A Roma stasera fa molto freddo, qualche grado sotto lo zero e mai sarei uscito dal calduccio di casa. Ma per i Buzzcocks sì.
Li avevo visti l’ultima volta nel Marzo 2009 sempre qui al Blackout e mi ero divertito molto, quindi, vestiti come Toto' e Peppino' quando andarono a Milano, ci avviamo verso il Blackout.
Al Blackout per fortuna sono molto puntuali quindi si parte con il primo gruppo, i Nasty Cats. Ormai sono anni che seguo questo gruppo di teppistelli e riescono sempre a coinvolgermi.
Il loro punk poppers di stile americano ben si adatta ad una seratina con i Buzzcocks. Non si adattano per niente invece la band che viene dopo, gli Heatwaves, gruppozzo indie via Strokes. Loro molto bravi e alcune persone in sala sembrano gradire il loro set ma per i Buzzcocks ci avrei visto altro. Infine ecco i nostri beniamini.
Partono con la quaterna killer Boredom, Fast Cars, I Don't Mind, Autonomy, e il Blackout esplode.
Sono passati tanti anni ormai da quando i Buzzcocks cominciarono a calcare le scene in quel di Manchester ma le loro canzoni non hanno perso la freschezza di un tempo.
Il caro Pete (Shelley) negli ultimi anni un po' ingrassatello indossa la stessa maglietta dell'anno prima, e un commento si fa largo tra la folla " …aho! ma sempre la stessa maglietta? ma non te cambi?".
Il chitarrista Steve Diggle salta e si diverte come se fosse la prima volta, saluta e stringe le mani a tutti.
Intanto io che, nel frattempo dovrei fare le foto mi ritrovo con gli occhi chiusi a cantare a squarciagola, come alla fine degli anni 70 quando sul mio stereo mettevo un loro disco e agitando le mani fingevo di suonare un'immaginaria chitarra.
Loro intanto continuano imperterriti a sparare tutte le loro munizioni.
Noise Annoys, Breakdown, Love You More, What Do I Get. Il pubblico si scalda troppo , c'è un accenno di rissa che pero' finisce subito. Poi loro come al solito fanno finta di andare via per poi ritornare 5 secondi dopo per il gran finale.
Harmony In My Head, Oh Shit, Ever Fallen In Love, Orgasm Addict e qui si concude il concerto con i saluti di tutti e del solito Diggle che, sorridendo, dà il cinque a tutti.
Marco Colasanti
Foto e video di Marco Colasanti
Nasty cats
misanthropy-a hate song-14
15-19-nuthouse
melancholia-astro girl-hopeless fool
Buzzcocks tutto il set tranne l’encore
parte 1
parte 2
parte 3
parte 4
parte 5
parte 6
PAGINE
▼
sabato 15 gennaio 2011
"HENDRIXIANA": Storia della ripubblicazione delle opere di Jimi Hendrix
A giudicare dalla mole impressionante delle registrazioni che ci ha lasciato si direbbe che Jimi Hendrix nella sua pur breve vita non abbia fatto altro che suonare. Suonare in continuazione. Ecco perché dopo la sua prematura morte sono emersi, ed emergono tuttora a distanza di decenni, nastri contenenti spesso autentiche perle che, data la caratura del personaggio, lasciano invariabilmente senza fiato. Vogliamo qui riepilogare l’intera vicenda dagli inizi. Dopo la morte del Nostro si comincia a mettere le mani sull’ingente materiale da lui inciso e rimasto inedito. In quest’attività si distingue, per lo più negativamente, il produttore Alan Douglas.
Di lui ricordiamo bene un’intervista, dove affermava che non gl’interessava chi fosse sul palco: fosse stato anche Jimi Hendrix se c’era una parte che non andava l’avrebbe tagliata, e a tale rigoroso criterio - ineccepibile se riferito ad un qualunque artista, ma troppo rigido se applicato ad un genio musicale come Jimi, uno che anche quando 'sbaglia' illumina il mondo - egli si è attenuto non solo nella pubblicazione dei live, ma anche nel rivisitare le registrazioni di studio, arrivando addirittura a sostituire intere parti originali di basso e batteria, a suo giudizio non ottimali, con altre fornite da session man, confezionando così dischi discutibili come "Crash Landing (marzo 1975)" e "Midnight Lightning (novembre 1975)", tant’è che gli stessi sono stati successivamente ritirati dal mercato.
