Ora che gli anni sono passati e tanti compagni di viaggio si sono fermati lungo la via, Eddie ci ricorda il senso profondo e ultimo della vita, il mettersi sempre continuamente in gioco, pronti a rinascere ogni volta ricchi del bagaglio delle vite passate, di nuovo sulla strada perché l’importante è andare, non importa dove, con un biglietto di sola andata per il proprio destino, ben consci che una gran parte di esso è creato da noi stessi. Un maestro Eddie, dopo essere stato un allievo. Un umile e venerabile maestro Zen che, con i suoi haiku, indica la via che ognuno di noi liberamente sceglierà. Ma la via che porta all’illuminazione può essere impervia e a tratti difficile da seguire. Dopo lo stupendo "Into the wild", ecco l’ostico e irriverente secondo capitolo del Vedder solista che, tra brani già presenti nel catalogo Pearl Jam, covers e soprattutto inediti, punta tutto sulle quattro corde frequentate e amate ormai da molti anni. Can’t keep, Sleeping by myself e la preziosa More than you know sono gioiellini da rimirare e custodire con cura; così come Broken heart e Dream a little dream si rivelano più che gradevoli nella loro delicata intensità. Ma è con Longing to belong e con la Sleepless night degli Everly Brothers, qui cantata in coppia con Glen Hansard, che il disco raggiunge le sue vette più alte. Sedici brani scarni e diretti, di cui due strumentali, per complessivi trentacinque minuti di musica nuda, senza difese se non la musica stessa e la passione di chi la suona. Trentacinque minuti in cui un musicista si spoglia della sua leggenda per offrirsi nella sua disarmante e meravigliosa purezza.
Maurizio Galasso
Longing To BelongEddie Vedder
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