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sabato 11 settembre 2010
Il ritorno del Pop Goup: le fotografie del concerto di Torino del 10 settembre
Il ritorno del Pop Group: il concerto di Torino nel video di "We are all prostitutes"
The Pop Group: "We are all prostitutes", Torino 10 settembre 2010
venerdì 10 settembre 2010
THE CHESTERFIELD KINGS – "Don‘t open til doomsday" (Mirror Rec./1987) by Franco Lys Dimauro
Hanno fatto tanto dall'inizio della loro carriera per preservare nelle sue varie diramazioni 'the true spirit of rock&roll'.
L'ultimo album in studio dei Chesterfield Kings é l'ottimo Psychedelic Sunrise (Wicked Cool/2007). Live on stage ... if you want it (Wicked Cool/2009) é invece la loro ultima uscita: le assi del palco sono il luogo ideale per il front-man Greg Prevost (emulo da sempre del Mick Jagger più oltraggioso) & c. per sfoderare la loro naturale grinta. Franco Dimauro si occupa in questo articolo di un loro famoso album del 1987, uno dei migliori dei Kings. (W.B.)
La copertina era un presagio di sventura.
Se sul disco di debutto, quello che aveva gettato l’ ancora nella baia nascosta del punk delle garage band dei sixties, sembrava di vedere la reincarnazione dei Blues Magoos e sul capolavoro successivo uno scatto degli Stones dell’era Brian Jones, sulla copertina di Don't open til doomsday i Kings sembravano un’anonima band proto-hard degli anni Ottanta, con tanto di fumo dietro le spalle e t-shirt di dubbio gusto. Girata la copertina, ecco spuntare nomi come quello di Dee Dee Ramone o T-Bone Burnett. Per i puristi della scena garage, uno sputo in faccia.
I Chesterfield Kings non sono gli unici ad avvertire la stretta di una scena che continua a celebrare se stessa fino a diventare grottesca. Miracle Workers, Sick Rose, Fuzztones, Morlocks, Creeps, Untold Fables, Fourgiven stanno analogamente allontanandosi dal concetto teocratico che vuole la musica garage punk completamente impermeabile a quanto musicalmente sperimentato dal 1967 in poi.
Hanno scavato dentro il cimitero beat e ora che iniziano ad avvertire i primi segni di stanchezza, hanno tentato a fatica di alzare la schiena e hanno visto che c’è tanta altra roba da scavare, da tirare fuori.
Ci sono i Ramones, c’è il folk rock, ci sono gli MC5, c’è Johnny Thunders.
E presto ci saranno anche i New York Dolls, gli Aerosmith, il blues del Delta, Jan & Dean e i Beach Boys. Lo sapevano già.
Solo, presi da quel lavoro di scavafosse, se ne erano dimenticati.
A ricordarglielo sono i centinaia di concerti che diventano sempre più una gara improponibile (e impari, perché i Re suonano come nessun altro, all’epoca, NdLYS) a chi suonasse le cover più sconosciute o a chi rifacesse meglio The Witch dei Sonics. Ma Greg e Andy non si divertono più, in quell’ acqua park dove le vasche non vengono più disinfettate e l’ acqua è diventata stagnante.
Ecco che pensano a un disco come questo. Dove l’ urgenza del garage punk più immorale e di cui Social End Product dei Blue Stars può essere eletta ad archetipo
si accende in spiritate e crepitanti canzoni figlie del suono malato degli Spiders (Someday Girl) o si stempera in un power-rock con chitarre scintillanti (Everywhere), morbide ballate folky (You're gone) e addirittura un angolo acustico come I‘ll be back someday.
Eppure, malgrado non ci sia adesione agli schemi del suono d’epoca (nessun accenno di maracas o di tastiere vintage, per dirne una), non c’ è neppure un totale scollamento dai canoni estetici del sixties sound. Ci sono splendide armonie vocali studiate sui dischi di Mamas and Papas e Monkees ad esempio, due delle fissazioni di Greg di quel periodo e che dal vivo fanno si che California Dreamin’ e Sunny Girlfriend finiscano a un passo da Ramblin’ Rose o Chinese Rocks per una delle scalette più belle del periodo.