Bisogna ammettere tuttavia che Douglas è anche riuscito a dare alle stampe un paio di dischi postumi del Nostro niente affatto male, ovvero il doppio dal vivo “Concerts (1982)" (I don't live today) - per inciso il primo LP di Jimi preso da chi scrive – in seguito ristampato in cd con l’aggiunta di un’inedita versione live di Foxy Lady registrata a San Diego, e “Blues (1994)", su cui avremo modo di tornare.
Ma l’aspetto più importante da sottolineare è che Douglas, come anche gli altri che si sono occupati della ristampa in formato cd del catalogo hendrixiano, ha utilizzato nastri non di prima generazione (ovvero quelli in cui i suoni sono stati incisi), ma di seconda o terza generazione (ovvero copie e addirittura copie di copie dei nastri originali!), con una resa sonora quindi inferiore. E questo è quello che gli ignari appassionati, acquistando questi dischi così come le ristampe in cd degli stessi, hanno ascoltato per anni.
Per fortuna le cose cambiano quando nel 1995 l’opera omnia registrata da Hendrix passa dopo lunghe battaglie legali nelle mani dei suoi eredi, il padre James 'Al' Hendrix e la sorella Janie.
Finalmente, grazie ad un paziente e certosino lavoro di ricerca, per la masterizzazione e la stampa dei cd si utilizzano per la prima volta nastri di prima generazione e il risultato si sente! All’epoca della pubblicazione comprai, appena licenziato dalla Experience Hendrix L.L.C. (la società fondata dagli eredi di Hendrix per ripubblicare il suo catalogo), "Are You Experienced" e confrontai (abbastanza scettico a dire il vero) la mia 'vecchia' copia in cd con quella pubblicata dalla Experience. Il risultato del raffronto, fin dall’iniziale Foxy Lady, fu sbalorditivo: nella vecchia copia il suono risultava più scuro, ovvero c’erano più frequenze basse a scapito delle frequenze medie (quelle che danno 'calore' al suono) andate perse nella duplicazione del nastro, laddove la brillantezza della nuova versione, data dal fatto che tutte le frequenze erano conservate, era a dir poco entusiasmante.
Andiamo quindi con ordine nel ripercorrere la pubblicazione del materiale hendrixiano da parte della Experience Hendrix.
L’operazione comincia nell’ormai lontano 1997. Vengono pubblicati in questa scintillante edizione gli album usciti ancora vivo Hendrix, ovvero "Are You Experienced (1967), Axis: Bold As Love (1967)"(Up from the skies), il capolavoro "Electric Ladyland (1968)" (Crosstown traffic) e il live "Band Of Gypsys (1970)". In una discoteca rock (e non solo) non possono certo mancare.
Sound spettacolare, booklet coloratissimi in sintonia con l’anima psichedelica del Nostro, foto magnifiche, note di copertina esaustive: cosa volere di più? Ma non è finita qui. Chiaro che, anche da un punto di vista puramente commerciale, l’operazione richiede un quid novi che possa attirare l’attenzione degli appassionati e dei media. Ecco che, strombazzatissimo, viene inoltre pubblicato quel "First Rays Of The New Rising Sun" (Earth Blues) che nell’intenzioni di Hendrix doveva essere il doppio album degno successore di Electric Ladyland, i cui brani, sparsi qua e là, erano finiti principalmente in "The Cry Of Love (1971)" ed altri dischi postumi. Una vera manna, testimone, tra l’altro, dell’inesausta creatività di Jimi e del suo tuffarsi sempre più nella musica nera, ed in particolare nel funk.
Di lì a poco, sempre nel 1997, a sorpresa viene pubblicato "South Saturn Delta" (15 Midnight Lightning), che contiene ben 15 brani inediti.
Nel 1998 vede la luce "Blues" (Mannish Boy), disco che, come ricordato sopra, era originariamente uscito con la produzione di Alan Douglas. Remixato per l’occasione, il lavoro esplora i legami inscindibili di Hendrix col blues attraverso 11 tracce. Disco, inutile dirlo, imperdibile anche per gli amanti della 'musica del diavolo'.
