Il lavoro è caratterizzato da una profonda vena soul: “The Deep Field” presenta molte novità rispetto ai precedenti. Innanzi tutto, il suono risulta decisamente più pieno, con le chitarre, i synth che da un lato occupano molto più spazio e dall’altro interagiscono tra loro in modo più armonico rispetto al passato. Non c’è mai un momento in cui la parte strumentale svolga la semplice funzione di sostegno alla voce: ha sempre una propria autonomia nel supportare e variegare il background della vocalità di Joan che, dal canto suo, apporta molte più variazioni di tonalità e timbro rispetto alle esperienze precedenti, con un rinnovato spirito più vicino a Marvin Gaye o Al Green piuttosto che Adele o Cat Power. Joan propone accanto al suo classico cantato morbido e suadente anche diversi momenti in cui la voce diventa più incisiva e dura. L'artista vira così in territori soul, sia come stile melodico, che come impostazione degli arrangiamenti, con piccole gemme quali Kiss the specifics e Chemmie.
Si conclude con l’intimismo di Forever And A Year e I was everyone, anche qui in modo fluido e senza intaccare l’organicità complessiva, ma facendo sì che lo sviluppo dell’opera non risulti banale.
Ascoltandolo tutto d’un fiato l’andamento del disco sembra perfettamente studiato dal punto di vista sia stilistico che emozionale, facendoci percorrere un vero e proprio sentiero in cui forma ed emozione sono due parti inscindibili dello stesso insieme: un pò quello che contraddistingueva i lavori del suo ex-compagno Jeff Buckley. Il consiglio è quello di lasciarsi conquistare da un’artista che sa abbinare perfettamente alla sofisticatezza e modernità delle proprie soluzioni una spontaneità ed una genuinità emotiva fuori dal comune perché “The deep field” non è solo un bel disco, è fondamentale.
Ubaldo Tarantino
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