Nascere, crescere, prendere coscienza, diventare, essere. Essere uno a caso, essere uno qualunque, essere qualcuno, essere John Malkovich, essere Andrea Angelini, essere Paul Kossoff.
Essere PAUL KOSSOFF:
nasci a Londra il 14 Settembre 1950, all'inizio di un nuovo decennio, quello della rinascita europea, della speranza e del ritorno alla vita. Cresci felice in una famiglia media e fortunata: papà David non se la passa male, è un artista, recita a teatro e parla alla radio, alla BBC. Tutti lo conoscono, ma lui è di vecchio stampo, non si monta la testa, ha i piedi per terra e tu e tuo fratello lo sapete bene. Severo nell'educazione ma incline ad accontentare ogni ambizione artistica e creativa. Già crei e giochi con le mani, disegni, scrivi, ti fai capire a gesti dagli animali, dai cavalli che sono i tuoi migliori amici animali e in aria disegni spartiti musicali quando senti la radio suonare. Già, la musica...nella tua piccola vita hai già visto qualcuno che è proprio grande per te.
Tommy Steele è bravo, ti piace la sua voce, come canta e anche come si comporta in camerino, lo hai visto bene mentre ti firmava l'autografo e stringeva la mano a tuo padre. E poi la folla in teatro, le luci, le ragazze, gli applausi...e allora...sotto con la chitarra classica, che alla tua età si inizia così. Al saggio li hai lasciati tutti di stucco, 15 minuti da solo senza gettare un'occhiata agli spartiti, tutto scolpito nella memoria e impresso nei polpastrelli, Segovia ringrazia. Beh, adesso che hai 15 anni quasi non te la ricordi più la chitarra classica. A Londra le pareti dei negozi di strumenti a Charing Cross Road sono un mosaico di chitarre colorate e americane e chi le suona porta i capelli lunghi e con la frangia come le ragazze.
Tu sei uno di loro e a 15 anni cosa si fa il venerdì sera a Londra nel 1965 se non vai più a scuola? Si spende il salario settimanale al Marquee Club, specialmente se suonano i Bluesbreakers di John Mayall. Dio che volume pazzesco QUELLA sera, ma è un rumore che avvince, cattura e ipnotizza: QUELLA chitarra è LA MUSICA, come fa a suonare così emotivamente umana, lancinante, infinita, eterna, divina che il tempo si ferma mentre guardi e memorizzi ogni mossa e dettaglio del ragazzo-quasi tuo coetaneo -che la sta accarezzando in un incantesimo senza fine. Eric è il suo nome, Eric Clapton, dicono e scrivono sui muri che l'Onnipotente muova le sue dita sul palissandro della tastiera. Il suono improvvisamente si fa entità fisica, lo vedi, si fa colore, lo puoi toccare e respirare fino a renderlo il tuo soffio vitale. Quella notte al Marquee il tuo destino ti è venuto incontro, il Blues ti ha teso la mano e tu non aspettavi di meglio, al crocevia dei tuoi 16 anni. Non sei ancora come Eric nel 1965 ma le sue armi adesso le conosci bene: suona una Gibson Les Paul Standard del 1959 di quelle che non fanno più, con un amplificatore Marshall, di quelli che aiuti a scaricare dal furgone quando sei in turno da Selmer, il negozio-angolo di paradiso dove lavori da qualche tempo. In 2 mesi ne hai vendute 3 di quelle Les Paul, ma la più bella e quella che suona meglio l'hai tenuta per te, costruita nel 1958, 8 anni di vita, rossa e sinuosamente aggressiva come quella di Eric Clapton.
Sei quasi Paul Kossoff e ormai a 17 anni fai il chitarrista blues. Non importa se i tuoi non approvano, le notti le passi nelle cantine fumose su palchi sgangherati fra i ragazzi che ti fissano invidiosi e ammirati e le ragazze che ti sorridono e si chiedono come deve essere passare le dita fra i tuoi lunghi capelli rossi.Sei spavaldo e testardo e fai cantare e ululare la Les Paul come si merita.
I Black Cat Bones sono il gruppo che ti serve per fare esperienza e formarti le credenziali giuste e poi tu sei il migliore di loro, chi viene ai concerti non ti dimentica. Adesso nel 1968 sei davvero Paul
Kossoff, è inciso in modo indelebile nei solchi di vinile: FREE è la tua nuova avventura e la tua nuova LIBERA famiglia. Tre Teenagers come te, uno più bluesman dell'altro. Le stelle hanno fatto davvero un ottimo lavoro ad allineare nella stessa sala prove quattro pianeti che si completano e compensano fino a creare un nuovo universo, libero appunto.
Paul Rodgers è il tuo fratello di nome e di elezione, la sua voce carica di sofferenza e umana espressività come solo quella di un 19enne di Middlesbrough può essere , finisce dove inizia il lamento nero d'inchiostro della tua Gibson. Simon Kirke è il ragazzo- dinamo che ti guarda da sotto il suo casco d'oro e ti regolarizza con i suoi tamburi il battito vitale. Andy Fraser è il fratellino di 15 anni che si è inventato la nuova grammatica del basso elettrico, è già in cattedra e per non sentirsi mascotte compone le canzoni e ritira i compensi cash dei concerti dai promoters aguzzini. Nessuno in Inghilterra suona il blues come voi LIBERI, alcuni dicono che solo quel nuovo gruppo, i Led Zeppelin, si avvicina per intensità e carica emotiva alle vostre giovani interpretazioni moderne del verbo nero, pronipoti adolescenti di Robert Johnson, misteriosa alchimia di chi nasconde saggezza e profondità dietro occhi blu e visi senza rughe.
F R E E
Free è davvero libertà e finalmente sei libero e cosciente di essere Paul Kossoff: ti vesti a volte come un gitano a volte come un indiano nativo, è bello guidare il Ford Transit tutta la notte su e giù per l'Inghilterra, fermarsi la mattina all'autogrill e ricevere le occhiate incredule di quelli che sgranano gli occhi assonnati davanti alle frange della tua giacca e ai foulards indiani che ti arrivano alle ginocchia. Ora sei diventato davvero un chitarrista eccezionale, di quelli che chiamano caposcuola e lasciano a bocca aperta: la LIBERA esecuzione delle tue parti soliste improvvisate trasmette tutto l'amore per il blues, trasuda da ogni nota, da ogni lunghissima nota quando torturi le corde nei registri più alti. E' lei che te lo urla , la tua Les Paul,non vuole essere lasciata in pace, il vibrato della tua mano è la sua unica redenzione e tu non sai dirle di no, sera dopo sera.
