lunedì 14 marzo 2011

PIETRE MILIARI - SOFT MACHINE: “THIRD” (1970, Columbia)

“Third” dei Soft Machine è un album in cui la genialità di quattro musicisti trova la sua massima espressione. Dirompente e trascinante come solo ad artisti geniali può riuscire, il disco stupisce ancor oggi per la sua creatività, per i mille arabeschi affascinanti che possiamo cogliere a ogni successivo ascolto, notando ogni volta una pennellata cromatica, una sfumatura in più, create dal personalissimo tocco individuale dei quattro musicisti che l’hanno partorito. I Soft Machine, di provenienza e scuola Canterbury (Wyatt e Hopper erano nei Wilde Flowers con Kevin Ayers), nati dall'unione di tre fervidissime menti creative dell'epoca, Robert Wyatt, Mike Ratledge, Hugh Hopper, furono gli inventori di un’inedita fusione psyche-avant-garde tra i generi più svariati sin dai loro primi due album, "Volume One" (1968, Probe/One Way) e "Volume Two" (1969, Probe/One Way): loro stessi si divertirono a chiamarla musica Patafisica. Amalgamati in maniera del tutto originale jazz, rock, classica, minimalismo e dadaismo interagiscono in "Third" dando origine a sonorità alternative e trasgressive, nuove ed eccentriche soprattutto per l’epoca! Confrontandolo con i due albums precedenti, in "Third" è il jazz l'elemento predominante, che prende decisamente il sopravvento sulle tutte le altre componenti musicali. Per la realizzazione di questo disco la "macchina soffice” allarga la sua formazione e include Elton Dean al sax alto, Lyn Dobson al sax soprano, Nick Evans al trombone, Jimmy Hastings al clarinetto e flauto e Rab Spall al violino. Essenziale in particolare é in  "Third" il nuovo contributo di Elton Dean (che proveniva dalla Long John Baldry's Bluesology e dal sestetto di Keith Tippett), il cui stile inconfondibile é basato sul metodo della respirazione circolare, che gli consente quelle lunghe produzioni ininterrotte di suono che svilupperà meglio nei seguenti "Fourth" (1971, One Way) e "Fifth" (1972, CBS).  "Third" originariamente è un vinile doppio e comprende quattro suite: su ogni facciata ne è sviluppata una.

FACELIFT (Part OnePart Two) (18:45)
Questa prima suite è composta dal bassista Hugh Hopper: è il risultato di suggestioni ed influenze di vario genere. Affascinato dal free jazz e dall'avanguardia rumoristica, Hopper qui si esprime compiutamente dal punto di vista strumentale e si coglie chiaramente la sua voglia di sperimentare. Mike Ratledge straripa con le sue tastiere costruendo sonorità deraglianti. A lui si aggiungono i fiati, striduli e dilanianti, che aumentano il phatos considerevolmente. Molto lentamente con l'ingresso della batteria il ritmo aumenta ricordando a tratti il Miles Davis di "Bitches Brew". Facelift è un tema jazz sviluppato in modo davvero geniale sino al finale introdotto dal sax, che include registrazioni di tastiere sovraincise anche al contrario. Non è un brano di facile ascolto, tuttavia risulta fluido nei suoi 20 minuti di durata.

SLIGHTLY ALL THE TIME (Part OnePart Two) (18.12)
Il brano firmato Mike Ratledge apre con una intro satura di mistero, molto minimalista. Tutto il pezzo segue l'impronta iniziale con variazioni di ritmica e di melodia. Robert Wyatt alla batteria colora il tutto lavorando molto sulle sonorità, giocando sui piatti: swinga, culla, rende l'atmosfera surreale. Un breve stacco di rullante introduce poi i fiati, i sax alto e soprano inanellano una incredibile e suggestiva serie di strutture duettando con impareggiabile raffinatezza. Segue una fuga in crescendo nella quale gli strumenti sembrano rincorrersi. Meraviglioso il fraseggio dei due flauti, accompagnati dal charleston di Wyatt ossessivo e frenetico, che duettando in modo memorabile addolciscono il brano, cogliendo piacevolmente di sorpresa l'ascoltatore. Arriviamo poi, con ritmo in 9/4, a un nuovo tema per basso e sax, carezzevole, quasi improvvisato, che riporta alla calma interrompendo il caos, un intermezzo dolcissimo e avvolgente. Il brano alla fine riprende il tema principale chiudendo con un finale geniale e inaspettato. Amo molto questo pezzo, a mio parere il migliore dell'album per la struttura e la fantasia che lo contraddistingue.

