Ci troviamo di fronte ad un disco molto ben confezionato, a cominciare dalla splendida copertina retrò, con un suono pulito, linee melodiche perfettamente prodotte e la bella voce del solista che domina l'intero lavoro.
Tutto il disco è molto rilassato e tranquillo, dall'apertura della bella Why e dalla seguente Child, entrambe vocalmente debitrici dello Steve Kilbey dei Church australiani, oltre che dei vari eroi lo-fi che popolano l'attuale sottobosco indie-folk. Rain a ruota è un altra ballad molto triste e malinconica, splendida è pure la seguente Desert Land con un bel refrain e con un sound di violino e slide molto country oriented; The Letter (non quella di Alex Chilton), è una song che rimane facilmente in testa, uno dei vertici di Moonless.
Il resto dell'album scivola via piacevolmente senza particolari cadute di tono, in un clima disteso e sognante, forse una certa uniformità delle songs può rendere l'intero lavoro un pò ripetitivo, ma la bella voce di Reza rende le canzoni tutto sommato gradevoli. Da citare ancora Boozer's Talk e Waiting, splendide entrambe e molto ispirate: qui l’accostamento con Leonard Cohen non appare esagerato, con le dovute proporzioni sia chiaro. Da segnalare che nella prima edizione del disco, che tra l'altro dura appena 35 minuti, figuravano 2 bonus di cui la prima, Gone for good, è sulle tracce del migliore Neil Young acustico. Sarebbe un vero peccato far finire questo “Moonless” nell’oblio in cui vengono spesso confinate opere simili, per poi magari andare a ripescarlo fra qualche anno tra le perle dimenticate; questo iraniano ha talento, una bella e soffice voce, insomma il giusto accompagnamento per certe fredde serate invernali. Reza non sarà il nuovo messia ma teniamoceli stretti personaggi così.
Ricardo Martillos
Reza on myspace
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