E' vero ed è normale così, era proprio Eric Clapton che ieri ti ha chiesto in camerino di mostrargli e insegnargli come fai a suonare quelle note vibrate così intense e disperate così a lungo e poi, per ringraziamento, ti ha ammesso nel suo Pantheon e a ha voluto scambiare la sua Les Paul con la tua...adesso che ne hai tante puoi anche suonare la sua e tutti lo sapranno, non sono molte nel 1969 a Londra le Les Paul Custom nere a tre pick-ups. E' bellissimo essere Paul Kossoff quando la vita ti regala tre compagni/fratelli/gemelli 24 ore al giorno per 365 giorni l'anno, un palco dove salire, scuotere la criniera ormai da leone, piangere il blues con ogni espressione del tuo viso e poi mani, bocche, teneri corpi femminili che si contendono il tuo fragile spirito libero.
E' bellissimo essere una superstar senza essere una superstar e lassù nel nord Inghilterra dove ti amano di più, mangiare nel furgone con i fans, farli entrare di straforo dal retropalco e poi vedere i tuoi dischi nelle vetrine illuminate come a Natale. E' tutto così bello che a volte sfugge tra le dita.
I fratelli/compagni/gemelli Rodgers e Fraser ci prendono gusto ad essere delle rockstar e scrivono canzoni e le arrangiano, le suonano e decidono, impongono e il tuo spazio e la tua libera creatività ne soffrono. Però va ancora bene, it's ALL RIGHT NOW, e nel 1970 tutto il mondo sa e vede chi è Paul Kossoff. L' Isola di Wight è il centro del mondo e tu con la Les Paul del 1960, il gilet nero e i capelli da leone fai tremare il mondo: graffi, seduci, aggredisci, gemi, soffri e vivi ogni nota come fosse l'ultima e tutti dovessero saperlo; questa è la voce definitiva dalla tua chitarra definitiva, chi ha visto lo sa e chi vedrà lo imparerà presto.
E' una gran brutta cosa il successo se i fratelli/compagni/gemelli della famiglia libera ci restano imprigionati e tu invece non vuoi il potere interno, non vuoi i soldi, non vuoi vendere più dischi, tu vuoi solo suonare, dannazione! Ma la giostra si fa sempre più grande, gira sempre più veloce e arriva sempre più lontano: dagli USA all'Australia al Giappone. E non si arriva con il Ford Transit in Giappone, ma il posto numerato sul Jet in prima classe e la suite al Tokio Hilton non profumano più di libertà, di conquista e di musica.
La gioia di friggere le valvole del Marshall e dell'Orange ormai la centellini soltanto in studio di registrazione dove il tuo suono perfetto si diffonde e le note blu chiedono aiuto con rassegnazione. Si soffre ad essere Paul Kossoff quando si vuole dimenticare di essere Paul Kossoff.
Ti passa spesso l'allegria, la voglia e la forza di guidare tutta la notte e ti viene la voglia di dimenticare tutta la notte e anche tutto il giorno, tutti i giorni, che ormai sono scanditi da una dolorosa clessidra dove non scorre sabbia, ma velenosa polvere bianca. Giri la clessidra per anni ma la polvere bianca rimane e cresce fino a non poter contare il tempo, neppure quello scandito dalla grancassa della batteria del fratello/compagno/gemello Simon Kirke.
Ti cercano e ti salvano più volte anche gli altri fratelli/compagni/gemelli LIBERI, lo sanno bene loro quanto era bello essere con Paul Kossoff.
Litigano e si disperano per te e sotterrano anche l'ascia di guerra pur di rivederti sul palco, criniera al vento e Les Paul ai posteri, ma il blues sembra averti rubato l'ombra, e la fiamma tigrata della Les Paul ti avvolge come un sudario. In sogno, come in un lungo coma intossicato è ancora possibile essere Paul Kossoff e perdersi nel languore di un'onda infinita, senza più surf, cavalcando solo l'esistenza che sfugge tra le mani. L'anima ribelle e gentile a volte si contorce ancora sulle note seguendo il proprio destino di un infinito cammino in blues. Ma il 19 Marzo 1976, in un angolo di cielo ignoto, nel blu profondo fra Los Angeles e New York, LIBERO sei stato per l'ultima volta. Dalla tua vita nell'Universo dei suoni senza tempo e confini. Chi può ti ascolti. E' stato bellissimo essere Paul Kossoff.
ASCOLTARE PAUL KOSSOFF:
La chitarra di Paul Kossoff si ascolta in tutto il suo splendore nella bellissima, intramontabile musica dei Free, uno dei gruppi più importanti del Rock-Blues inglese di fine anni '60. I primi 4 album della band sono opere fondamentali ed eccelse del genere e presentano una costante evoluzione stilistica. "Tons Of Sobs" l'esordio del 1968 è puro dinamitardo blues elettrico originale, sulle orme dei Cream. La voce di Paul Rodgers autoritaria e vissuta, la chitarra di Kossoff in ottima mostra con lunghi selvaggi assoli dalle sonorità aggressive e dalla tecnica invidiabile. La coesione è garantita dalla granitica sezione ritmica Fraser-Kirke. Spiccano, fra gli altri, gli assoli di Kossoff in Worry, Going Down Slow e I'm a Mover.
L'album "Free" del 1969 è sempre molto grintoso ma più ricercato e maturo nelle atmosfere, con venature soul -blues nella splendida voce di Paul Rodgers, nel basso sempre inventivo di Andy Fraser e nella strepitosa chitarra di Paul Kossoff. Divini i suoi interventi solisti in I'll Be Creeping, Songs Of Yesterday, Broad Daylight, Trouble On Double Time, ma ogni brano regala il meraviglioso suono della sua Gibson Les Paul e delle sue dita in stato di grazia. Nel 1970 arriva l'enorme successo mondiale grazie al singolo Alright Now, un vero inno rock ancor oggi trasmesso quotidianamente dalle radio di tutto il mondo e all'album "Fire And Water", il disco della maturità artistica. Nessuno di loro ha ancora 20 anni ma la statura della band è eccezionale, gli arrangiamenti si arricchiscono di tastiere varie e le trame sonore sono più sofisticate senza perdere impatto ed energia. Il lavoro di Kossoff è splendido e intelligente, al servizio delle canzoni, assoli più concisi, ricami magnifici attorno alla voce del fratello spirituale Paul Rodgers e le solite Gibson, Les Paul e ES 345, che fa suonare come solo lui sa. Nel 1970 esce anche il bellissimo "Highway" sulla falsariga di Fire And Water alterna brani grintosi con atmosfere acustiche e intimiste, un gioiello da riscoprire, nel quale dominano la stupenda ballata Be My Friend e il torrido blues The Stealer. Fondamentale il magnifico Album Live del 1971 "Free Live" un assaggio di cosa fossero e come suonassero i Free dal vivo al massimo del loro splendore, un salto nel tempo che lascia tramortiti ed energizzati dalla potenza, la perizia tecnica, il feeling di questi 4 Teenagers bluesomani!
