Come hanno già scritto i giornali di mezzo mondo, è il disco sull’orgoglio d’essere se stessi, sulla propria emancipazione da quello che si era e si è. La grande artista canadese k.d. lang (il nome assolutamente in minuscolo per omaggiare il poeta avanguardista e.e. cummings) ritorna alle scene per la prima volta con una band tutta sua, Siss Boom Bang e un bellissimo disco “Sing It Loud” nove ballate d’amore più la cover di Heaven dei Talking Heads, registrate in quell’ex-conservatrice Nashville ora rivoluzionata in liberal e abitata anche da rocker come Jack White e Ben Folds. Co-prodotto insieme all’amico di lunga data Joe Pisapia, “Sing It Loud” mantiene una propria serenità, una ritrovata pace interiore dopo tante scorribande umorali dell’artista nel pop anni novanta e nelle infinite prese di posizioni umanitarie e sociali che la vedono impegnata ovunque, in special modo nelle battaglie per l’orgoglio lesbico, e ora, dopo un esilio volontario dal glamour e dalle folle, fresca e completamente nuova k.d. lang mette insieme musica, parole e divertimento, non per smitizzare il suo essere doppio, ma per ristabilire quella poesia che forse col tempo si era un po’ appassita ma mai piegata alle mode insensate. E’ un ritornare al suo amore principale, quel country pop melodico sgrassato dalle macchie d’erba e ricamato da cima e fondo di melodia rotonda, da grandi spazi, con puntate soul nel tremolio d’Hammond Sugar Buzz o nell’ozioso pizzicare di banjo trasognante e cristallino Habit of Mind; quello che è forte in queste tracce è il potente retrogusto miscelato molto finemente che esala intensità appunto soul, blues con quella eleganza rilassata di chi ha raggiunto la propria identità vitale, la propria dimensione nella musica, fuori delle ombre e sotto i raggi di un sole compiaciuto. Nella mente sempre quella Patsy Cline, cantante country morta nel ’63 e sua ispirazione assoluta e nelle tasche i resoconti della sua carriera, conflitti, vittorie e cadute che vanno a sommarsi e formare un tappo nell’anima, specie in quegli anni novanta dove la celebrità chiedeva troppo, ricattava e ingurgitava ogni istante della giornata; ma ora il rinascimento a nuova vita, a sacco svuotato, e tutto riscritto daccapo in questo disco che si riprende gli spazi della tenerezza ventosa Perfect World, l’istinto naturale di aprire gli occhi sulla bellezza Inglewood, la felicità ripescata di uno sviso caldo I Confess o una corale preghiera gioiosa che sale in alto, sopra i cieli del Tennessee Sorrow Nevermore. Una voce terribilmente donna in un look maschile, una grazia umana del dissenso che si fa farfalla campestre tra una canzone e una Gibson appena accordata.
Max Sannella
3 commenti:
Bel ritorno questo di k.d. lang.
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