BRUCE SPRINGSTEEN non finirà mai di stupirci ! Perché ? Perché nonostante sia da tempo un artista affermato che certamente non deve dimostrare niente a nessuno, si lascia ancora consumare come un giovincello di primo pelo da una passione di autentico rocker .
Con tale fuoco sacro rimasto intatto attraverso gli anni ha affrontato a più riprese anche la materia ‘roots ‘, folk e country, americana . Già gli scarni ‘Nebraska’ e ‘The ghost of Tom Joad ‘ pur vivendo di uno stile asciutto ed ombroso erano corroborati da iniezioni vitali di rock inquieto. Nel recente ‘Devils and Dust ‘ uscito poco più di un anno fa Springsteen aveva ripreso alla grande la strada sempreverde della tradizione musicale americana : si trattava di un disco eclettico ma particolarmente vibrante proprio in alcune ballate folk/country crepuscolari che giganteggiavano sugli altri pur efficaci episodi del disco.
A questo punto i soliti criticoni e malpensanti hanno pensato che Bruce con questo nuovo WE SHALL OVERCOME – THE SEEGER SESSIONS abbia voluto cavalcare la tigre buttandosi a corpo morto, magari dietro indicazione di qualche discografico, sul revival dei padri del folk americano ; questa premeditazione sarebbe confermata dalla vendite lusinghiere che sta facendo We Shall Overcome, a differenza di quelle non proprio esaltanti di Devils and Dust .
Ragazzi, questi umori e maldicenze, che purtroppo ho avuto modo di tastare anche di persona, sono tutte balle, perché le Seeger Sessions di Springsteen sono verosimilmente il tributo più vitale, intenso e disincantato che l’artista potesse dedicare al maestro Pete Seeger, insieme a Woody Guthrie, padre putativo delle american roots e della clamorosa rinascita della traditional music in atto .
Al di là di sterili e tendenziose ragioni di mercato .
E questo si respira e percepisce sin dai primi due brani, OLD DAN TUCKER e JESSIE JAMES, scoppiettanti e festaioli . C’è di tutto in questi solchi nei quali Bruce è accompagnato da un generoso stuolo di strumenti e strumentisti ( banjo, violino, fisarmonica, fiati a iosa e cori) : folk, country, bluegrass, zydeco, blues , dixieland, il tutto affogato e shakerato in modo arruffato e ruspante in un grande pentolone, speziato alla grande da un’urgenza espressiva decisamente figlia dei giorni nostri ed addirittura punkoide Pogues-style in qualche caso (OLD DAN TUCKER, PAY ME MY MONEY DOWN) .
E’ Bruce che non reinterpreta il Seeger di MY OKLAHOMA HOME, JOHN HENRY o JACOB’S LADDER pedissequamente ma lo rivitalizza con il suo tipico piglio di rocker caciarone; si fa dolente al contrario in EYES ON THE PRIZE, la gemma più rilucente della raccolta, SHENANDOAH e OH, MARY, DON’T YOU WEEP, con i fiati strabordanti che ricordano antiche funeral-marchs di colore .
Per non parlare della delicata e tenera versione di WE SHALL OVERCOME, nella quale Bruce aggira alla grande il pericolo dell’enfasi che era dietro l’angolo .
Il tutto suona dolorosamente in sintonia con un’America che non è decisamente più orgogliosa di chi siede nella stanza dei bottoni .
Riportare alla ribalta (ed invogliare a (ri)scoprire) il passato artistico di un gigante del passato come PETE SEEGER dai ‘sani’ valori decisamente alternativi a quelli del sign. Bush può suonare più punk del punk stesso !
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