Sentire Paul Kossoff che suona la chitarra solista in The Hunter, loro sigillo di ogni concerto è capire come si suona una Gibson Les Paul al massimo delle sue possibilità.
Per quadrare il cerchio il doppio consigliatissimo cd "Free - Live At The BBC" (2006-Island)": il primo cd contiene tutte le sessions tra il 1968 ed 1971 per programmi come Top Gear, Stuart Henry,Sounds Of The Seventies, World Service Rhythm & Blues; il secondo le performances 'live' per il John Peel Sunday Concert.
VEDERE PAUL KOSSOFF:
Di recente pubblicazione il bellissimo cofanetto doppio DVD "Free Forever" (2006-Island/ 275 min.) raccoglie tutto ciò che esiste delle loro apparizioni TV di inizio anni '70, tratte dal famoso show della TV tedesca Beat Club e da uno Special della britannica Granada TV. Presente anche il filmato della loro storica partecipazione alla seconda edizione del Festival di Wight del 1970 e alcuni video promozionali d'epoca. Ovunque la presenza e il contributo di Kossoff sono una gioia per gli occhi e le orecchie, lo si vede concentrato e dinamico, scuotere la testa, accompagnare con espressioni di intensa partecipazione le note che emette dalla sua chitarra. Naturalmente gli altri 3 compagni del gruppo sono alla pari protagonisti eccelsi di tutti i filmati in questione.
LEGGERE PAUL KOSSOFF:
L'opera più completa e appassionante sulla storia dei Free e la tragica vicenda di Paul Kossof è il bellissimo libro di David Clayton e Todd K. Smith "Heavy Load" (Ed. Moonshine Publishing)
Andrea Angelini
Video
Walk in my shadow
Worry
Trouble on double time
Mourning sad morning
Fire and water
Be my friend
Free -live@ isle of wight - 7-10 im a mover
Free - Mr Big (live in Sunderland 1970)
The Hunter
Don't say you love me
Allrightnow
KossoffMyspace
Paul Kossoff
PAGINE
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sabato 2 ottobre 2010
venerdì 1 ottobre 2010
"LIVE REPORT": THE DISCIPLINES - Torino, 25 settembre 2010 - spazio211 (di Claudio Decastelli, foto di Enrico Laguardia - video, da Roma: Marco Colasanti)
The Disciplines arrivano per due concerti, a Torino e Roma, in occasione della pubblicazione anche in Italia del cd “Smoking kills”, circondati dalla curiosità di vedere come funziona dal vivo la band euro-statunitense costruita da Ken Stringfellow, co-fondatore dei Posies, arruolando ¾ del fu gruppo pop norvegese Briskeby (titolare in patria di alcuni milioni di dischi venduti).
Chi conosce i Posies e ha avuto occasione di almeno guardare su Youtube qualche video dei norvegesi, ascoltando il cd già si sarà reso conto che i Disciplines come stile pero' c'entrano poco o niente con i gruppi di provenienza dei suoi componenti: e il loro 'live' ne da' la conferma. Ma non solo, l'esibizione dal vivo fornisce una versione del loro suono ancora diversa da quella uscita dalle registrazioni. Probabilmente mentre il lavoro di produzione in studio aveva messo sotto controllo la potenza sonora e puntato ad arricchire i brani, al contrario in concerto batteria e basso (“Ralla”e Bård) sono liberi di essere più presenti e la chitarra (Bjørn, con una Telecaster “vissuta” ornata da una scritta ispirata a Woody Guthrie) fornisce il supporto alla voce con blocchi di accordi, riff e fraseggi scarni e talvolta duri, tanto che non di rado giri e ritmi arrivano alle soglie del punk-rock. Su una simile base l'interpretazione di Stringfellow non può che essere viscerale: pur non perdendo mai di vista la qualità della prestazione vocale, sul palco non sta mai fermo, spesso e volentieri si infila tra il pubblico, finisce anche per rotolarsi a terra avvolgendosi nel cavo del microfono.
Anche i rari pezzi rilassati, come Oslo, la ballata diventata hit in Norvegia, acquistano in energia, mentre quelli che ne sono già dotati di propria hanno modo di esprimere tutto il loro potenziale, a partire dall'iniziale “killer song” in odore di garage Yours for the taking e per proseguire con la maggior parte dei pezzi di “Smoking kills” integrati con un paio di novità. Tutti suonati comunque con precisione, attenzione alle dinamiche “pieno e vuoto”e ai frequenti cambi di velocità e ritmo, con un'impostazione paragonabile a quella dei power trio hard-rock e rock-blues (pure se ammodernata e al servizio di uno stile più aperto).
Ogni tanto poi Ken Stringfellow tira il fiato scambiando battute con i presenti, invitandoli a farsi sotto il palco e anche a salirci sopra per una gara di street dance. Gara che arriva verso la fine del concerto, a dare un po' di respiro proprio nel bel mezzo di una versione di I got tired che parte come se fosse dei Nirvana, tra il pogo del pubblico ogni volta che il riff iniziale esplode di nuovo. I bis non si fanno poi aspettare troppo e portano una Hurricane tunnel secca e all'aroma di rock-blues, appunto, con assolo di chitarra in stile.
Chi e' andato a sentire e vedere The Disciplines fidandosi delle presentazioni ufficiali non sarà rimasto deluso, chi invece dei comunicati degli organizzatori non si fida questa volta dovrebbe essere stato piacevolmente sorpreso. Chi al concerto non ci e' andato proprio pensando che una band per ¾ norvegese poteva non valerne la pena, ha fatto male.
