La spiritualità indiana offriva un’alternativa radicale all’uomo a una dimensione della società industriale, ridotto al solo ruolo di produttore e consumatore, prometteva un cambiamento che non aveva bisogno di attendere rivoluzioni politiche e sociali, ma che si avverava all’interno dell’individuo mutando il suo rapporto col mondo, con la natura, con l’Essere raggiungendo la consapevolezza che la realtà è illusoria. All’influenza che la filosofia, la religione, la musica, la concezione del mondo orientale hanno avuto nella musica rock negli anni del suo periodo aureo, quello a cavallo fra i Sessanta e i Settanta, dedica ora un approfondito studio Claudio Gargano che si sofferma in particolare su quei musicisti e quegli album, soprattutto inglesi e americani, che, o per la loro risonanza o per l’originalità delle soluzioni proposte, rappresentano dei punti nodali di questo complesso rapporto. Il saggio è diviso in tre parti, rispettivamente dedicate alla Gran Bretagna, agli Stati Uniti e all’Italia. Dell’Inghilterra Gargano ripercorre per prima cosa il viaggio dei Beatles presso l’ashram di Maharishi Maheshi, l’influenza che ebbe sulla loro musica ed i rapporti con la religione indiana di George Harrison e del più critico e disincantato Lennon.
Ma Gargano studia i modi in cui l’Oriente si riverbera in modo decisivo sulla psichedelia di gruppi come Pink Floyd, Tomorrow, Twink, Incredibile String Band o nel progressive di East Of Eden, Third Ear Band, Quintessence fino al jazz rock di John McLaughlin che, al pari di Carlos Santana, diventa seguace devoto del guru bengalese Sri Chinmoy.
Anche negli Stati Uniti, malgrado la Nazione Hippie sia impegnata sul fronte dell’opposizione alla guerra in Vietnam, la musica trova linfa vitale nella patria della luce, già i poeti della beat generation avevano insegnato a guardare all’India come al luogo della nascita dell’uomo nuovo e Ginsberg e soci erano soliti intonare mantra e la sacra sillaba Om; così il saggio analizza musica e testi di Byrds, Crobsy, Stills e Nash, Kaleidoscope e soprattutto Santana che nella sua musica, alla ricerca di una spiritualità ascetica e trascendente, attinge non solo a strutture musicali indiane, ma anche al jazz intriso di spiritualità di John Coltrane. Il saggio si conclude con una terza parte dedicata a quei musicisti italiani, classificabili come 'progressive acustici', che hanno unito ricerca di sonorità originali provenienti da tradizioni lontane ad un senso estatico psichedelico della musica: Aktuala, Living Music, Sorrenti e soprattutto Claudio Rocchi. Gargano, aiutato dalla collaborazione di Antonio Iannetti, supporta la sua analisi riportando e analizzando i testi delle canzoni e le loro strutture musicali, dimostrando inoltre una buona conoscenza del pensiero e della religione orientale così da aiutarci ad una più approfondita comprensione dei dischi citati. L'autore ci offre un importante strumento di informazione e di riflessione anche per analizzare i musicisti che non hanno trovato spazio in queste pagine e per valutare un rapporto, quello fra Oriente e Occidente, che dura tutt’ora trovando sempre strade nuove e proficue: basti pensare al dub, al trip hop, all’elettronica, alla world. Unico appunto la sproporzione fra la parte dedicata all’Inghilterra e quella americana, qui un’assenza mi pare rilevante, quella dei Fugs che univano mirabilmente protesta politica, misticismo e psichedelia.
Ignazio Gulotta
Odoya Editrice
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