Il suono dei Kings si è semplicemente innestato dentro un cubo di Rubik dalle molteplici sequenze. Qualcuno avvertirà questo come un tradimento (salvo poi tornare ad ascoltare i suoi merdosi dischi dei Journey, come dirà in seguito lo stesso Greg Prevost, NdLYS), qualcun altro come un’accozzaglia di canzoni prive di idee brillanti (lo Scaruffi che borbotta dalle sue enciclopedie), qualcuno ne avvertirà invece la vera portata. L’urgenza di una fuga, l’accensione di una nuova miccia, di un nuovo entusiasmo.
Non è forse questa la legge segreta del rock'n'roll?
O credete davvero sia vedere i Deep Purple che rifanno Smoke on the water con la pingue che gli ricopre, molle, mezza cassa della chitarra?
CHESTERFIELD KINGS on MUSIC BOX
--- La recensione dell'ultimo album in studio, Psychedelic Sunrise (Wicked Cool/2007)
http://musicbx.blogspot.com/search?q=chesterfield+kings+psychedelic+sunrise
--- Il live-report del concerto del 1° Marzo 2007 nei pressi di Siena
http://musicbx.blogspot.com/2007/03/live-esteri-chesterfield-kings-sonar.htm
l
--- L'intervista dell'aprile 2007 al bassista dei C.Kings, Andy 'Brian Jones' Babiuk
http://musicbx.blogspot.com/2007/05/interviste-esteri-chesterfield-kings-by.html
--- La recensione di Mindbending Sounds of...(2003/Sundazed)ed una mini-story dei Chesterfield Kings
http://musicbx.blogspot.com/2007/03/sixties-culture-chesterfield-kings.html
Baby Doll (from Don't Open Til Doomsday)
http://www.youtube.com/watch?v=W4Qes5hZDUQ
Sunrise (Turn On) [from Live onstage...if you want it 2009/Wicked Cool Rec.)]
http://www.youtube.com/watch?v=lLae8cMSNKA
Up and Down (from Psychedelic Sunrise 2007/Wicked Cool Rec.)
http://www.youtube.com/watch?v=qjmAy8Mn6PU&feature=related
Don't Blow Your Mind (live at CBGB's)
http://www.youtube.com/watch?v=-p8hOSV6Qyw&feature=related
Midnight Rambler (Jagger-Richards) live
http://www.youtube.com/watch?v=CmmTu-OH1wA&feature=related
http://www.myspace.com/thechesterfieldkings
LIVE REPORT: THE MORLOCKS, Torino, United Club 1 settembre 2010 (by Claudio Decastelli)
Salgono sul palco e attaccano uno strumentale, ma senza Leighton Koizumi. Mi chiedo: ma loro sono i Morlocks? O sono solo la band che accompagna Koizumi? Dopo qualche decina di secondi entra anche lui, personificazione vivente e attiva del garage-punk, unico rimasto della formazione che nel 1985 registrava Emerge e da allora sua (inquieta) anima. Dopo che l'intro iniziale si trasforma rapidamente in un solido riff ricavato da quello su cui cantava e suonava Sonny Boy Williamson, con voce per niente implorante Koizumi attacca Help me, del grande armonicista e secondo brano di “... play Chess”. Il tono della sua voce esprime già da solo il modo differente di interpretare, rispetto al blues originale, quella richiesta di aiuto: modo che, applicato ai suoi e agli altrui pezzi, e' diventato negli anni suo personale marchio di fabbrica, il marchio Morlocks.
E la band? Lo segue: non e' facile essere all'altezza di un tale marchio, bisogna essere tagliati e averci preso abbastanza confidenza. Ma mano a mano che i pezzi si susseguono, che la confidenza la abbiano presa si sente. Sitting on the top of the world, altro standard Chess rivisto e Burn me out, dal penultimo cd "Easy listening for the underachiever" scaldano mani e muscoli a sufficienza per una Killing floor di Howlin' Wolf, sempre brano Chess, cosi' diversa dall'originale e cosi' potente, live ancora di piu' che registrata, da non poter essere che il risultato del lavoro dei Morlocks, non solo di "Koizumi e della band che lo accompagna".
Racconta al LA Week Larry Pops, il chitarrista con la Rickenbacker e tanti ricci in testa, che prima di registrare "Morlocks play Chess" hanno ascoltato anche fino a 50 cover di ogni pezzo (tante ne esistono per alcuni), ne hanno poi suonate anche fino a 5 proprie versioni diverse e alcune poi le hanno pure totalmente riarrangiate, per sentirsele comode: un grosso lavoro di gruppo, che ha fatto maturare un suono loro e collettivo, dei Morlocks.