Claudio Decastelli
fotografie di Enrico Laguardia
(su Facebook The Disciplines live in Torino @ Spazio 211)
(su Facebook The Disciplines live in Torino @ Spazio 211)
video di Marco Colasanti, ripresi al concerto all'Init di Roma del 26 settembre
The Disciplines: Oslo - The war's not over / I got tired / Hurricane tunnel
(le versioni non sono uguali a quelle di Torino)
The Disciplines: Oslo - The war's not over / I got tired / Hurricane tunnel
(le versioni non sono uguali a quelle di Torino)
mercoledì 29 settembre 2010
MOVIES - "LOVE RADIO ROCK" (The boat that rocked, 2009, Richard Curtis)
Anche se il film risale all'anno scorso credo sia sempre produttivo e divertente ricordarlo: l'argomento principale é quella straordinaria ed anomala onda rock che ci sommerse (avevo 14 anni!) nel 1966.
In tal senso non credo di sbagliare affermando che si tratta di una 'pellicola' senza tempo. E poi la soundtrack (2CD: Mercury-Mars 30 2009), imperdibile, é da U-R-L-O !: 36 brani eccezionali di cui alcuni popolarissimi tra rock, beat, pop, soul, r&b, ancora intrisi di ingenuità, con qualche bagliore psichedelico (naturalmente ho i miei preferiti). A parlarcene Pupi Bracali. (W.B.)
Quando negli anni sessanta esplose l’aurea stagione del rock, ai governanti inglesi la cosa non piacque molto. Quella musica libera, discinta e in parte rivoluzionaria poteva turbare le coscienze dei giovani rampolli della borghesia albionica, quindi si rese necessario correre ai ripari. Per sfuggire alle grinfie della censura, dei veti e delle sanzioni legali nacque il fenomeno delle “radio pirata” che trasmettevano fuori dal territorio inglese per non incorrere nelle maglie della legge.
“I love radio rock” racconta tutto questo ma non solo.
Il film (dal titolo originale ovviamente più significativo “The boat that rocked”) si concentra sul microcosmo quasi tutto al maschile (tranne la cuoca lesbica) di una ciurma di dj che trasmette musica da una vecchia nave ancorata fuori dalle acque territoriali inglesi.
Tutto trae spunto dall’arrivo sul battello dell’ultimo acquisto, un nuovo giovanissimo dj che deve farsi le ossa (con riferimenti ai classici romanzi di formazione adolescenziale): il regista Richard Curtis descrive l’incontro/scontro delle varie personalità presenti sulla nave a ritmo del rock, soul, pop imperante nell’anno di grazia 1966.
E a ben vedere su quel battello i caratteri dell’animo umano ci sono proprio tutti: l’egocentrico, il tonto (esilarante), il mistico solitario, lo sciupafemmine, il timidone, il bullo, ecc, delineati con tratti leggeri per cui nessuno risulta antipatico, così come non risultano antipatici nemmeno i “cattivi”, i governanti inglesi (capitanati da un ottimo e caricaturale Kenneth Branagh) che lottano per spegnere la fiamma del rock’roll descritti in modo macchiettistico e sopra le righe.
Strepitosamente comica la tristissima festa di Natale di quella famiglia di idioti a fronte di quella che si svolge sulla nave a base di alcool, marijuana e musica ad alto volume.
Il film propone momenti e situazioni di grande comicità in cui si ride apertamente alternati ad altri emozionanti e persino commoventi. Chi ama la musica rock non potrà fare a meno di ritrovarsi i lucciconi agli occhi, specie verso il finale, quando sembra che...
Naturalmente la musica la fa da padrona: brani di Kinks, Hendrix, Stones, Beach Boys, Who, e di moltissimi altri che sarebbe troppo lungo nominare (ma... non resisto a farlo... Otis Redding, Turtles, Cat Stevens, Smokey Robinson, Procol Harum, Jeff Beck, Supremes, Duffi, Dusty Springfield, Tremeloes, Easybeats, Seekers, e... altri ancora...) sono i protagonisti al pari degli attori tra i quali svetta un grande Philip Seymour Hoffman con barba e capello lungo.
Guidata da un “capitano” che ricorda una sorta di Andy Wharol “radiofonico” nel senso di coordinatore di quegli scalmanati dj come Wharol capitanava la “Factory”, la ciurma attraversa mille peripezie fino a un finale apocalittico, in cui il “piccolo film” girato tutto in interni assume tratti da kolossal con l’affondamento della nave in sequenze spettacolari che nemmeno in Titanic...
Finale dove i sogni di rock dei giovani dj e del loro pubblico (e in diversi momenti del film il regista ci mostra come quel pubblico fosse vasto ed eterogeneo) vengono sconfitti dal potere politico e dalla furia degli elementi, ma... quella sconfitta sarà definitiva?
Lo si scoprirà solo vedendo questo bellissimo spaccato di una generazione che ha lasciato un segno indelebile nel mondo del rock (a proposito, nessun brano dei Beatles è presente nel film; scelta voluta o motivi contrattuali, di diritti... chissà?) considerando che nel 1966 il regista Curtis aveva dieci anni e io ne avevo dodici, ma entrambi quelle canzoni le conosciamo tutte a memoria.
Trailer Italiano
Radio Rock Revolution Extended Trailer
Scena Tagliata
I Love To Boogie
Wally personal juke-box from "The boat that rocked"
Wouldn't It Be Nice - The Beach Boys (Soundtrack The Boat That Rocked - Pirate Radio)
I Can See For Miles - The Who (Soundtrack Pirate Radio)
The Troggs: With A Girl Like You
The Kinks: Sunny Afternoon
The McCoys: Hang On Sloopy
The Supremes:The Happening
Martha And The Vandellas: Dancing In The Streets
The Hollies: I'm Alive
I Feel Free - Cream (Soundtrack Pirate Radio)
A Whiter Shade Of Pale - Procol Harum (Soundtrack Pirate Radio)
In tal senso non credo di sbagliare affermando che si tratta di una 'pellicola' senza tempo. E poi la soundtrack (2CD: Mercury-Mars 30 2009), imperdibile, é da U-R-L-O !: 36 brani eccezionali di cui alcuni popolarissimi tra rock, beat, pop, soul, r&b, ancora intrisi di ingenuità, con qualche bagliore psichedelico (naturalmente ho i miei preferiti). A parlarcene Pupi Bracali. (W.B.)
