes, la ‘porta raggiante’ dell’album, sorretta da gioiosi e bizzarri handclapping cadenzati e ricamata dall’organo di Kyle Forester che sovrasta tutti gli altri strumenti. Un vibrante muro sonoro di spectoriana memoria, un riflettersi inatteso negli ‘occhi scuri’ delle Ronettes. La band tuttavia non tralascia i suoi stilemi più cupi e foschi, ritrova i toni crepuscolari e rarefatti tipicamente dark nella title track, dominata dai tocchi languidi e a tratti acuti e guizzanti della chitarra di JB Townsend, attinti da sonorità molto Josef K. Sferragliate come rasoiate sulla voce luttuosa di Brad Hargett, vero erede di Paul Haig, che della band scozzese fu glorioso frontman. Mentre la cover di Still As The Night di Lee Hazlewood, diventa uno spaghetti western in cui riecheggia il fantasma dell’antieroe Jeffrey Lee Pierce. Quella della sublime Low Profile dei Blue Orchids (mitica post-punk band britannica che portò in tour Nico negli anni ottanta) è la seconda cover contenuta nell'EP. Non si differenzia sostanzialmente dall’originale, altrettanto delicata ed eterea, pennellata dalle lievi sfumature caratteristiche in cui oramai siamo abituati ad inquadrare la band di Brooklyn. È un sogno pop invece il brano che chiude questo splendido seppur breve - venti minuti scarsi- EP dei Crystal Stilts. Frost Inside The Asylum si svolge lenta e tenebrosa come la So tonight that I might see dei Mazzy Star, un raga ipnotico e lisergico, con un giro di chitarra rubato alla Some kinda love di Lou Reed e la voce mesta del cantante a congedarci e ad invitarci alla prossima folle corsa sui loro lunghi trampoli di cristallo, fragili e delicati come sogni, come utopie che ambiscono a sfiorare il cielo.
Antonio De Luca
Crystal Stilts
Sacred Bones
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