Suono che ovviamente non puo' che essere indirizzato dalla personalita' di Leighton, alla quale per forza gli altri della band fanno riferimento. Cosi' se lui si contorce, percorre il palco su e giu', salta, fa roteare l'asta del microfono, gli altri non sono da meno, trasformando anche in espressione corporea l'andamento dei suoni che escono dagli strumenti e dalla voce. Ma tutto con professionale controllo del risultato, nella resa dei pezzi non ci sono sbavature, approssimazioni, gigioneggiamenti a copertura . Alla batteria Marky Arnold e' solido ma vario, per niente scontato nei ritmi, il basso di Joe Baluta (portato a un'altezza che da noi i rocker non osano) lo segue e integra, non limitandosi sempre alle note fondamentali. Le chitarre di Pops e Nic Jodoin (che e' anche produttore degli ultimi due lavori in sala di registrazione) si alternano nell'accompagnamento e nei riff, ma anche si sovrappongono e in modo tutt'altro che disordinato. Anzi, gli intrecci sono efficacissimi, mai alla ricerca dell'effetto e la tecnica viene usata per la resa dell'esecuzione: il risultato e' un suono potente con dietro un lavoro di precisione. Su una base cosi' costruita, frutto delle scelte dei musicisti fatte da Koizumi e degli anni di attività comune (sostanzialmente la formazione attuale si e' formata nel 2007, ha registrato "Underachiever" l'anno dopo e da allora è sempre stata assieme), il repertorio recente dei Morlocks scorre sul palco dello United in un flusso regolare e quasi ininterrotto, che fa sudare chi suona e anche quella parte di pubblico che, nella migliore tradizione, si salta addosso (non metaforicamente) nei pezzi piu' movimentati. Sfilano quasi tutte le tracce di “... play Chess” (soprattutto nel finale), a tratti ancora piu' determinate che non sul cd, metà di "Underachiever" (tra cui la cover Teenage Head, le loro Dirty Red e Sex Panther, killer-song con gli attacchi che live valgono il doppio), qualche pezzo nuovo (troppo poco un ascolto per dirne qualcosa) e una Born Loser che chiude i due bis.
Dopo oltre 20 pezzi i Morlocks (non “la band di Koizumi”) lasciano il palco, inseguiti da qualche rompiscatole che vuole parlargli. Leighton chiede 10 minuti di tregua. Nel frattempo Nic Jodoin sopporta sorridendo (e bevendosi una birra) spaparanzato su un divanetto fuori dalla sala del concerto, domande sulla band di sicuro per lui banali.
Poi anche Koizumi si lascia coinvolgere in una conversazione leggera, con mezzi sorrisi quando si accenna all'eta' sua e al prossimo (allora) suo matrimonio, per poi prendere di peso Larry Pops, che passava lì accanto e sostituirlo a se' stesso per continuarla (d'altronde, il leader e' sempre lui ...).
Enrico Laguardia, collage e foto
Boom Boom (01/09/2010, United Club Torino, di Gustavo Boemi)
http://www.youtube.com/watch?v=uYnJurTqGe0&feature=player_embedded#!
Smockestack Lightning (da Morlocks Play Chess)
http://www.youtube.com/watch?v=FVG8BVfWYic
Help Me (da Morlocks Play Chess)
http://www.youtube.com/watch?v=bernRIPw9e4&feature=related
Dirty Red
http://www.youtube.com/watch?v=WHLXhQMu3ds&feature=related
Sex Panther
http://www.youtube.com/watch?v=usZjdUDzzyQ
My Friend the Bird
http://www.youtube.com/watch?v=LujFM85b05Q&feature=related
http://www.myspace.com/themorlocks
martedì 7 settembre 2010
BRIAN WILSON: La Rinascita artistica ed umana nel nuovo millennio e Reimagines Gershwin (Walt Disney - 2010) by Wally Boff
La rinascita artistica ed esistenziale di Brian Wilson iniziò nel 1988 con la pubblicazione del suo primo omonimo album solista: un coraggioso primo tentativo di uscire dal vicolo cieco delle droghe e della depressione che l'aveva costretto ad abbandonare quasi del tutto le scene per tutti gli anni '70 ed '80; nondimeno non aveva privato del suo prezioso apporto compositivo albums dei Beach Boys incredibili come Surf's Up (1971), Holland(1973), Love You(1977).
