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mercoledì 28 marzo 2007

Recensioni / Esteri / THE STOOGES : The Weirdness (Virgin Records - 2007) by Pasquale Boffoli

Un nuovo album in studio dei grandi STOOGES di IGGY POP a distanza di 34 anni dall’ultimo selvaggio Raw Power (1973). La notizia, nota ormai da tempo era di quelle che creano nei fans vecchi e nuovi grandi aspettative ed anche una certa ansia in questi anni di penuria di vere icone rock.
D’altronde ci si chiedeva da più parti, dopo le discusse e controverse reunions di New York Dolls ma anche unanimemente promosse dalla critica come Radio Birdman se gli Stooges potessero produrre dopo tanti anni un disco all’altezza della loro fama.
Antefatti non erano certo mancati perché Iggy è praticamente dal 2003 che ci sta lavorando a questa reunion: nel suo ultimo disco in studio di quell’anno, Skull Ring, dove collaborava con molti esponenti della nuova scena punk incise con i fratelli Ron e Scott Asheton e Mike Watt quattro brani per nulla disprezzabili, soprattutto Skull Ring e Dead Rock Star, che ha eseguito con essi anche dal vivo nel corso di un’intensa attività concertistica per il mondo più o meno dal 2004 in poi.
Nel 2005 i riformati Stooges toccarono anche l’Italia ed il 17 Giugno fummo travolti a Melpignano (Le) da uno dei loro infuocati shows di cui vi riferiremo ampiamente tra poco! Ma l’anno prima la rivista rock Creem aveva prodotto un dvd, Live In Detroit, un micidiale show nella loro città natale che accanto ad un adrenalinico (come sempre) Iggy Pop mostrava un Ron Asheton notevolmente rimpinguito (gli anni passano per tutti!) ma padroneggiante un solismo ancora bruciante e molto cattivo ed una sezione ritmica folgorante (Scott Asheton – drums e Mike Watt-bass, ex-Minutemen).
Stessa formazione di questo nuovo THE WEIRDNESS, registrato agli Electrical Audio di Chicago nell’ottobre del 2006 da Steve Albini, un nome di primo piano nel rock (il math-rock per essere precisi) degli ultimi due decenni, musicista e chitarrista anche lui in formazioni fondamentali come Rapeman, Big Black e Shellac.
Albini, a differenza dei nitidi brani di Skull Ring ha lasciato cucinare i nuovi brani di Iggy, Ron e Scott nel loro brodo naturale : il suono di The Weirdness è sporco, dal sapore fortemente live, quasi in presa diretta; lo si nota sin dall’iniziale Trollin’, Iggy già concitato e sprezzante,saturo del chitarrismo di Ron Asheton. La ritmica di Ron e Mike minacciosamente funky e tutti sussulti è in bella evidenza nella seguente You Can’t Have Friends e già si respira dopo due brani più il climax grezzo ed anarchico di un Raw Power che la crudezza lapidaria e devastante di album epocali come Stooges e Fun House.
Naturalmente i dejà vu sono inevitabili e Trollin’ suona un po’ come novella No Fun.
Il tasso d’eccitazione rimane inalterato nelle successive ATM, My Idea Of Fun, Free & Freaky, Greedy Awful People anche se purtroppo la qualità della scrittura di questi brani mostra la corda, e sa molto di mestiere (cosa evidente anche nei loro nuovi shows), soprattutto in The End Of Christianity, e si rimane nel dubbio atroce se versi come ‘ My Idea Of Fun is killing everyone…’ o ‘Free & Freaky in the U.S.A….’ corrispondano ad una Weirdness ancora autentica di Iggy o siano degli autocompiaciuti slogans. Credo la verità stia nel mezzo soprattutto se si pensa che il nostro amatissimo rocker il 21Aprile compie 60 anni….e continua a spargere caos sui palchi di mezzo mondo come fosse liquido seminale !
Paradossalmente tra gli episodi più riusciti come songwriting poniamo quelli meno concitati e più riflessivi come l’omonima autobiografica The Weirdness, lenta e seducente come un blues, e Passing Cloud, morbosa e notturna song dalla struttura stratificata, con il sax del vecchio compagno Steve Mackay dai connotati alquanto glam : due brani in cui Iggy ha opportunità di sfoggiare profondi e caldi moduli vocali maturati durante una carriera solistica ormai lunghissima.
Appare molto più convincente Iggy in tali frangenti, piuttosto sfocate e scontate invece le sue performances in ATM, The End Of Christianity, Greedy Awful People.
Più aggressivo e viscerale, viscido come Dio comanda Iggy in My Idea Of Fun, She Took My Money, Mexican Guy e I’m Fried, proprio quei brani in cui Ron Asheton , impeccabile nel corso dell’intero album, si supera wah-wah sugli scudi in una serie di interventi devastanti ; la sua chitarra ed il suo marchio inconfondibili sono ormai nel 2007 un timeless totem della storia rock!
I’m Fried conclude decisamente alla grande ripristinando nel finale quel caos originario Stooges che tanto avevamo rimpianto, magma sonoro con il sax urlante di Mackay attorcigliato al solo assassino di Ron Asheton.
Bentornati !


