Il boom inglese del blues, Londra ed i blues-clubs degli early sixtiesUna delle storie più gloriose e durature del
British Blues é di certo quella della SAVOY BROWN BLUES BAND, che partendo dalla seconda metà degli anni '60 giunge sino ai giorni nostri. L'ultimo album pubblicato dalla longevissima band capitanata a tutt'oggi dal suo fondatore, il grande chitarrista Kim Simmonds, é del 2009,
"Too Much Of A Good Thing" (Panache Rec.): stiamo parlando dell'unico combo sopravvissuto delle grandi british blues-rock bands degli anni '60 (come giustamente scrive Alex Henderson in AllMusic.com) insieme agli Yardbirds (scioltisi nel 1968 e di nuovo attivi nel 2003 con l'ottimo album
"Birdland") ed ai Ten Years After. Un marchio
di fabbrica quello di Simmonds e c. che nel corso degli anni si é allontanato a volte fatalmente dal primigenio sound morbosamente intriso di blues per intessere elaborazioni prettamente rock
hard-heavy, assolutamente non disprezzabili. In questo articolo mi interessa approfondire - anche e soprattutto per le nuove e nuovissime ignare generazioni - il periodo del gruppo che ritengo più denso musicalmente e ricco di dischi esaltanti, quello che va dal 1966 al 1970 compreso: corrispondente a quello di maggior splendore del british blues e degli altri suoi rappresentanti più significativi, Chicken Shack, Ainsley Dunbar Retaliation, Fletwood Mac, Keef Hartley Band, Colosseum, Groundhogs, Ten Years After. Figura centrale e fondatore della Savoy Brown Blues Band, formatasi nel 1965 a
Battersea, South West London é il biondo chitarrista Kim Simmonds, che la guiderà sin dall'inizio del 1966. Lo scenario é una Londra nella quale la febbre blues ha infettato già da tempo musicisti come Alexis Korner, John Mayall, Cyril Davies, Long John Baldry; Graham Bond, Zoot Money spostandoci su un versante più jazz-r&b. Soprattutto Mayall e Korner operavano già da alcuni anni dando origine a formazioni quali i Bluesbreakers e Blues Incorporated, vere e proprio palestre di stile, centri di svezzamento musicale per
innumerevoli artisti, di lì a pochissimo fautori delle proposte beat-blues-r&b inglesi più carismatiche. Veri e propri templi della febbre blues d'importazione americana furono locali quali il Marquee, Crawdaddy, Ealing Club, London Blues & Barrelhouse Club; per la scena r&b ed il jazz invece il Klooks Kleek ed il Flamingo. Son questi i posti in cui i capiscuola summenzionati più i giovanissimi Mick Jagger, Brian Jones, Paul Jones, Ginger Baker, Jack Bruce, Dick Heckstall Smith danno fuoco alle miccie attraverso serate infuocate e jam sessions storiche all'insegna del blues dei padri d'oltreoceano, che non mancheranno farvi visita spesso nella prima metà dei '60: stiamo parlando di grandi
vecchi di colore come Muddy Waters, Sonny Boy Williamson, Big Bill Broonzy, Howlin' Wolf (Chester Burnett), che continueranno a diffondere il verbo blues, spina dorsale e dna delle mirabolanti vicende rock-r&b britanniche dei '60 e '70. Musicisti di colore ed imberbi allievi inglesi spesso quindi suoneranno insieme, sugellando un legame di sangue che durerà negli anni. I primissimi Animals e Yardbirds ad esempio incideranno dal vivo delle tracce storiche con Sonny Boy Williamson, giunte per fortuna sino a noi. Anche i membri della primissima Savoy Brown Blues Band dal 1965 in poi si faranno conoscere in giro e frequenteranno questo giro di clubs: quando riuscirà ad incidere i primi brani la band godrà già di una notevole popolarità. Le prime tracce le troviamo nell'
"History Of British Blues" (1973, sire) e nei preziosi due volumi
"Blues Anytime", pubblicati dall'Immediate Records nel 1966, indispensabili per chiunque voglia prendere atto dei vagiti del British Blues. Essi
comprendono brani di John Mayall, Eric Clapton e Jimmy Page, Dharma Blues Band, Jo Ann Kelly, Jeremy Spencer (futuro Fletwood Mac), T.S. McPhee (più tardi formerà i Groundhogs) e tanti altri
artisti. Si tratta di brani prodotti da Mike Vernon, personaggio fondamentale per la scena british-blues di quegli anni: collezionista, appassionato di blues, r&blues, critico, produttore, fonderà prima la Purdah Records e poi la Blue Horizon, etichette fondamentali per l'evoluzione del genere che stiamo trattando; sono le fonti dei brani compresi nei due vinili di Blues Anytime, che offrono un quadro esaltante della varietà ed intensità delle proposte di quel periodo fecondo e felice. Le tracce incise dalla primissima S.B.B.B. sono quattro:
I Tried, nello stile di Elmore
James, che era stato anni prima un successo di Larry Davis,
Cold Blooded Woman, tratto da un vecchio album di Memphis Slim, la classica
I Can't Quit You Baby, e lo splendido strumentale
True Blue, già eloquente esempio di quanto sarà morboso il blues-mood dei Savoy Brown negli album a venire.