Purtroppo questo debutto solista, pregevole, é condizionato ancora pesantemente dalla sudditanza allo psichiatra Eugene Landy, divenuto ormai una presenza invadente ed ingombrante nella sua vita.
Landy, dopo aver supportato brillantemente Wilson nell'uscire dal buio aveva allargato da tempo il suo ruolo professionale sino ad incidere sulle sue stesse vicende artistiche e finanziarie.
Si sa, queste questioni non si risolvono tanto facilmente; gli anni '90 sono stati per Brian ancora altalenanti: in ogni modo hanno sortito due opere non eccelse ma dignitose, Orange Crate Art con la collaborazione dell'eclettico Vand Dyke Parks (1995) e Imagination (1998).
Il suo pieno riscatto invece coincide perfettamente con lo scoccare del nuovo millennio e con l'ingresso nella sua vita artistica dei Wondermints, un ensemble di dieci abilissimi musicisti a tutto tondo, capaci di ricreare senza sbavature in studio e dal vivo (questa l'autentica meraviglia!), strumentalmente e vocalmente lo stesso inconfondibile mood dei Beach Boys.
Ne fa fede lo stupendo doppio Live at the Roxy Theatre (2000) dove l'allora 57enne artista insieme ai grandissimi Wondermints annuncia al mondo la sua gioia di sentirsi di nuovo vivo, pronto a trasmettere ancora al pubblico la sua sublime arte compositiva e vocale. Wondermints sono incredibili nel riprodurre nei minimi particolari il sound dei numerosi musicisti di studio che coadiuvarono i Beach Boys nella realizzazione di autentici monumenti dell'arte pop quali Pet Sounds, Holland, Surf's Up, Smile.
Ecco, se dovessi consigliare ad un neofita o ad un amico cui voglio particolarmente bene un'opera che segni il pieno ritorno di Brian Wilson segnalerei Live at the Roxy Theatre. Ho dedicato a questo disco nel 2001 una lunga recensione, che se vorrete vi riproporrò.
Qui mi limiterò a sottolineare come Wilson e questo eccezionale organico eseguono con brillantezza unica sia classici del periodo 'surf' dei B.Boys come I Get Around, Surfer Girl, California Girls, Don't Worry Baby, Darlin', In My Room, che episodi appartenenti alla graduale ma sfolgorante maturità compositiva di Brian Wilson: Please Let Me Wonder, Good Vibrations, God Only Knows, 'Til I Die, Caroline No, Let's Go Away for Awhile, Pet Sounds, sino a Love and Mercy.
Wilson subito dopo si dà anima e corpo alla riproposta dei due grandi capolavori dei Beach Boys degli anni '60: Pet Sounds (1966) nel 2002 e Smiley Smile (1967), l'opera incompiuta, nel 2004.
Pet Sounds Live viene registrato nel corso del suo primo tour solista in Europa ed Inghilterra, durante quattro notti alla London's Royal Festival Hall e testimonia l'esecuzione maniacale del capolavoro originale; Smile, realizzato scrupolosamente da Wilson con la collaborazione preziosissima di Darian Sahanaja, leader e guida dei Wondermints, rappresenta la messa a punto definitiva dello Smile lasciato incompleto nel 1967, uno dei leggendari dischi 'perduti' dei '60.
Con lo Smile del 2004 siamo di fronte ad un lavoro semplicemente perfetto, dove tutte le parti registrate ma rimaste fuori nell'originale e poi disseminate negli albums seguenti trovano la loro logica ed armonica collocazione finale. Il risultato é un'opera armonicamente e melodicamente superba, seconda (forse per minore immediatezza) solo a Pet Sounds, anche se sono molti tra gli addetti ai lavori e fans a pensare che il nuovo Smile, messo a nuovo e splendente di luce abbacinante sia superiore per bellezza e complessità di concezione a Pet Sounds.
Il nuovo Smile mette a tacere finalmente anche i numerosi detrattori di Wilson che lo accusano di vivere di rendita sul suo passato Beach Boys sin dall'inizio della sua carriera solista.
Nel 2004 Brian Wilson realizza anche un lavoro in studio tutto inedito, Gettin' Over My Head, che vede anche la partecipazione di Eric Clapton e Paul McCartney: ospiti di lusso direte voi per un artista che ormai non conosce freni al suo ritorno sulle scene ed alla rinnovata ispirazione.
