Avete presente quel crooner italiano alto, calvo, con un vocione da basso? Quello che ha inflazionato i media nostrani negli ultimi due anni, uno dei pochi tra le nuove leve (ci ha fatto credere una certa critica provincialotta), capaci di confezionare un prodotto discografico a livello internazionale? La buona notizia è che è appena uscito un disco-debutto, “Otherwise” di un artista italiano, Filippo Tirincanti, che lo batte senza remissione di peccati, con una caratura - questa finalmente sì - internazionale, elevandosi di parecchie spanne sul suddetto (ingiustificato) totem italiota. Ascolti il disco, e mentre leggi la sua biografia stenti quasi a credere Filippo sia nato a Rimini, abbia passato l’adolescenza nell’italianissima Riccione e persino abbia un cognome così inequivocabilmente tricolore: una padronanza della lingua inglese (lo è tutto il disco) pressocchè perfetta, qualità minima se confrontata con un’interessantissima vocalità soulful. Sarebbe sin troppo facile tirare in ballo alcuni conosciutissimi crooner dalla fascinosa voce cartavetro, per farvi capire dove Filippo inzuppa la sua anima: un torto alla sua spiccata originalità, alle sue liriche elegiache che anelano ad un’utopica pace universale; le parole più ricorrenti ‘ocean’, ‘stars, ‘moon’, una sorta di vellutato spiritualismo cosmico che – questo sì - rivela un referente che Tirincanti si guarda bene dal celare anche nei suoi corti dreadlock, il Bob Marley dell’inno della resurrezione mistica panafricana Get Up Stand Up, che il nostro coverizza/personalizza con molta intelligenza. Stessa sapienza musicale presente in tutti gli episodi di Otherwise, un mix estremamente intrigante e calibrato di soul-blues-lounge music-jazz (Blues 4 Jaco) veicolato da musicisti con la M maiuscola che fanno elegante e misurato sfoggio di un importante background jazzistico: davanti a tutti il trombettista ‘davisiano’ Fabrizio Bosso e il tastierista Luca Mannutza (formidabili i suoi Hammond organ, Fender Rhodes e piano), abilissimo arrangiatore di tutti e 12 i brani del disco. Anche i legni del Bim String Quartet (due violini, viola, cello) condotti da Michele Santoro si rivelano fondamentali per l’edificazione dell’ampio respiro musicale che avvolge brani come Here I Am e Blues 4 Jaco. Forse è proprio negli episodi più rilassati e soul (Here I Am, Reality, Otherwise), stesi come sirene su scogli marini a bramare il dio sole, che Tirincanti esprime appieno la sua ‘deep inspiration’. Stiamo parlando di un songwriter-chitarrista-cantante forgiatosi in lunghe marchianti permanenze americane, a contatto di musicisti di varie nazionalità, cresciuto con nell’anima il mito di Jimi Hendrix (stravede da sempre per One Rainy Wish), e Jaco Pastorius. Quale finale più adatto allora della programmatica semi recitata Awareness, voce-electric guitar, ancora una volta il profeta di St. Ann, Jamaica a guidare le pacate parole di denuncia di Filippo: "Rules imposed by laws written by senseless men / poisoned civilitation with open wounds that will never be healed”
Pasquale ‘Wally’ Boffoli
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