PAGINE

mercoledì 8 dicembre 2010

PAUL COLLINS : King Of Power Pop! (Nerves, Beat ...)

Power Pop

A trent’anni dalla fine, dopo aver scorazzato in vespe e lambrette questi ‘migliori anni ‘(ridicoli, come narrati in tv …) possiamo affermarlo senza temere smentite: gli anni Settanta sono stati proprio un fottuto decennio! Complicato da morire, senza padroni e sempre diverso da se stesso, e non per la vertigine di cambiamenti che aveva segnato gli anni precedenti ma per le numerose ‘diversità in contemporanea’ che lo segnarono, difficili da circoscrivere e contestualizzare.
Le generazioni targate ‘66, pacificamente dissociate dal sistema, si trasformarono - senza consapevolezza - nelle generazioni anarcoidi del ‘77 quando autolesionismo, culto tossico passivo e distruzione fine a se stessa la facevano da padroni (citare '66 e '77 serve solo a stabilire due punti ipotetici e fascinosi dove incontrarci, nel caos delle scene musicali dei ‘70).
Tra tanto caos, come un fiore coloratissimo generato dal letame, sbocciava il Power Pop, sottogenere musicale (laddove sotto va letto alto) dal viso dolce, la faccia pulita del più efficace linguaggio espressivo giovanile, il Rock‘n’Roll. Canzoni da due/tre minuti, ricorso stilistico a melodie à-la-Beatles e a tutte quelle bands statunitensi che del british pop avevano imparato tutto.
In quei tumultuosi giorni, per chi amava agitarsi nei sotterranei, il rock era ormai divenuto troppo colto oppure troppo hard, in entrambi i casi rivolto a masse di giovani dalla bocca buona.
E come per ogni essere o evento umano anche il power pop (o indie-pop, chiamatelo come vi pare) perse rapidamente la sua innocenza, la sua bella faccia d’angelo.
Così la parte migliore della pop music scappò di casa e uno dei suoi più pericolosi e convincenti istigatori fu il newyorkese Paul Collins, insieme alla sua creatura, The Beat (da non confondere con l’omonima band ska inglese).


The Nerves: Jack Lee, Paul Collins, Peter Case

Collins era di New York, dunque, ma l’esperienza The Beat non nasce nella Grande Mela bensì dall’altra parte della costa, Los Angeles, e va subito detto che caratteri e connotati della band furono eredità di uno strepitoso trio che, pochi anni prima, ne aveva fissato il DNA: The Nerves. Per questo noleggiamo una Buick del ’72, cambio automatico, e facciamo giusto un salto a Frisco. Infatti, proprio in quella città così europea, San Francisco (patria del beat, la Beat Generation) maturò lo spermatozoo che avrebbe generato, un paio d’anni più tardi, i Beat.
Il giovane chitarrista Jack Lee coinvolse due ragazzi, Peter Case e, appunto, Paul Collins. Nacquero così i Nerves che da Frisco si mossero subito verso la più frenetica L.A. Tra mille difficoltà e a causa della solita cecità delle majors, nel 1976 i Nerves devono autoprodursi il loro EP, un extended play 7 pollici (un 45 giri, per intenderci) con quattro tracce. Un piccolo vinile che a quel tempo (e fino ad oggi) suonava così fresco e innovativo da chiudere una volta per tutte la dipendenza che il pop aveva sempre avuto dal suono british, mersey, Beatles & Co., etc.
Un brano tra tutti emergeva in quel 7 pollici di profumato sacro vinile, Hanging On The Telephone, scritto da Lee e che, passato quasi inosservato nella sua versione originale in seguito avrebbe ottenuto successo e vendite grazie alla bella biondina Blondie che lo piazzò in alto nelle difficili classifiche inglesi.
Ma erano tutti e tre i componenti che scrivevano nei Nerves e di Collins era
Working Too Hard, bella pop ballad, meno di due minuti, riff costante e avvolgente, un brano premonitore di aromi sixties: e non era poco se pensiamo che il 1976 era un anno ancora troppo giovane e immaturo per i futuri, splendidi recuperi sonori sixties degli anni a venire. Trascorrerà qualche anno per riconoscere ai Nerves i loro meriti, e lo farà la Bomp Records, gloriosa etichetta indipendente, label tra le protagoniste assolute del sixties revival divampato negli anni ’80.
Un paio d’anni fa i Nerves hanno trovato ancora una volta spazio tra le pubblicazioni discografiche grazie alla Alive Records che ha realizzato l’antologia "One Way Ticket", con demo, brani live e qualcosa dei Breakaways, la piccola parentesi post Nerves creata da Collins insieme a Peter Case.
Di quest’ultimo - per inciso - vanno segnalati The Plimsouls, una delle più eccitanti e colte power pop bands degli ’80. Rintracciate l’album "Everywhere At Once", pubblicato dalla Geffen Records nel 1983. Vi conquisterà!