Ma é con That Lucky Old Sun (2008), con la collaborazione di Van Dyke Parks che si registra il ritorno dell'artista ad un'ispirazione finalmente limpida come l'acqua sorgiva, carica di nostalgia (Forever She'll Be My Surfer Girl), di magnifici sussulti vitali (Oxygen to the Brain,Can't Wait Too Long), di tristezza crepuscolare (Midnight's Another Day). That Lucky Old Sun é strutturata come un'opera organica che prevede degli interventi narrativi ogni due-tre brani; per me che non riesco ad essere imparziale di fronte al genio di Wilson questo disco rappresenta davvero un evento unico, ovvero il ritorno dell'artista dalla voce da 'adult-child' (come lo definisce in All Music John Bush)al concepimento di un lavoro ricco di superbe intuizioni melodiche, di chiaroscuri fascinosi che fa tesoro e attualizza un passato ormai leggendario.
BRIAN WILSON REIMAGINES GERSHWIN (Walt Disney - 2010)
Ma Wilson non é mai pago, é ancora alla ricerca a 67 anni suonati della bellezza in musica, l'unica che possa elevarci al di sopra delle miserie quotidiane: Elvis Costello qualche anno fa disse che nella storia della musica contemporanea americana c'é un filo rosso che parte da Gershwin ed attraverso Burt Bacharach giunge sino a Brian Wilson.
Avrebbe mai immaginato Costello che quelle sue parole oggi sarebbero suonate incredibilmente profetiche, nel momento in cui Brian Wilson tra il 2009 e 2010 decide di rivisitare l'opera imponente di George Gershwin? Come ci sia giunto lo racconta lui stesso in una breve intervista che ho tradotto e pubblicato in Music Box il 28 Agosto scorso e che vi invito a leggere.
Brian Wilson Reimagines Gershwin é uscito ufficialmente in Europa ed Italia ieri 6 Settembre 2010, ma io avevo avuto modo di ascoltarlo anche se parzialmente sin dalla metà d'agosto: ed avevo capito anche da pochi brani che il nuovo progetto era semplicemente geniale; Wilson nel rivisitare alcuni classici di Gershwin non si lascia manipolare dalle difficoltà dell'operazione ma rimane splendidamente se stesso, addirittura piegando classici come Summertime e 'S Wonderful alla sua espressività vocale da 'adult-child'.
B.W. Reimagines Gershwin é lavoro che esige predisposizione ed apprezzamento per lo swing ed il blues, due importanti componenti del corpus compositivo di Gershwin che Wilson sa sviscerare con naturale sensibilità: succede in I Loves You Porgy, It Ain't Necessary So, Love is Here to Stay, fascinosi blues nei quali Wilson sfoggia sorprendenti suadenti performances vocali, da interpretarsi quale impagabile maturità senile . Si é cucito addosso senza sbavature, con l'apporto di una compagine orchestrale lussureggiante il prodotto di un'epoca d'oro del progresso artistico e musicale americano.
Chiunque abbia una minima conoscenza dei dischi dei Beach Boys ascoltando anche distrattamente gli arrangiamenti di standard swing come They Can't Take That Away From Me e I Got Rhythm non può non cogliere (con gioia immensa...almeno per me) echi di classici surf Beach Boys (quindi Brian Wilson) quali California Girls, I Get Around; ascoltandoli hai la netta sensazione che Brian sia definitivamente uscito dal tunnel.
The Like In Love You e Nothing But Love sono due brani sfavillanti incantevoli melodie ricavati (come afferma Wilson nell'intervista) da 104 brani di piano non terminati di Gershwin: come sugellare con sapienza pop spartiti rimasti nei casetti da lunghissimo tempo, e Brian in questo é diventato davvero un maestro.
Come tralasciare infine I got a Crush on you e Someone to Watch Over Me, restituite dalla disarmante commovente interpretazione di Wilson alla loro bellezza imperitura; mentre lo strumentale I Got Plenty O' Nuttin, con quella splendida chromonica-basso in primo piano sembra uno scampolo non utilizzato di Pet Sounds.
Mentre mi ascolto un'ennesima volta Reimagines Gershwin, qualcosa mi suggerisce che nel momento in cui Brian Wilson si gode con i suoi collaboratori l'ultimo frutto del suo lavoro certosino sta già pensando a come stupirci un'ennesima volta, spero il più presto possibile per la mia salute mentale e spirituale!