www.myspace.com/iggyandthestooges

http://www.virginrecords.com/


PASQUALE BOFFOLI

lunedì 26 marzo 2007

Recensioni / Esteri / GRINDERMAN (Mute Rec.-- 2007) by Pasquale Boffoli


Nick Cave aveva inaugurato il sodalizio ristretto a quattro Bad Seeds dal 2005, girando per concerti con l’ambigua sigla 'solo performance’; con questa formula l’avevamo ammirato a Modena, al Parco Novisad in quell’anno, con Warren Ellis che giganteggiava a mò di acido Paganini fuori di testa del nuovo millennio e con una sezione ritmica solida come la roccia ed estremamente pulsante, Martyn Casey al basso e Jim Sclavunos alla batteria.
Così rivisitavano con pathos essenziale e crudo classici vecchi e nuovi dei Bad Seeds; una bella sorpresa certo, ma nulla lasciava presagire che la rinnovata fame di verginità ed asciuttezza sonora dell’australiano l’avrebbe portato a concepire insieme ai suddetti musicisti nel 2006, nei Rak e Metropolis studios in Londra un lavoro così eclettico e brutalmente sonico come questo GRINDERMAN; tutt’altra cosa dai sontuosi ed affollati ensemble e dagli arrangiamenti gospel del doppio Abattoir Blues/The Lyre of Orpheus (2004).
Un primate goffo ed impaurito è il simbolo del nuovo progetto, mentre il nome è stato tratto da un verso di un blues di Memphis Slim, segnali inequivocabili della necessità iniziale di primitivismo espressivo emersa dall’affiatamento e dal costante gomito a gomito esistenziale ed artistico dei quattro in questi ultimi due anni.
Questa prerogativa è palpabile ed attuata sin dall’iniziale tribale Get It On, introdotta da un talkin’ ipocondriaco e blasfemo di Cave che subito non dà adito a compromessi ed equivoci.
E’ di sesso che i quattro stanno blaterando? Questa è la netta sensazione: quel che è certo è la furiosa chitarra cui Nick mette subito mano, sorretto da una ritmica incredibilmente ansiogena! Questa è la prima novità di Grinderman, prodotto dal combo ancora una volta con Nick Launay (dopo Abattoir Blues): Nick Cave sorprendente e feroce chitarrista, come confermato dalla seguente tesissima No Pussy Blues, un punk-blues esasperato culminante in una fiammata ossidrica altamente ustionante più che un guitar-solo, il simulacro di Ron Asheton evocato e disossato di qualsiasi fattezza armonica. Ed è ancora sesso disperato a motivare quello che è l'episodio più selvaggio e stordente del disco; dopo due brani sono già chiare due cose: l’estrema lucidità della loro debordante aggressività nulla ha a che fare con l’informale caotico primitivismo dei Birthday Party, come più di qualcuno ha scritto, quanto è filtrata dall’enorme sensibilità artistica maturata da Cave &Bad Seeds negli ultimi 25 anni.
E poi non è il ‘solito’ grande ed ispirato Cave il vero protagonista di Grinderman, pur autore di tutte le liriche del disco ed artefice di performances vocali sporche e cattive di cui avevamo perso memoria: qui fa gioco di squadra ed a colpire al cuore sono i ‘suoni’ ! I suoni straniti delle chitarre e delle tastiere vintage di Cave ed Ellis (fendocaster, hohner guitaret, electric bouzouki) incatenate le une alle altre, in nettissimo primo piano e spesso filtrate, che danno vita ad un’abbacinante, cruda e moderna psichedelia, addirittura sperimentale come nella meditabonda ed ipnotica Electric Alice, dove il seducente impasto cromatico plasma un’inedito psycho-jazzismo.
I quattro rispondono solo ai canoni mutanti della loro creatività, ed ecco che si procede a sussulti : Grinderman fa il paio con il rifiuto seriale di stereotipi di Electric Alice ed è l’episodio più inquietante; un dark-blues catacombale dalle nette ascendenze velvetiane, inchiodato alla viola elettrica minimale di Warren Ellis. Lo spettro di John Cale si aggira per nulla furtivamente, siamo al cospetto di una Venus in furs del nuovo millennio mille volte più insidiosa, Cave predicatore diabolico a raccontarci di miserie ‘umane’, troppo umane.
Un’opera a sussulti dicevamo: si torna a scossoni palpitanti con Depth Charge Ethel, dal refrain contagioso e coretti power-pop e poi ancora riluttanti rapporti con l’altro sesso, attraverso la minimale Go Tell The Women (Cave sardonico crooner) e la classica (I Don’t Need You To) Set Me Free, sulla stessa linea ispirativa di Abattoir blues, chitarre sinuosamente psichedeliche, quasi uno scampolo di Byrds/Beatles ’66-’67. Torna il Cave più lirico nell’esigua Man In The Moon, mentre la frenetica Honey Bee (Let’s Fly To Mars) ristabilisce il mood impetuoso che aveva marchiato i primi due brani.
La martellante Love Bomb, con un riff di chitarra psycho-killer conclude perfidamente, dopo la sofferta e malsana When My Love Comes Down introdotta e striata da sonorità aliene, quella che si spera sia solo l’opera prima di Grinderman, motivati da seriale e cruda esigenza di sperimentazione e da carismatica ricerca interiore.
Per ora Nick Cave tornerà ai suoi Bad Seeds al completo, l’ha detto lui !

http://www.grinderman.com/
www.myspace.com/grinderman

PASQUALE BOFFOLI