The Beat


The Beat, Paul Collins, dunque. Dopo l’ingiusta breve vita dei Nerves e l’improvvisata Breakaways, Paul Collins fonda la band della sua vita, The Beat, che vedrà in pochi anni l’avvicendarsi di diversi componenti.
Ma tutto ruotava sempre intorno a lui. In qualche modo Paul entra in contatto con il produttore Bruce Botnick (produttore tra l’altro dei Doors e dei Love di Arthur Lee dovrebbe bastarvi!) e riesce ad ottenere un bel contratto con la Columbia. Per una sottolabel della Columbia/CBS, la Wounded Bird, esce così nei negozi l’album omonimo, "The Beat" (1979, Columbia/Wagon Wheel).
Tra i brani più memorabili dell'album (freschissimi all'ascolto ancor oggi), innervati di urgenza rock ed efficacissime melodie Rock & Roll Girl, Don't Wait Up for Me, Look But Don't Touch tanto immediate da sfiorare in taluni momenti un'estetica punk, l'avvincente You Won't Be Happy (impossibile resistere a refrain così attanaglianti!) le belle ballate Different Kind Of Girl, I Don't Fit In,
E’ il 1979, e non è un caso che sia proprio l’ultimo anno di quel decennio depravato, anni che poco avevano dato a Collins. Ma adesso il Power Pop si prendeva la sua bella rivincita su quel periodo ingrato! I dischi di new pop iniziarono ad esser numerosi e molti di notevole livello, con diverse radici e ispirazioni (mod, punk, ska, new wave, avanguardie, etc.). The Beat è un disco fragrante come non se ne sentivano molti in quel periodo. Stile compositivo fresco, melodie accattivanti e suono chitarristico a comandare e plasmare ogni cosa.
Ma è soprattutto la ‘prospettiva’ della band a mettere d’accordo tutti gli abitanti delle cantine del rock‘n’roll, i soldati del punk, i new mods e tutti quei retro-nuevi che, proprio in quei giorni, iniziavano ad esplodere tra L.A. e New York e poi ovunque sul pianeta: quella dei Beat era una prospettiva di puro easy pop ma ‘ribelle’, graffiante, diversa e distante dai meccanismi rock molli, pomposi e grassi che popolavano le classifiche dei tardi ’70. Quello che successe dopo, con album quali "The Kids Are The Same" (Columbia/1981) e l’ EP "To Beat Or Not To Beat" (Columbia/1983) ed altre pubblicazioni a nome Paul Collins’ Beat non raggiunse gli stessi livelli dell’album d’esordio, ma dentro ci trovate sempre roba sufficiente per illuminare intere file di ‘musicisti carcassa’ sopravvalutati.