Oltre Kim Simmonds alla chitarra solista, la formazione in questione comprende Brice Portius alla voce, John O'Leary all'armonica, Ray Chappell al basso, Leo Mannings alla batteria ed il fantastico Bob Hall al piano, tutti tra l'altro abituali frequentatori e partecipanti ai concerti londinesi di John Mayall.
Shake Down (1967, Decca)Questa formazione incide nel 1967 per la Decca, che li aveva messi sotto contratto, il primo album,
"Shake Down". Manca John O'Leary all'armonica e c'é Martin Stone (ex titolare degli Stones's Masonry) all'altra chitarra. Shake Down é la tipica opera prima piena di covers, nella quale sono setacciati alcuni brani classici della tradizione blues:
I aint' superstitious, Rock Me Baby, Oh! Pretty Woman, It's My Own Fault, Let Me Love You Baby.
Già qui si delinea una certa tendenza 'hard' a trattare il materiale primigenio, che esplode in
Shake'Em Down, vero tour de force strumentale che vede tutti i musicisti impegnati allo spasimo. Il brano più atipico dell'album é quello composto da Martin Stone,
The Door Mouse Rides The Rails, nel quale mette a fuoco certe originali idee strumentali già
dispiegate nelle rare tracce incise dagli Stones's Masonry (ancora in Blues Anytime). Brice Portius é un buon cantante blues, ma non eccessivamente originale, Kim Simmonds invece parla già un linguaggio tagliente ed insinuante. A differenza di altri chitarristi dell'epoca, come Alvin Lee, Eric Clapton, Peter Green, Mick Taylor, non sarà mai innalzato dalla critica negli anni seguenti agli onori ed alla fama che meritava, un pò la stesso destino toccato a Stan Webb dei Chicken Shack, un altro splendido artista/lead guitar dal tocco carismatico ed inconfondibile.
Getting To The Point (1968, Decca)Preceduto dalla pubblicazione del single
Taste and try before yoy buy/Someday People "Getting to The Point" vede impegnato alla produzione ancora Mike Vernon, come in Shake Down, e segna un notevole
avvicendamento in seno alla formazione: Dave Peverett alla chitarra ritmica, Rivers Jobe al basso, Roger Earle alla batteria, e, dulcis in fundo, Chris Youlden (autore di Taste and try before you buy) diventa il nuovo cantante. Ed é lui la vera sorpresa del nuovo assetto. Come scrive Neil Slaven (altro addetto ai lavori importante) nelle note di copertina:
" La sua splendida voce lascerà di stucco chi non l'ha mai sentita prima; possiede un'autorità che non pensi di trovare ...tra i pescatori inglesi". La voce di Chris Youlden colpisce profondamente, con quel timbro impastato, emozionale, tutto giocato su tonalità basse e cavernose, da due
pacchetti di sigarette al giorno, o da affetto di faringite. Per Savoy Brown passa proprio da Chris Youlden - oltre che dallo stile già maturo ed introspettivo del chitarrismo di Simmonds - il processo di personalizzazione nell'approccio alla cruda e nuda materia blues, che caratterizzerà tutte le migliori bands del british blues, fondamentale spartiacque tra chi suonava solo blues e chi iniziava a caricarlo di nuovi significati e prospettive (come i grandissimi Cream parecchie spanne al di sopra di tutte le altre bands), forgiando così il nuovo 'white british blues'.