Wally Boff
http://www.brianwilson.com/index.html
domenica 5 settembre 2010
Letture: DRUGS ARE NICE / Le droghe fanno bene, di Lisa Crystal Carver ... by Crizia Giansalvo
Crescendo, Lisa volgerà lo sguardo sempre verso il margine della vita sociale. Adolescente strana, vista con occhio cattivo anche dalla popolazione alternativa scolastica, trova nella outsider Rachel la figura perfetta per prendere le veci del padre. Dalla loro amicizia, dai loro lunghi viaggi on the road per gli Stati Uniti nasceranno le SuckDog, collettivo dedito a creare un'arte, musicale e figurativa, che esuli dagli schemi e sia volta a shockare il pubblico. La musica è un contorno distorto e rumoroso, colonna sonora di rappresentazioni teatrali di storie dove la sessualità e la violenza hanno il sapore più aspro dell'infantilità.
Le guide spirituali saranno personaggi come GG Allin (il primo album delle SuckDog si intitola Rape GG) conosciuto casualmente in una stazione di autobus, di cui Lisa, nel corso del libro, darà il ritratto più umano dell'artista che sia stato mai scritto.
Dopo essersi trasferita a Parigi e aver sposato Jean Louis Costes, Lisa inizia una vita tra prostituzione e giornalismo, per il magazine Dirt e la fanzine da lei creata Rollerderby, oltre a condividere il palco con il marito. Lo stile e le interviste di Lisa colpiranno i direttori delle più importanti riviste americane. Celebre sarà la sua rubrica dove racconta in prima persona le sue esperienze sessuali. In questi anni entra anche in contatto con artisti come Dame Darcy, e Nick Zedd.
Finito il matrimonio con Costes, si lega al controverso Boyd Rice dal quale avrà un figlio nato con una malformazione genetica. Quando anche la vita domestica diviene violenta, Lisa decide di dover affrontare un cambiamento, iniziando da se stessa. Riprendendo una frase di Dostoevsky “ in molti casi le persone, anche le più malvagie , sono molto più naive e buone di cuore di quello che pensiamo. E questo vale anche per noi stessi” Lisa ci traccia un percorso di crescita, personale e come artista, di una donna che cerca un senso di normalità fiera di un passato vissuto al limite che, se non diventa per lei ingombrante, sarà comunque un qualcosa da cui riscattarsi per il futuro del figlio. Con una scrittura cruda, ironica ed estremamente cerebrale, la “Hunter S. Thompson in gonnella” come l'ha definita Wired Magazine, ci offre uno spaccato di vita generazionale, la storia di una scena underground, quella degli anni ottanta, che inizia ora ad essere approfondita.
Le droghe, il sesso e la violenza sono riportati da Lisa con una dolcezza schietta, senza mai cadere nel facile tranello di regalare aneddoti scabrosi che sveglierebbero più una curiosità effimera che altro.
Le parole e il mondo della Carver scavano dentro leggeri, come il fantastico dialogo finale con l'amica Rachel. Poteva essere facilmente un libro maledetto, un racconto disperato, ma è impossibile ignorare quel contorno infantile, quel saper guardare il mondo con gli occhi di chi quel posto ha saputo fotterlo vincendo ed è pronta a sotterrare l'ascia di guerra alla ricerca di una serenità dove la normalità può anche non spaventare.
Cult Records / MU - MU (RTV RECORDS /1971) by Paolo Casiraghi
Nato in Kentucky, si trasferi’ presto a Los Angeles dove debutto’ con gli Impacts , una surf band di importanza trascurabile, e soprattutto dove in seguito conobbe Jeff Cotton della CAPTAIN BEEFHEART MAGIC BAND con i quali fondo’ gli EXILES e con i quali incise Merry and the Exiles e Fapardokly .
Jeff Cotton accompagnera’ Merrel Fankhauser durante i primi anni settanta e scrivera’ moltissimo del materiale susseguente prima di entrare nella Chiesa.
Dopo la breve parentesi solista con gli HMS BOUNTY con cui incidera’ un disco, Merrel e Jeff fondarono i MU, il cui unico disco ufficiale del 1971 per una piccola etichetta losangelina e’ tuttora una dei piu’ incredibili esempi di West Coast sound con influenze tribali e mistiche, dominato dalle percussioni e dalla fenomenale slide guitar, con interventi occasionali di strumenti inconsueti per il genere come il sax (come in Nobody wants to shine).