Quando negli anni sessanta esplose l’aurea stagione del rock, ai governanti inglesi la cosa non piacque molto. Quella musica libera, discinta e in parte rivoluzionaria poteva turbare le coscienze dei giovani rampolli della borghesia albionica, quindi si rese necessario correre ai ripari. Per sfuggire alle grinfie della censura, dei veti e delle sanzioni legali nacque il fenomeno delle “radio pirata” che trasmettevano fuori dal territorio inglese per non incorrere nelle maglie della legge.
“I love radio rock” racconta tutto questo ma non solo.
Il film (dal titolo originale ovviamente più significativo “The boat that rocked”) si concentra sul microcosmo quasi tutto al maschile (tranne la cuoca lesbica) di una ciurma di dj che trasmette musica da una vecchia nave ancorata fuori dalle acque territoriali inglesi.
Tutto trae spunto dall’arrivo sul battello dell’ultimo acquisto, un nuovo giovanissimo dj che deve farsi le ossa (con riferimenti ai classici romanzi di formazione adolescenziale): il regista Richard Curtis descrive l’incontro/scontro delle varie personalità presenti sulla nave a ritmo del rock, soul, pop imperante nell’anno di grazia 1966.
E a ben vedere su quel battello i caratteri dell’animo umano ci sono proprio tutti: l’egocentrico, il tonto (esilarante), il mistico solitario, lo sciupafemmine, il timidone, il bullo, ecc, delineati con tratti leggeri per cui nessuno risulta antipatico, così come non risultano antipatici nemmeno i “cattivi”, i governanti inglesi (capitanati da un ottimo e caricaturale Kenneth Branagh) che lottano per spegnere la fiamma del rock’roll descritti in modo macchiettistico e sopra le righe.
Strepitosamente comica la tristissima festa di Natale di quella famiglia di idioti a fronte di quella che si svolge sulla nave a base di alcool, marijuana e musica ad alto volume.
Il film propone momenti e situazioni di grande comicità in cui si ride apertamente alternati ad altri emozionanti e persino commoventi. Chi ama la musica rock non potrà fare a meno di ritrovarsi i lucciconi agli occhi, specie verso il finale, quando sembra che...
Naturalmente la musica la fa da padrona: brani di Kinks, Hendrix, Stones, Beach Boys, Who, e di moltissimi altri che sarebbe troppo lungo nominare (ma... non resisto a farlo... Otis Redding, Turtles, Cat Stevens, Smokey Robinson, Procol Harum, Jeff Beck, Supremes, Duffi, Dusty Springfield, Tremeloes, Easybeats, Seekers, e... altri ancora...) sono i protagonisti al pari degli attori tra i quali svetta un grande Philip Seymour Hoffman con barba e capello lungo.
Guidata da un “capitano” che ricorda una sorta di Andy Wharol “radiofonico” nel senso di coordinatore di quegli scalmanati dj come Wharol capitanava la “Factory”, la ciurma attraversa mille peripezie fino a un finale apocalittico, in cui il “piccolo film” girato tutto in interni assume tratti da kolossal con l’affondamento della nave in sequenze spettacolari che nemmeno in Titanic...
Finale dove i sogni di rock dei giovani dj e del loro pubblico (e in diversi momenti del film il regista ci mostra come quel pubblico fosse vasto ed eterogeneo) vengono sconfitti dal potere politico e dalla furia degli elementi, ma... quella sconfitta sarà definitiva?
Lo si scoprirà solo vedendo questo bellissimo spaccato di una generazione che ha lasciato un segno indelebile nel mondo del rock (a proposito, nessun brano dei Beatles è presente nel film; scelta voluta o motivi contrattuali, di diritti... chissà?) considerando che nel 1966 il regista Curtis aveva dieci anni e io ne avevo dodici, ma entrambi quelle canzoni le conosciamo tutte a memoria.
Pupi Bracali
Trailer Italiano
Radio Rock Revolution Extended Trailer
Scena Tagliata
I Love To Boogie
Wally personal juke-box from "The boat that rocked"
Wouldn't It Be Nice - The Beach Boys (Soundtrack The Boat That Rocked - Pirate Radio)
I Can See For Miles - The Who (Soundtrack Pirate Radio)
The Troggs: With A Girl Like You
The Kinks: Sunny Afternoon
The McCoys: Hang On Sloopy
The Supremes:The Happening
Martha And The Vandellas: Dancing In The Streets
The Hollies: I'm Alive
I Feel Free - Cream (Soundtrack Pirate Radio)
A Whiter Shade Of Pale - Procol Harum (Soundtrack Pirate Radio)
NEIL YOUNG: Le Noise (Sep 28, 2010/Reprise) by Wally Boff
Prendete un artista-icona del rock, fatelo registrare in perfetta solitudine con la sua voce e le sue due chitarre, quella acustica e l’elettrica, in una grande stanza piena di echi, ma potrebbe essere anche una chiesa o un museo: è quello che ha fatto un grande produttore, Daniel Lanois con Neil Young, 65 anni, nato a Toronto, Ontario, Canada nel 1945.
Il risultato è il suo nuovo lavoro "Le Noise": non siamo agli stessi eccelsi livelli che Lanois (canadese come Young, nato ad Hull, Quebec) ha toccato attraverso gli anni con artisti tra gli altri come U2 ("Unforgettable Fire" -1984- , "Joshua Tree" -1987 -) e Bob Dylan ("Oh Mercy" -1989-) tanto per essere subito chiari, il suo tocco però é inconfondibile ed il risultato dell’operazione è ugualmente affascinante.
Neil Young è artista da sempre diviso con modalità sublimi tra infuocate esibizioni elettriche live ed intimistiche solitarie performances acustiche per cui la ‘solitudine’ approntata da Lanois non è certo un problema per lui : chi come me ha superato le cinquanta primavere è da tempo avvezzo a questa benedetta dicotomia caratteriale/artistica di Young così come alla sua fatale discontinuità ispirativa; non per questo era stata meno dolorosa la quasi totale delusione per il suo precedente lavoro in studio "Fork In The Road", scialbo e povero dal punto di vista ispirativo (2009/Reprise).
Le sue due ultime dignitose raccolte risalivano al 2005 ("Prairie Wind", bucolica retrospettiva esistenziale)e "Living With War" (2006/Reprise), infiammata requisitoria anti-Bush se non si conta l' ottima "Chrome Dreams II (2007/Reprise)" composta da brani appartenenti a periodi diversi della sua carriera.
