E’ come trovarsi in un convoglio della metropolitana sparato nelle viscere sotterranee della città. Tutt’intorno è quasi buio, l’oscurità viene spezzata solo a tratti da rapidi bagliori che definiscono a intermittenza l’ambiente circostante. Pochi fotogrammi catturati e fissati sulla retina. L’unica cosa che si percepisce chiaramente, anche senza bisogno di guardarsi intorno, è che siamo soli. O peggio: forse no. In questa tenebrosa suggestione dark-ambient
potrebbero svilupparsi le sonorità dei Soft Moon, in parte debitrici alla new wave inglese anni ’80 dalla quale riprendono una certa ossessività delle basi ritmiche ripetute per la durata del brano, che li riporta a band come i Killing Joke e Sister of Mercy, ma anche alla claustrofobia di Suicide, Chrome e Neu. Inizialmente nato come progetto solista di Luis Vasquez che sempre a ragione Soft Moon ha registrato l’eccellente album omonimo dell’anno scorso anticipato da due singoli,“Total Decay” vede l’organico estendersi a band, formato da tre elementi più Ron Roberson, un quarto addetto alle arti visive per le loro performances live. La predilezione per i suoni sintetici e le imponenti riverberazioni, (come nell’iniziale Repetition, o la chitarra flangerata di Alive che risuona molto Cure), non cambiano di molto la prospettiva dei lavori precedenti del Vasquez solo. Così come ugualmente ossessiva, è l’evocazione rituale della traccia che dà il titolo. Le voci, sempre molto effettate, sussurrate, sospirate, si confondono in un insieme che possiamo considerare strumentale. In Visions, l’ultima traccia, il suono si fa più rumoroso e inquietante addentrandosi in ambiti industrial, preludio alla nostra corsa che sta giungendo a destinazione, dove il ritmo frenetico del caos urbano è pronto a distoglierci da quest’incubo per proiettarci in un altro. Il viaggio è stato breve, le quattro tracce si estendono per meno di un quarto d’ora, e seppur effimera, l’opera si rende apprezzabile anche per questo. Non molto differente da quello a cui ci aveva preparati l’appena poco più soffice “Soft Moon” del 2010; per chi non li conosce consiglio di cercare proprio quello. Per chi già ha avuto modo di apprezzarli forse questo non sarà un titolo imprescindibile, quanto più un assaggio per prendere tempo sul tanto atteso prosieguo.
potrebbero svilupparsi le sonorità dei Soft Moon, in parte debitrici alla new wave inglese anni ’80 dalla quale riprendono una certa ossessività delle basi ritmiche ripetute per la durata del brano, che li riporta a band come i Killing Joke e Sister of Mercy, ma anche alla claustrofobia di Suicide, Chrome e Neu. Inizialmente nato come progetto solista di Luis Vasquez che sempre a ragione Soft Moon ha registrato l’eccellente album omonimo dell’anno scorso anticipato da due singoli,“Total Decay” vede l’organico estendersi a band, formato da tre elementi più Ron Roberson, un quarto addetto alle arti visive per le loro performances live. La predilezione per i suoni sintetici e le imponenti riverberazioni, (come nell’iniziale Repetition, o la chitarra flangerata di Alive che risuona molto Cure), non cambiano di molto la prospettiva dei lavori precedenti del Vasquez solo. Così come ugualmente ossessiva, è l’evocazione rituale della traccia che dà il titolo. Le voci, sempre molto effettate, sussurrate, sospirate, si confondono in un insieme che possiamo considerare strumentale. In Visions, l’ultima traccia, il suono si fa più rumoroso e inquietante addentrandosi in ambiti industrial, preludio alla nostra corsa che sta giungendo a destinazione, dove il ritmo frenetico del caos urbano è pronto a distoglierci da quest’incubo per proiettarci in un altro. Il viaggio è stato breve, le quattro tracce si estendono per meno di un quarto d’ora, e seppur effimera, l’opera si rende apprezzabile anche per questo. Non molto differente da quello a cui ci aveva preparati l’appena poco più soffice “Soft Moon” del 2010; per chi non li conosce consiglio di cercare proprio quello. Per chi già ha avuto modo di apprezzarli forse questo non sarà un titolo imprescindibile, quanto più un assaggio per prendere tempo sul tanto atteso prosieguo.
Federico Porta
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