Songs from "The Beat"

Don't Wait Up For Me
You Won't Be Happy
Different Kind Of Girl
Rock And Roll Girl
Look But Don't Touch
I Don't Fit In
Let Me Into Your Life, live Madrid,21/01/2010



Paul Collins

Malgrado gli inevitabili alti e bassi post Beat, il contributo dato da Paul Collins al power pop è stato fondamentale. E lo è stato anche in anni recenti, da solista in giro a suonare un po’ovunque (la Spagna é diventata la sua meta preferita: dopo un innamoramento artistico importante per il country per tutti gli anni '90 (sottolineato in quattro albums), nel nuovo millennio é tornato con alcuni dischi niente male, che ancora oggi possiedono la scintilla magica del miglior pop possibile.
Dischi come "Flying High" (2005/Get Hip Rec.: leggi recensione) e "Ribbon Of Gold" (Rock Indiana) del 2008 restano albums di valore, fino al piacevole ultimo "King Of Power Pop (2010, Alive Naturalsound Records)" ulteriore conferma, a quasi trentacinque anni dal lontano debutto coi Nerves nel ‘76, che Collins è stato e resta ancora uno dei pochi re del power pop!
Vi segnalo anche la cover che Collins nell'album esegue della splendida You Tore Me Down, tratta dall’epocale "Shake Some Action" (1976) dei Flamin’ Groovies, una delle bands artefici del più viscerale rock‘n’roll e tra le massime ispiratrici del sixties revival anni ‘80. Ma questa è un’altra storia!
I Beat suonavano delizioso pop, ma lo facevano con un’attitudine moderna e insieme molto classic. Lo stesso avevano fatto prima (direi con ancor più merito) i Nerves, ma il loro (de) merito fu di averlo fatto ‘troppo presto’.
Per questo Paul Collins, ovunque abbia partecipato, è stato importante per la pop music. Era ed è tra i migliori, e lo è stato al momento giusto.

Nico Scolaro

Paul Collins Beat
PaulCollinsMySpace


Paul Collins: King Of Power Pop! (2010, Alive Naturalsound Records/Goodfellas)

La cover di You Tore Me Down dei Flamin' Groovies 1976 é solo la prima delle belle sorprese che Paul Collins riserva a noi vecchi fans dei Beat nel suo recente "King Of Power Pop!", quasi a gettare un ponte ispirativo e connettivo col passato; dopo l'ottimo "Ribbon Of Gold" uscito nel 2008 che già recuperava alla grande la fresca verve esecutiva power-pop dei primi Beat Collins torna con un disco che ribadisce puntualmente e con grande spolvero esecutivo/ispirativo le caratteristiche di questa gloriosa filiazione del rock che continua ad ammaliarci: songs che raramente toccano e superano la soglia dei tre minuti (la perentoria This Is America), intrise di grande trasporto ritmico e melodico per una durata di poco più di mezz'ora: prodotto e registrato a Detroit con il solito piglio vigoroso da Jim Diamond (Dirtbombs,White Stripes, Go ...) che suona anche il basso, King Of Power Pop! tra le frecce al suo arco allinea anche un chitarra solista, Eric Blakely, davvero notevole ed incisiva che si produce in alcuni solo entusiasmanti.
Altro omaggio questa volta al 'black eyed soul' é un'altra splendida e vibrante cover, quella dell'indimenticabile The Letter, uno degli hits dei Box Tops del grande Alex Chilton. La vena compositiva di Collins é ancora freschissima e la sua voce, attraversata ora da rughe fascinose, é diventata addirittura più aggressiva: si ascoltino King Of Power Pop, Go Black, Losing Your Cool, Don't Blame Your Troubles On Me, Doin'It For The Ladies sino all'energica/speedy Do You Wanna Love Me, che pare un brano degli anfetaminici Eddie & The Hot Rods dei bei tempi che furono.
Si respira la stessa eccitazione e trasporto rock immortalati nei solchi dell'immortale The Beat del 1979, anzi più ruvidi, ed eccola lì la grande ballatona in puro stile PowerPop/Collins/Beat/, densa di sapide reminiscenze Beatles/Flamin' Groovies che vi inchioderà alla sedia e vi obbligherà a cantare a squarciagola insieme a Paul, Hurting's On My Side, grande brano; e C'mon Let's Go, così dolce e disarmante, una perfetta sixties song, chi poteva inventarla se non un artista ispirato come Collins?
Grande disco questo "King Of Power Pop!" Bentornato Paul!

Wally Boffoli

Doin' It For The Ladies
Don't Blame Your Troubles On Me
C'Mon Let's Go

PaulCollinsFacebook

Nessun commento:

Posta un commento