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martedì 19 aprile 2011

FLEET FOXES: "Helplessness Blues" (2011, Sub Pop/Bella Union)

Due anni fà a Zante, sul faro di Keri, ho assistito a uno dei tramonti più belli che abbia mai visto. Il mare si estendeva indisturbato a perdita d'occhio mentre il sole calava dolcemente abbracciando a sé l'orizzonte. Uno spettacolo indimenticabile che mi é magicamente tornato in mente ascoltando il nuovo album dei Fleet Foxes. Si presenta con una splendida copertina "Helplessness Blues" il secondo lavoro discografico della band di Seattle che qualche anno fa aveva fatto gridare al miracolo l'intero mondo musicale. Il secondo album è sempre una bella prova da superare e i Fleet Foxes dimostrano con "Helplessness Blues" di averlo fatto splendidamente. Dopo aver esordito nel 2008 con l'album omonimo, una pietra miliare del folk-rock degli ultimi anni, la band capitanata da Robin Pecknold ritorna con un disco se possibile ancor più sublime che supera il confine del folk-rock spingendosi verso l'orizzone della world music. Nel 2010 il nuovo album pareva essere pronto ma Robin Pecknold, insoddisfatto del lavoro, decise di riscrivere tutto. Come riportato sul prossimo numero del magazine Uncut, da qui in poi iniziò per lui una sorta di psicodramma personale che non solo gli causò problemi di salute dovuti allo stress, ma pregiudicò anche la relazione con la sua compagna di allora. Il nuovo sound è definito dallo stesso Pecknold "more groove-based". Alcune novità le troviamo già in brani come Montezuma, il brano che apre album e cuore dell'ascoltatore, in Bedouin Dress e in Sim Sala Bim che richiamano profumi, sapori e musicalità nordafricane ed orientali. La breve Battery Kinzie splende raggiante come il sole d'estate.
La mistica The Plains/Bitter Dancer a tratti ricorda le armonie di Simon & Garfunkel. In The Shrine/An Argument, con i suoi ben otto minuti di durata è il brano più lungo mai scritto dai Foxes. Una sorta di mini suite dove la voce di Robin Pecknold e la musicalità della band raggiunge livelli di rara bellezza. The Cascades è uno splendido strumentale intriso di malinconia. Malinconia che ritroviamo anche in Blue Spotted Tail: il nudo vocalismo di Pecknold è accompagnato dal semplice suono della chitarra. Helplessness Blues, il singolo che anticipa l'album, suona onirico, trionfante, talmente bello da sentirsi abbracciati dall'intero universo. Grown Ocean chiude il disco ed è un ennesimo piccolo gioiello compositivo. "Helplessness Blues" vedrà la luce il prossimo 3 maggio e per molti (lo spero) sarà, come lo è stato per me, una luce di accecante bellezza. Bentornati Fleet Floxes.
Michele Passavanti

Sub Pop! Fleet Foxes
Fleet Foxes - Grown Ocean

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ricardo Martillos says: davvero un disco stupendo, io ci vedo e ci sento molto ma molto Neil Young in questo disco ma forse si tratta di un opinione personale, In ogni caso concordo con l'ottima recensione di Michele, il disco è probabilmente il più bello uscito in questo scorcio di 2011.

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