Lanois cerca di conciliare in "Le Noise" (titolo omaggio alle sue origini francofone immagino), riuscendoci all’ 80 %, l’epico ‘rumore’ elettrico di Neil e la sua dimensione acustica commovente: ed ecco l’immarcescibile Neil graffiare fieramente la sua fida Les Paul in sei brani su otto anche senza batteria e basso, in brani esaltanti come Walk with Me, Rescue Me, Angry World, Hitchhiker, Sign Of Love, riecheggianti le sue armonie più intense ed integrati da Lanois all'inizio o in coda da echi e brevi loops vocali, per creare come sua abitudine effetti di straniamento, non sempre opportuni.
Avrete già capito che il Neil Young che amiamo da sempre (una delle guide spirituali di Music Box), lirico ed ispirato, è di nuovo tra noi a mormorare ombrosamente di ‘amore e guerra’, ‘mondo inquieto’, ‘segni d’amore’ anche se attraverso quaranta minuti scarsi; bellissimi i due episodi acustici, Love And War, spagnoleggiante e dolorosa, come solo Neil sa, ma soprattutto Peaceful Valley Blvd., un brano che da solo giustifica l'acquisto di Le Noise: sette minuti di pura poesia alla moviola, intrisa di una ‘loneliness ‘sognante ed arcana che fa rivivere come per incanto le sconsolate sublimi introspezioni di On The Beach, Old Laughing Lady… brani di Neil mai dimenticati, sempre nel nostro cuore.
Wally Boff
Neil's Garage
NPRmusic
Video
Love And War
Sign Of Love
Walk With Me
The Hitchhiker
Peaceful Valley Boulevard
Il risultato è il suo nuovo lavoro "Le Noise": non siamo agli stessi eccelsi livelli che Lanois (canadese come Young, nato ad Hull, Quebec) ha toccato attraverso gli anni con artisti tra gli altri come U2 ("Unforgettable Fire" -1984- , "Joshua Tree" -1987 -) e Bob Dylan ("Oh Mercy" -1989-) tanto per essere subito chiari, il suo tocco però é inconfondibile ed il risultato dell’operazione è ugualmente affascinante.
Neil Young è artista da sempre diviso con modalità sublimi tra infuocate esibizioni elettriche live ed intimistiche solitarie performances acustiche per cui la ‘solitudine’ approntata da Lanois non è certo un problema per lui : chi come me ha superato le cinquanta primavere è da tempo avvezzo a questa benedetta dicotomia caratteriale/artistica di Young così come alla sua fatale discontinuità ispirativa; non per questo era stata meno dolorosa la quasi totale delusione per il suo precedente lavoro in studio "Fork In The Road", scialbo e povero dal punto di vista ispirativo (2009/Reprise).
Le sue due ultime dignitose raccolte risalivano al 2005 ("Prairie Wind", bucolica retrospettiva esistenziale)e "Living With War" (2006/Reprise), infiammata requisitoria anti-Bush se non si conta l' ottima "Chrome Dreams II (2007/Reprise)" composta da brani appartenenti a periodi diversi della sua carriera.
Lanois cerca di conciliare in "Le Noise" (titolo omaggio alle sue origini francofone immagino), riuscendoci all’ 80 %, l’epico ‘rumore’ elettrico di Neil e la sua dimensione acustica commovente: ed ecco l’immarcescibile Neil graffiare fieramente la sua fida Les Paul in sei brani su otto anche senza batteria e basso, in brani esaltanti come Walk with Me, Rescue Me, Angry World, Hitchhiker, Sign Of Love, riecheggianti le sue armonie più intense ed integrati da Lanois all'inizio o in coda da echi e brevi loops vocali, per creare come sua abitudine effetti di straniamento, non sempre opportuni.
Avrete già capito che il Neil Young che amiamo da sempre (una delle guide spirituali di Music Box), lirico ed ispirato, è di nuovo tra noi a mormorare ombrosamente di ‘amore e guerra’, ‘mondo inquieto’, ‘segni d’amore’ anche se attraverso quaranta minuti scarsi; bellissimi i due episodi acustici, Love And War, spagnoleggiante e dolorosa, come solo Neil sa, ma soprattutto Peaceful Valley Blvd., un brano che da solo giustifica l'acquisto di Le Noise: sette minuti di pura poesia alla moviola, intrisa di una ‘loneliness ‘sognante ed arcana che fa rivivere come per incanto le sconsolate sublimi introspezioni di On The Beach, Old Laughing Lady… brani di Neil mai dimenticati, sempre nel nostro cuore.
Wally Boff
Neil's Garage
NPRmusic
Video
Love And War
Sign Of Love
Walk With Me
The Hitchhiker
Peaceful Valley Boulevard
lunedì 27 settembre 2010
O.J.M.: VOLCANO (Go Down Records/Lunatik - 2010) by Wally Boff
A giudicare dal calore e dall’intensità delle loro performances in studio i trevigiani OJM dal vivo devono essere una forza della natura.
I sei rockers arrivano al loro nuovo appuntamento discografico, "Volcano", per la benemerita italiana Go Down Records (un’etichetta molto attiva che propone artisti che eseguono del rock&roll verace, molto attaccato alle radici) a quattro anni da "Under The Thunder"; nel 2008 però c’era stato un ottimo "Live In France" che confermava come sui palchi gli OJM esprimino il meglio di se stessi.
Del resto le loro credenziali parlano chiaro: dal 1997, anno della loro nascita hanno svolto un’intensissima attività live, fatto due tours in U.K. e suonato di supporto a gente come DKT/MC5, Iggy And The Stooges, The Datsuns,, Motorpsycho, Brant Bjork, Lords Of Altamont, Gorilla, Marlene Kuntz, Hardcore Superstar, Nebula, Josiah, The Fleshtones.
Volcano è un disco potente, da ascoltarsi ad alto volume per usufruirne a pieno, e il suo dipanarsi lungo 10 brani conferma ciò che è scritto nella presentazione della Go Down: quella che può sembrare dall’iniziale Welcome (Volcano) una band dedita ad una forma di stoner-rock molto efficace, mano a mano che si ascoltano i seguenti Venus God e Rainbow si rivela accanirsi con tenacia su un rock penetrante ed affilato che affonda le radici molto lontano nel tempo.
Le due chitarre di Alex Germany ed Andrew Pozzy edificano un vero muro del suono che assume una drammaticità quasi psichedelica grazie alle solerti tastiere di Stefano Paschi(bass/Organ) e King Ricky Shallo (theremin/percussion).