Getting to the point contiene cinque pezzi originali, tra cui la drammatica
Mr.Downchild; continua Slaven:
" Alzi la mano chi ha pensato che fosse un brano di Sonny Boy Williamson (in effetti il grande bluesman di colore aveva composto ed eseguiva un pezzo omonimo). E' invece il miglior esempio di come la band ha incamerato il principio della dinamicità. Il brano inizia con un cantato quasi narrativo di Chris. Gradualmente la tensione cresce, culminando con un solo esplosivo di Kim Simmonds. Per ottenere ciò il suo amplificatore fu piazzato in un angolo dello studio, mentre il microfono in un altro angolo...".
Certo oggi questi semplici espedienti tecnici fanno sorridere, ma il tasso di drammaticità del brano é effettivamente altissimo, come del resto in
Give Me A Penny, un originale ed intrigante trattamento di un tema tradizionale, sottolineato da un riff duro e tagliente di
Simmonds, e
Flood In Houston, tributo a Don Roberts e la Erestus Street Gang, in cui Youlden racconta con accenti commoventi ed affranti i tragici accadimenti di un memorabile allagamento in cui fu coinvolta la città di Houston. Kim Simmonds ha modo di mettersi in evidenza in
Honey Bee (Muddy Waters), nello strumentale
Getting To The Point, esempi fulminanti di scolasticità e pulizia esecutive estreme. Bob Hall, valente pianista, compone la triste
Big City Lights e l'album si chiude con un ennesimo tour de force strumentale,
You Need Love, brano preferito da molti gruppi dell'epoca, che ricorda da vicino la Shake'em down del disco precedente.
Blue Matter (1969, Parrot/Deram)
Ed arriviamo a
"Blue Matter" , una delle prove più memorabili del gruppo in assoluto. Lo stile é maturato ulteriormente, il lavoro di studio si fa più
complicato ma dà risultati preziosi, come ci informa nelle note di copertina il produttore Mike Vernon. il blues profondamente introspettivo del gruppo produce atmosfere quasi dark, diremmo col senno di poi: ascoltate nella side di studio (l'altra é live)
Train To Nowhere, con un uso dei fiati massiccio, dall'incedere plumbeo ed opprimente; il tremendo assalto frontale hard della cover di John Lee
Hooker
Don't Turn Me From Your Door, chitarra- distorsore sparato al massimo, rivela quanto l'impatto della band sia divenuto devastante. La tradizione e le 'roots' di Hooker, prese per i capelli e munite di aculei spinosissimi, sono mandate per il mondo a far immani danni.
Tolling Bells, blues dalle cadenze rallentate, possiede una
tangibile tensione interna che esplode a sprazzi in impressionanti scariche emotive: l'espressività del gruppo, distillata sapientemente, raggiunge una delle punte più alte del disco. Di contro
Vicksburg Blues, giocato tutto su piano e voce, fa bella mostra di purezza blues gelosamente serbata. Grande esempio di versatilità
She got ring in his nose and ring on her hand, swingato ed intrigante, racconto di uno stranissimo fatto accaduto, nel quale Chris Youlden (come in tutti gli altri brani) dimostra di essere il lead-singer più toccante della scena blues anglosassone, anche se le sue tonalità sono decisamente basse, ma questo non é un problema. Altrettanto imperdibile é la facciata dal vivo, registrata a Leicester il 6 dicembre 1968. Vernon ci informa che a causa di una brutta influenza Youlden diede forfait, per cui provvide a sostituirlo la seconda chitarra 'Lonesome' Dave Peverett, che possedeva una voce più acuta ma decisamente meno profonda di Chris.
May Be Wrong ed
It Hurts Me Too sono dei blues ortodossi che permettono a Kim Simmonds di dimostrare di non essere meno di un Clapton: le frasi che articola sono tese ed
affilate, cristalline e convulse, il suo solismo taglia l'anima a fettine, in virtù di un suspence-style personalissimo. Il capolavoro di questa live side é comunque la rielaborazione di
Louisiana blues di Muddy Waters, che presenta un corpo centrale basato su un'improvvisazione di densa ispirazione psichedelica: le evoluzioni strumentali della band attanagliano ed avvincono in virtù di furiose progressioni ed ipnotici rallentamenti. Il tutto é molto, molto ispirato, e soprattutto inedito! Aggiungeteci il paziente prezioso lavoro pianistico di bob Hall, equilibrato e discreto, ed una sezione ritmica funzionale: ottenete una pagina di blues come sarà difficile ascoltarne negli anni successivi. Una menzione va fatta alla copertina 'gotica' stupenda, con tanto di creature infernali, opera del grafico David Anstey.