MOON IN JUNE (Part OnePart Two) (19:08)
Con questo brano Robert Wyatt conferma il suo talento (delineatosi nei primi due album dada/patafisici) anche come autore. Si tratta della suite più melodica dell'album, l'unica cantata dall’incredibile ed eclettica voce di Wyatt per cui merita qualche considerazione in più . I suoi toni malinconici e languidi e quel modo così particolare di modulare la voce, affascinano incredibilmente. La composizione è una variazione melodica continua ed illimitata, ed è superbo il modo in cui Robert riesce a far 'cantare' anche la sua batteria. Le tastiere di Ratledge fanno un gran lavoro fantasioso in questo brano alternando ritmi veloci e pause, fughe distorte, melodie di una dolcezza incredibile e momenti di pura schizofrenia. Wyatt gioca con le parole costruendo un testo aleatorio e contraddittorio come la vita: "c’è il sole, possiamo abbronzarci, ma mi manca la pioggia ... tiki taki tiki ...". E quel suo inimitabile "Re-me-e-em-ber!". Un brano struggente con un finale delirante, fiancheggiato da un lamento di violino e culminante in una canzoncina canticchiata allegramente in sottofondo. Suite visionaria.

OUT - BLOODY – RAGEOUS (Part OnePart Two) (19:13)
Mike Ratledge firma anche l’ultima suite che si apre su una serie di melodie sovrapposte quasi a caso, in un intreccio di tastiere minimale. L'atmosfera è ‘siderale’. Sembra di galleggiare nello spazio profondo. La suite si sviluppa sino a giungere a una progressione sempre più' incalzante, con i fiati di Dean in evidenza . Il basso e il piano accompagnano le linee degli strumenti a fiato, con Wyatt sempre presente in estrose e fantasiose evoluzioni. Questo pezzo sembra una spirale infinita in un susseguirsi di ‘ritorni’, un vortice che tocca livelli parossistici: ma ecco che si accenna nuovamente l'intro, vi si aggiungono i fiati e l’ accompagnamento di piatti di Robert Wyatt. Il crescendo ha in seno una tensione implacabile che prelude a un’esplosione che non arriverà.
Linda Beat Daddi
Soft Machine
CALIX

Mike Ratledge: Keyboards, Organ, Piano
Robert Wyatt: Drums, Vocals
Hugh Hopper: Bass
Elton Dean: Alto Saxophone, Saxello, Saxophone
Lyn Dobson: Flute, Horn, Soprano Saxophone
Nick Evans: Trombone
Jimmy Hastings: Bass Clarinet, Flute, Wind
Rab Spall: Violin

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Ricardo Martillos says:
Grazie Linda, stupenda ed esaurientissima recensione, anche tecnicamente intendo, di uno dei Miei Dischi Preferiti in assoluto e ne ho tanti come ben sai...
Moon in June su tutte ma è difficile scegliere una suite"....

aldo ha detto...

Gran bel disco, non un album facile peró erano proprio altri tempi...tempi in cui la parte grafica si poteva apprezzare ancor piú. Per tanto che si possano migliorare le edizioni su CD, non sará mai lo stesso che aprire un album come questo che ci rivela una foto magnifica dei Soft Machine...eh sí, altri tempi!

Unknown ha detto...

Bravissima,scritta molto bene. Se non conoscessi questo disco,avresti stimolato in me la curiosita' di ascoltarlo. Le recensioni fatte bene servono proprio a questo. Complimenti :-))

Luc's ha detto...

recensione ben fatta ed esaustiva nella descrizione musicale dei pezzi e nelle impressioni personali che secondo me in una recensione sono importanti. Quando l'ho letta mi è venuta subito la voglia di riascoltarmi questo capolavoro, segno che la recensione ha colpito nel segno. Rinnovo i complimenti a Linda sperando di poter leggere ancora tante sue recensioni.

antonio ha detto...

Impatto devastante, musica di una modernità unica. Slightly all the time affascinante. Tuttu il resto ineccepibile. Rock-jazz-fusion-classic-experimental-avanguardia. in una parola? Soft Machine!