Ocean Hearts è il primo vero picco di Volcano, dilatato a dismisura e caratterizzato da una violenza quasi sacrale.
David Martin non è vocalist duro e piatto, ma caratterizzato da toni suadenti e trasversali: lo si può ascoltare al meglio nella epica I’ll Be Long, real ‘rock&roll’ vicino come il successivi Cocksucker e Disorder a quella benedetta urgenza e spudoratezza esecutiva che ci ha fatto tanto amare ‘aussie’ bands come Radio Birdman e New Christs ed ancora prima i seminali Stooges di Iggy Pop.
Illustri referenti dunque per gli OJM che fanno onore davvero alla scena rock italiana, stagliandosi però ad un livello realmente internazionale. Per di più il disco è coprodotto da Dave Catching che ha legato il suo nome allo stoner rock americano di Q.O.T.S.A., Eagles Of Death Metal ed Earthling.
2012 , episodio finale di "Volcano" è l’unica situazione ‘apparentemente’ moderata e chiaroscurale del disco: nella seconda parte in realtà si accende di sacri fuochi come il resto del disco.
Volcano ho paura sia un disco davvero ‘chiave’ per verificare quanto sia in salute ‘certo’ rock italiano non avvezzo e disposto a compromessi.
Wally Boff
Video
I'll be long 'live'
Sister Anne 'live' (with Michael Davis/MC5)
The Sleeper 'live'
OJMMySpace
ojm
GoDown Records
I sei rockers arrivano al loro nuovo appuntamento discografico, "Volcano", per la benemerita italiana Go Down Records (un’etichetta molto attiva che propone artisti che eseguono del rock&roll verace, molto attaccato alle radici) a quattro anni da "Under The Thunder"; nel 2008 però c’era stato un ottimo "Live In France" che confermava come sui palchi gli OJM esprimino il meglio di se stessi.
Del resto le loro credenziali parlano chiaro: dal 1997, anno della loro nascita hanno svolto un’intensissima attività live, fatto due tours in U.K. e suonato di supporto a gente come DKT/MC5, Iggy And The Stooges, The Datsuns,, Motorpsycho, Brant Bjork, Lords Of Altamont, Gorilla, Marlene Kuntz, Hardcore Superstar, Nebula, Josiah, The Fleshtones.
Volcano è un disco potente, da ascoltarsi ad alto volume per usufruirne a pieno, e il suo dipanarsi lungo 10 brani conferma ciò che è scritto nella presentazione della Go Down: quella che può sembrare dall’iniziale Welcome (Volcano) una band dedita ad una forma di stoner-rock molto efficace, mano a mano che si ascoltano i seguenti Venus God e Rainbow si rivela accanirsi con tenacia su un rock penetrante ed affilato che affonda le radici molto lontano nel tempo.
Le due chitarre di Alex Germany ed Andrew Pozzy edificano un vero muro del suono che assume una drammaticità quasi psichedelica grazie alle solerti tastiere di Stefano Paschi(bass/Organ) e King Ricky Shallo (theremin/percussion).
Ocean Hearts è il primo vero picco di Volcano, dilatato a dismisura e caratterizzato da una violenza quasi sacrale.
David Martin non è vocalist duro e piatto, ma caratterizzato da toni suadenti e trasversali: lo si può ascoltare al meglio nella epica I’ll Be Long, real ‘rock&roll’ vicino come il successivi Cocksucker e Disorder a quella benedetta urgenza e spudoratezza esecutiva che ci ha fatto tanto amare ‘aussie’ bands come Radio Birdman e New Christs ed ancora prima i seminali Stooges di Iggy Pop.
Illustri referenti dunque per gli OJM che fanno onore davvero alla scena rock italiana, stagliandosi però ad un livello realmente internazionale. Per di più il disco è coprodotto da Dave Catching che ha legato il suo nome allo stoner rock americano di Q.O.T.S.A., Eagles Of Death Metal ed Earthling.
2012 , episodio finale di "Volcano" è l’unica situazione ‘apparentemente’ moderata e chiaroscurale del disco: nella seconda parte in realtà si accende di sacri fuochi come il resto del disco.
Volcano ho paura sia un disco davvero ‘chiave’ per verificare quanto sia in salute ‘certo’ rock italiano non avvezzo e disposto a compromessi.
Wally Boff
Video
I'll be long 'live'
Sister Anne 'live' (with Michael Davis/MC5)
The Sleeper 'live'
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ojm
GoDown Records
domenica 26 settembre 2010
Folk, Acid Folk, Prog Folk e dintorni: artisti e brani scelti e commentati da Marcello Rizza; intro by Wally Boff
Noi di Music Box non ci facciamo mancare niente, perché amiamo tutte le valide e significative sfaccettature della storia del rock e della musica più in generale del passato millennio e del nuovo; non abbiamo preclusioni nei confronti di nessun genere e di nessun artista: ecco perché a furia di frequentazioni abbiamo capito che molte volte, in
certi periodi storici, le definizioni e le etichette perentorie non funzionano molto.
Esiste ad esempio in ambito folk una zona d'ombra, tra la fine degli anni '60 e la metà dei '70, nella quale hanno operato sull'onda (parallelamente ma soprattutto subito dopo) della 'rivoluzione' psichedelica che aveva investito il rock, artisti che hanno avuto delle intuizioni felicissime nel momento in cui hanno messo al bando l'ortodossia (a volte con l'apporto in quegli anni diffuso di sostanze lisergiche) e sperimentato in virtù del libero flusso creativo.
Gruppi europei molto innovatori in campo folk saliti agli onori della cronaca come Fairport Convention, Steeley Span, Pentangle dimostrarono in quegli anni come la tradizione e la dimensione acustica potevano sposarsi molto bene con il rock e le chitarre elettriche, con sfumature jazzistiche, con il pop. La stessa operazione che aveva portato a termine tra il '65 ed il '66, tra non poche polemiche, Bob Dylan dall'altra parte dell'Atlantico.
In quella zona d'ombra di cui parlavo (il termine ipersfruttato 'underground'
continua ad essere quello ideale) invece operarono musicisti che spesso si spinsero ancora più in là conquistando territori più o meno 'psyche' inediti ed affascinanti: negli ultimi anni, grazie soprattutto all'opera di etichette amatoriali (tra le quali l'italiana Akarma), questi piccoli (grandi!) e grezzi diamanti sepolti dalla pervicace polvere del tempo hanno visto la luce del sole.