A Step Further (1969, Parrot/Deram)'Il passo avanti' é rappresentato da un'accresciuta freschezza, ricchezza strumentale e ritmica negli arrangiamenti e dei brani, di cui un grosso merito va a Terry Noonan. L'uso dei fiati nel nuovo disco
"A Step Further" é massiccio e determinante nello strumentale
Waiting In The Bamboo Groove, dove fanno da corollario ad una performance davvero da shock di Simmonds, nello stile di albert Collins, e nella percussionistica e latineggiante
I'm tired/Where Am I, uscita anche a 45 giri.
Life's One Act Play é un blues in crescendo dallo sviluppo graduale tipicamente Savoy Brown, nobilitato dall'uso saggio di viole, violini e celli: sottolineano con fraseggi trascinanti un'altra interpretazione da brivido, commovente, profondamente emozionale di Chris Youlden.
Made Up My mind é un boogie coinvolgente che entra subito in testa, con un ottimo, martellante lavoro pianistico del decano Bob Hall. Anche qui l'altra side é dal vivo, dedicata ai fans di Detroit, Michigan: la band infatti é divenuta molto popolare in America, grazie a più di una tourné. Questa performance, registrata il 12 Maggio 1969 al Cooks Ferry Inn di Edmonton, basata sul tema
Savoy Brown Boogie, é completamente diversa
musicalmente dalla live-side di Blue Matter: tutta giocata su sospensioni ritmiche boogie mette in mostra un gruppo affiatatissimo che prima di tutto si diverte, attraverso citazioni storiche, Whole Lotta Shakin' Goin' On, Little Queenie, Purple Haze, cacciandosi addirittura nell'esotica Hernando's Hideway, il tutto innaffiato da una carica sarcastica straripante! L'energia e l'entusiasmo é a mille: indubbiamente il momento più felice della loro carriera, una jam che occupa un'intera facciata e che ti schioda dalla poltrona.
Raw Sienna (1970, Parrot/Deram)Nell'album seguente,
"Raw Sienna" la band continua a muso duro gli esperimenti con i fiati in I'm Crying, Master Hare, Needle And Spoon, That Same Feelin', A Little more Wine mentre in When I Was a Young Boy appare nuovamente un sezione di strings: il tutto profuso in ottimi arrangiamenti che non vanno ad inficiare la vena hard-blues Savoy Brown, ormai un'inconfondibile marchio di fabbrica. Chris Youlden e Kim Simmonds si dividono quasi equamente il songwriting, un sei a tre a favore del fecondissimo Youlden che riesce a declinare il blues in composizioni dallo straordinario mood malinconico e crepuscolare; si inizia dalla latineggiante ed intrigante
A Hard Way To Go per essere poi avvolti dalle spire 'blue'e nostalgiche di
I'm Crying, Stay While the Night Is Young, When I Was a Young Boy sino
all'etilica
A Little More Wine. Kim Simmonds, oltre a confermare un impareggiabile chitarrismo hard-blues in
That Same Feelin' e I'm Crying, dà saggio di grande versatilità suonando bottleneck guitar in
A Little More Wine, ma é soprattutto nei quasi otto minuti strumentali della sua
Is That So che dimostra di avere tante frecce al suo arco, passando dalla chitarra acustica all'elettrica ed addentrandosi in evoluzioni solistiche prettamente jazzistiche, un mood che ritroviamo puntualmente anche in altri episodi dell'album. Simmonds firma anche l'altro strumentale
Master Hare.
Looking In (1970, Parrot/Dorset/Deram)Uno dei motivi per cui questo disco é ricordato nelle cronache é l'eccezionale artwork di Jim Blaikie: scrive il nostro Maurizio Pupi Bracali nel catalogo cartaceo della mostra 'Disco/grafica, la copertina di un disco come forma d'arte' (Ceriale, Savona, Giugno-Luglio 2003):
"Jim Blaikie, illustratore e pittore inglese autore di numerose copertine per svariati gruppi musicali. Questa copertina esemplare nella sua sinergia tra artwork ed illustrazione é considerata tra quelle con il più forte impatto visivo di tutti gli anni settanta nonché uno dei vertici della sua carriera di cover artist". Naturalmente non si tratta dell'unico motivo d'attrazione esercitata da
"Looking In", sesto album della
Savoy Brown Blues Band: anche in questo caso ci troviamo di fronte ad un lavoro estremamente sfaccettato nel quale sono esplorate le diverse ipotesi stilistiche attraverso le quali il british blues poteva evolversi, un pò la stessa cosa che succedeva negli stessi anni negli albums del padrino del B.B. John Mayall e dei suoi Bluesbreakers. Chris Youlden aveva poco prima lasciato la band, ai lead-vocals appare il chitarrista ritmico Dave Peverett, già presente nella live-side di Blue Matter, dallo stile (come già
suddetto) estremamente differente. Peverett ben coadiuva(insieme al bassista Tony Stevens) Simmonds in sede compositiva: l'iniziale
Poor Girl, e le sue
Looking In e
Leavin' Again (otto minuti e passa), marchiati dai secchi riffs di Simmonds, potrebbero far pensare ad una decisa sterzata hard della band - in linea con l'inizio di un decennio che vedrà il trionfo di questo genere - ipotesi in parte confutata dalle soffici e malinconiche
Money Can't Save Your Soul e
Take It Easy, che riportano l'attenzione dell'ascoltatore sul coté più ortodossamente blues della band. Soffusi e godibilissimi jazzismi sono prodotti infine dalla penna e dalla chitarra di Kim Simmonds nello strumentale
Sunday Night.