Il disco non e’ sempre di facile ascolto specie nella lunga Eternal Thirst , vero e proprio tour de force, da ascoltare in pieno deserto, magari durante un inno propiziatorio di qualche tribu’ indigena, in cui il suono lascia posto a una vera e propria danza tribale.
La song di apertura Ain’t no blues nonostante il titolo, e’ l’unica ad avere influenze blues ma talmente stravolte da permettere all’ascoltatore di penetrare mentalmente nella massa cerebrale di Merrel Fankhauser e comprendere la sua personale concezione del blues.
Altra highlight e’ la gia’ citata Nobody wants to shine con il suo incedere a scatti e l’incredibile assolo centrale di sax , uno dei migliori mai sentiti a mio parere in ambito rock.
Tutto l’album ( a parte Eternal Thirst of course) e’ molto scorrevole e le canzoni si susseguono lasciando un desiderio finale di mollare tutto e di partire senza meta, proprio come fecero Merrel Fankhauser e Jeff Cotton quando nel 1973 partirono per Maui (Jeff Cotton tornera’ nel 1974 a L.A. per diventare prete) e dove produssero il materiale che verra’ stampato solo nel 1981 e conosciuto come The last album, di cui un giorno forse vi parlero’….
Se siete abituati al classico suono westcoastiano rimarrete stupiti dinnanzi alla profondita’ di questo disco, la cui componente lisergica lascia spazio a una dimensione completamente diversa e a mio modo di vedere, piu’ interiore e personale.
Album unico in tutti i sensi, non suona come niente composto prima e forse nemmeno dopo, come direbbero gli americani ‘really one of a kind’.
Un vero peccato che nessuno abbia seguito la loro strada…o per fortuna, chi lo sa.
Desertico.
PAOLO CASIRAGHI
MU Featuring Merrell Fankhauser - Nobody Wants To Shine
http://www.youtube.com/watch?v=EgSdpYJpi9A
Merrell Fankhauser & H.M.S. Bounty - A Visit With Ashiya (1968)
http://www.youtube.com/watch?v=rSQww8OUrdc&feature=related
Fapardokly - 'Mr. Clock' (1967)
http://www.youtube.com/watch?v=Y8gLdOfWl5M
http://www.merrellfankhauser.com/
http://www.myspace.com/mfankhauser
LIVE REPORT: DEMOLITION DOLL RODS, 8/12/1999 Stop Over Pub (Bari), by Wally Boff
Elvis registrò That's Allright Mama nel luglio del 1954 e già dalle prime volte che comparve in tv l'America puritana e conservatrice si sdegnò per i suoi ancheggiamenti e sorrisi allusivi, sembravano un invito esplicito al sesso ed a torbidi comportamenti.
Sono passati 55 anni e chissà quante volte avrete letto da allora nelle cronache, nelle recensioni musicali quanto il rock&roll (quello vero) abbia conservato e potenziato orgogliosamente nella musica, nei comportamenti, nei testi questa lurida ed esecrabile componente sessuale.
Le DEMOLITION DOLL RODS sono un trio proveniente dalla bigotta America, Detroit, formatosi nei primi anni '90: Margaret (vocals, guitar), Danny (guitar, vocals) e Christine (drums) sono già passati alla storia come l'act più 'nudo' e 'spogliato' della storia del rock. Era uscito il loro primo fondamentale album, Tasty (1997) carico di eccitazione elettrica punk e di glam appiccicoso: sin dalle loro prime esibizioni di rock da postribolo, madide di sferragliante rock primitivo e minimale hanno mostrato di prendere alla lettera il retaggio libidinoso ed oltraggioso del rock&roll inaugurato da Elvis nell'America polverosa e campagnola dei primi anni '50, presentandosi in scena con addosso lo stretto necessario, Margaret e Christine in tanga con delle stelline di stoffa incollate sui capezzoli, a volte (quando le vidi dal vivo la prima volta) solo con della schiuma da barba sui capezzoli.
L'androgino, sculettante Danny alla chitarra (slippino e basta) con le sue contorsioni impossibili non é comunque da meno delle conturbanti provocazioni sessuali ed erotiche emanate dall'ex spogliarellista Margaret durante il concerto.