Il nostro collaboratore Marcello Rizza, grosso conoscitore di quello che per comodità chiameremo 'folk, acid folk, prog rock e dintorni' non ha mai mancato di segnalarci negli anni bands e brani davvero godibili e sorprendenti in tal senso; ha avuto quindi l'idea felice (da me subito suffragata!) di proporli periodicamente ai lettori di Music Box tramite personali 'compilations': quella che segue é la prima, dieci brani corredati da piccoli ma efficaci commenti di Marcello; sono segnalazioni introduttive ad un caleidoscopio 'sonoro'incredibile ed intimista, che se esplorato più a fondo vi riserverà delle sorprese incantevoli.
Si tratta di artisti per lo più anglosassoni; dice Bruce Eder in allmusic.com a proposito del trio folk Sunforest: "... sembra quasi che ci fosse in Inghilterra nel 1969 qualcosa di speciale nell'acqua o nell'aria per produrre così tanti musicisti folk che flirtavano col rock!"
Ho coadiuvato Marcello segnalandovi di ogni brano album d'appartenenza, anno di pubblicazione ed etichetta: il tutto per venire incontro ai più volenterosi e 'sollecitati' che volessero usufruire integralmente di un album e di un artista.
In egual modo vostre eventuali segnalazioni e preferenze ci aiuteranno/spingeranno a sviscerare un singolo album ed artista.
Buona lettura, ma soprattutto buon ascolto. (Wally Boff)
La scaletta, così come proposta, affronta un percorso folk che, gradatamente, prende per mano l'ascoltatore e l'accompagna da un ascolto più leggero verso un cammino più acido, quasi a volerlo abituare ad ascolti che, mano a mano, diventano più complessi:
Trees, Emtidi, Comus, Loudest Whisper, Tea & Symphony, Alan Hull, Spirogyra, Tudor Lodge, Sunforest, Linda Perhacs.
E' un buon modo per divulgare l'acid folk.
(Marcello Rizza)
Trees - The Garden of Jane Delawney (The Garden of Jane Delawney: 1970/Beat Goes On)
Inglesi: una bella passeggiata domenicale tra campi mossi e ruscelli lenti. No...non c'è una bella donna al fianco. E' un momento solitario, e l'elemento psichedelico emerge appena, sufficiente a darci sognanti e malinconiche sensazioni.
Emtidi - 01 - Lookin' for People (Emtidi:1970/Thorofon))
Gruppo di culto, prog folk, abbastanza conosciuti, formato da due hippies, uno canadese e l'altro tedesco stanziatisi a Londra nel 1970 .
Escono certamente da quella tradizione krautrock per cui i tedeschi sono più considerati. Brano delizioso
Comus - Figure in your dreams (To Keep From Crying: 1974/Sorcerer Rec.)
Inglesi: non hanno bisogno di presentazioni. Il loro primo album, "First Utterance" è un
must dell'Acid Folk. Il loro secondo album, meno conosciuto, da cui proviene questo brano, è comunque molto gradevole. Inoltre, abbandona lo stile cupo e pagano e, soprattutto in questo brano, emerge il lato gioioso del gruppo. Il gruppo si è riformato nel 2008 e il DVD dell'evento è corto ma assolutamente imperdibile, soprattutto per la loro versione live di Venus in Furs dei Velvet Underground.
Loudest Whisper - Overture (The Children Of Lir: 1974/Polydor)
Band irlandese dedita ad un prog-folk rock intriso di culto Celtico.
Non tutto l'album, a mio parere, è allo stesso livello. Questo pezzo è sicuramente tra i più interessanti. Decisamente più prog folk che acid folk, lega comunque bene con la compilation che si avvia a diventare, di brano in brano, più psichedelica.
Tea & Symphony - Armchair Theafre (An Asylum for the Musically Insane: 1969/Repertoire)
Inglesi: qui si sale decisamente di livello, per quanto riguarda la difficoltà di ascolto. L'album, tutto molto interessante, è contraddistinto da una ricerca stilistica che risulta alla fine originale. La commistione di influenze e certi suoni resi dalla chitarra rendono finalmente un po più l'idea di psichedelia che contraddistingue questa compilation.
Alan Hull - I Hate To See You Cry (Pipedream: 1973/Cool Sound Rec.)
Inglese: formerà il noto gruppo folk Lindisfarne. Amo la sua poesia, che riesce a trasporre nei testi e nella musica. Il brano è tratto da "Pipedream"; molto bella, in quest'album, la cover degli Affinity United State of Mind.
Spirogyra - The Furthest Point (Bells Boots & Shambles: 1973/Repertoire)
Anglosassoni: guidati da due vocalists, Barbara Gaskin (collaborerà con Dave Stewart nei primi anni '80) e Martin Cockerham, anche se etichettati come gruppo folk-rock saranno i più influenzati di questo lotto dal glam-rock primi anni '70.
Tudor Lodge - Willow Tree (Tudor Lodge: 1971/Repertoire)
Inglesi: dal sound pastorale, gentile e delicatamente melodico, estremamente ricco cromaticamente, chitarre acustiche, tastiere, fiati, violini, clarinetti, celli.
Sunforest - Mr. Bumble & Overture to the sun (Sound of Sunforest: 1969/Universal)
Trio inglese: Tucker (vocals, keyboards, arrangements), Eigen (vocals, percussion), and Hough (vocals, guitar). " (...) un album che salta selvaggiamente nei suoi 15 brani da uno stile all'altro, da un sound ad un altro (Bruce Eder, allmusic.com)
Linda Perhacs - Parallelograms (Parallelograms: 1970/The Wild Places)
Stanziata nelle isole Hawaii realizza quest'unico album " (...) influenzato dalle folk-singers americane (Joni Mitchell) quanto dagli esperimenti della scena psichedelica della west-coast americana" (Francois Couture, allmusic.com)
Bagliori di Acid Folk e di Prog Folk si sono propagati nelle decadi successive, anche grazie all'inesauribile vena creativa di Ian Anderson ed i suoi Jethro Tull che hanno scritto pagine memorabili di prog-folk; epigoni di questi due generi si spingono sin dentro il nuovo millennio: Fern Knight, Silver Summit, Rusalnaia, Ex Reverie, Espers, A Candle For Judith.
Ne riparleremo ...
Marcello Rizza
MyAcidFolkRock
Prog-Folk