Dave Peverett, Roger Earle e Tony Stevens lasciano, per andare a formare la band hard-blues dei Foghat: si tratta di un ennesimo giro di boa nella formazione dei Savoy Brown, il loro posto viene preso dal pianista Paul Raymond, il bassista Andy Silvester ed il batterista Dave Bidwell, tutti provenienti da un'altra grande british-blues band, i Chicken Shack di Stan Webb e Christine Perfect. Con questa formazione saranno incisi due dischi:
"Street Corner Talking" (1971) e
"Hellbound Train" (1972)
(con Dave Walker lead-vocal). Siamo di fronte a due lavori che pur non eguagliando i vertici espressivi blues dei primi sei albums contengono parecchi episodi apprezzabili; dagli originali
All I Can Do, Tell Mama, Street Corner Talking, Hellbound Train, Troubled By These Days And Times, Lost And Lonely Child, alle covers
Wang Dang Doodle (Willie Dixon) e
I Can't Get Next to You (Strong, Whitfield)
. Di avvicendamenti ce ne saranno molti altri negli anni a venire nelle file di Savoy Brown, Kim Simmonds rimarrà a tutt'oggi l'unico membro originale nella line-up, nonché il fondatore: sarà sempre la vera anima della band, il polo intorno al quale tutto girerà nei decenni a venire (una nutritissima discografia), capace di impennate stupefacenti sempre in nome dell'amatissimo blues/boogie, artefice di albums a volte ancora buoni se non ottimi (
Lion's Share -1972,
Boogie Brothers - 1974,
Live At The Record Plant - 1998,
Strange Dreams - 2003,
Blues, Balls and Boogie - 2006); in altri casi appena sufficienti, come
Jack The Toad (1973),
Skin 'N' Bone (1976),
Kings Of Boogie (1989). La storia continua: 'una sporca faccenda blues'!
Wally BoffoliFIVE LONG YEARS - Featuring Chris Youlden of Savoy BrownKim Simmonds & Savoy Brown Savoy BrownSavoy Brown Blues Band Discography:
Shakedown (Decca 1967)
Getting To The Point (Decca 1968)
Blue Matter (Parrot 1969)
A Step Further (Parrot 1969)
Raw Sienna (Parrot 1970)
Lookin'In (Parrot 1970)
Street Corner Talking (Parrot 1971)
Hellbound Train (Parrot 1972)
Lions Share (Parrot 1972)
Jack The Toad (Parrot 1973)
Boogie Brothers (London 1974)
Wire Fire (London 1975)
Skin 'n' Bone (London 1977)
Savage Return (London 1978)
Rock and Roll Warriors (Accord 1981)
Greatest Hits in Concert (Accord 1981)
Just Live (Line 1981)
Live In Central Park (Relix 1985)
Slow Train (Relix 19869
Make Me Sweat (Crescendo 1987)
Kings Of Boogie (Crescendo 1989)
Live 'n' Kicking (Crescendo 1990)
Let It Ride (Roadhouse 1992)
Bring It On Home (Viceroy 1995)
Solitaire (Blue Wave 1997)
Blues Keep Me Holding on (Blue Storm 1998)
Blues Like Midnight (Blue Wave 2001)
Strange Dream (Blind Pig 2003)
Struck By Lightening (Panache 2004)
You Should Have Been There (Panache 2004)
Steel (Panache 2007)
Too Much Of A Good Thing (Panache 2009)