Sfogliando qualche giorno fa una copia di Uoz'Ap?, coraggioso mini-magazine cartaceo barese nato allo scoccare del secondo millennio sul quale scrivevo ho ritrovato la mia cronaca del concerto pugliese fine 1999 delle Demolition Doll Rods: nella speranza di risvegliare l'interesse intorno a questo 'unico' e mai eguagliato trio, che non fa parlare di sè dal 2006 (anno di There Is a Difference, ultima loro incisione e del loro terzo tour italiano) se non per i progetti solisti di Margaret Dool Rod vi propongo il mio live-report.
Naturalmente a fine articolo troverete come sempre links alla band ed ad alcuni loro brani (in puro brodo lo-fi): le parole vanno tradotte in suoni, eccitamento ed emozioni.
'Le Demolition Doll Rods si erano già esibite nel gennaio 1998 all'Hype Pub di Trani (Bari). Il concerto dell'8/12/99 allo Stop Over di Molfetta é stato una calda conferma di quanto visto e sentito in quell'occasione. In due anni i tre non hanno modificato né l'impatto visivo basato su una sfrontata 'naturale' esibizione dei loro corpi, né quello rockistico, che continua imperterrito a vivere di richiami intrecciati alla migliore tradizione oltraggiosa '60 e '70s americana e di Detroit in particolare (la città che li ha sputati fuori) ma anche al rock&roll primigenio dei '50s.
La voce aggressiva e sguaiata di Margaret Doll Rod riporta ai tempi del glam-rock targato CBGB's e Max's Kansas City; nei soli lancinanti, nelle corde tirate allo spasimo di Dan Kroha (ex Gories) rivivono l'urlo dilaniante di Ron Asheton ma anche i riffs immortali di Chuck Berry e Keith Richards. Ma altri aggressivi seminali ectoplasmi sonici si aggirano nella loro formula sonora rigorosamente lo-fi (due chitarre ipnotiche e selvagge/ basso assente / percussioni minimali e metronomiche): Cramps..Velvet Underground...New York Dolls.
Questo é il merito maggiore di bands come Demolition Doll Rods: mantenere in vita con costanza indefessa l'essenziale spirito punk insito nel rock americano più basico, e non é poco di questi tempi.
L'8/12 sono apparsi comunque meno caotici e più definiti di due anni fa (almeno questa é stata la mia impressione!), nel sound come nella struttura dei nuovi brani eseguiti tratti dal secondo album TLA, merito forse del maggior apporto vocale e chitarristico della procace Margaret, una sventola da sballo credetemi...ci ho fantasticato su (???) non poco nei giorni seguenti.
I momenti più bollenti dell'act sono stati senz'altro Psycho Kitty, torbido e vizioso, con un lungo incredibile wah wah-solo di Dan, e la stravoltissima Spoonful (celeberrimo blues di Willie Dixon), cover che già due anni fa avevano dato in pasto ad un pubblico esterefatto (soprattutto i maschietti sotto il palco, con l'occhio allungato sulle rotondità arrapanti di Margaret!), sovraccarica di noise e puro caos'.
Qui sotto trovate la discografia di D.D.Rods: io consiglio agli interessati di cercare anche un DVD del 2007 edito dalla Munster Records, LET YOURSELF GO (Live at El Juglar, Madrid/2006): vi troverete la lussuria da bassifondi di Queen Bee Drag Racin', ammiccamenti da travestiti di marciapiedi; il garage trashizzato di Open Up Your Door; e poi Get It On, How Does It Feel To Feel sino ad una cover ultra-anfetaminica di Heroin.
P. Wally Boff
Demolition Doll Rods Discography
1997 Tasty (In the Red Records)
1999 T.L.A. (Matador)
2004 On (Swami Recordings)
2006 There Is a Difference (Swami Recordings)
Iggy Pop's T.V.Eye
http://www.youtube.com/watch?v=6HvE9ia3Wm8&feature=related
Hey You
http://www.youtube.com/watch?v=C7Enwnn-P7s&feature=related
Get It On
http://www.youtube.com/watch?v=FPhXJSV9vBc&feature=related
Psycho Kitty
http://www.youtube.com/watch?v=G9BMaV76zQQ
Open Up Your Door - Live in Detroit
http://www.youtube.com/watch?v=zgfBJ2U8eNk&feature=related
http://www.nestorindetroit.com/Demolition%20Doll%20Rods/demolition_doll_rods1.htm
http://www.myspace.com/demolitiondollrods