Sempre nello stesso anno (l’Experience Hendrix viaggia ormai a pieno regime!), viene pubblicato "BBC Sessions" (Driving South), doppio cd che contiene le esibizioni della Jimi Hendrix Experience alla BBC.
Nel 1999 viene dato alle stampe lo splendido "Live At The Fillmore East", doppio cd contenente estratti dai concerti di Capodanno del 1969 tenuti da Jimi con la Band Of Gypsys, esecuzioni non contenute in Band Of Gypsys ma sempre di livello stratosferico, e quindi "Live At Woodstock", altro doppio cd che documenta la storica esibizione di Hendrix al celeberrimo festival.
Nel 2000 esce "The Jimi Hendrix Experience", un elegante cofanetto in confezione vellutata viola costituito da 4 cd: una cornucopia di inediti di studio e folgoranti esibizioni dal vivo.
E’ il momento di tornare a riproporre i grandi live, ed ecco che la Experience Hendrix pubblica nel 2002 "Blue Wild Angel", documento dell’esibizione all’Isola di Wight il 30 agosto del 1970, l’ultimo grande - e sofferto - concerto del Nostro. Nel 2003 invece è la volta di "Live At Berkeley", un concerto fenomenale: lo show presentato è il secondo tenutosi il 30 maggio 1970.
Buon ultimo sul versante live (almeno per ora), nel 2007 esce "Live At Monterey", il Big Bang di Hendrix, vera pietra miliare della storia del rock.
Sembrava che non vi fossero altre notizie degne di nota da parte dell’Experience Hendrix, e invece nel 2010 viene pubblicato "Valleys Of Neptune". Accolto da molti con non particolare entusiasmo: a chi scrive il cd è piaciuto e anche parecchio.
Concludiamo la carrellata con la recente uscita di "West Coast Seattle Boy" (Help me-Get that feeling), altro lussuoso cofanetto con una miriade di inediti di studio e dal vivo. E la saga sembra essere destinata a continuare, pare che ci sia ancora moltissimo materiale…
In questo breve excursus non abbiamo dato finora conto, perché discorso a sè, delle raccolte. Provvediamo: "Smash Hits, Experience Hendrix – The Best Of Jimi Hendrix" e "Voodoo Child - The Jimi Hendrix Collection", quest’ultima di maggior interesse perché contenente numerose tracce live. L’Experience pubblica anche concerti di Hendrix nella collana Dagger, con qualità della registrazione più approssimativa, che si possono ordinare attraverso il sito ufficiale. Poi ci sono i DVD, ma questo è chiaramente un capitolo a parte.
S’impone, in chiusura, una riflessione su pregi e limiti di questa gigantesca operazione discografica, forse la più complessa della storia della discografia in campo rock.
Il fatto che la gestione di questo tesoro artistico sia passata nelle mani della famiglia Hendrix ha garantito una maggiore cura per quanto riguarda l’aspetto sonoro. Tuttavia l’esigenza di mantenere desta l’attenzione su Jimi da un lato e quella ineludibile di creare dischi comunque fruibili dall’altro hanno comunque disperso il repertorio, laddove chi nutre esigenze di carattere filologico (come chi scrive) avrebbe senz’altro preferito una pubblicazione degli inediti in rigoroso ordine cronologico di realizzazione.
Rimane poi l’interrogativo se sia giusto pubblicare materiale che Hendrix stesso in alcuni casi non avrebbe licenziato, o avrebbe pubblicato in modo diverso. Pensiamo solo a tutti i brani inediti il cui missaggio non è stato supervisionato da Jimi, che era quanto mai creativo anche in questa fase della produzione di un disco, col risultato che l’ascoltatore è privo dell’esperienza del mix come lo avrebbe voluto il Nostro.
Chi scrive ritiene comunque positivo che tutto questo materiale inedito, di ottima e talvolta straordinaria qualità – parliamo di un genio, ricordiamocelo –, sia reso comunque disponibile agli amanti della grande musica.
E’ assodato: basta mettere nel lettore cd un qualunque brano di Jimi, noto o ancora sconosciuto, e la MAGIA ritorna SEMPRE, tanta è la forza di questo straordinario artista.
E allora ... keep on playing Voodoo Child...
Di lui ricordiamo bene un’intervista, dove affermava che non gl’interessava chi fosse sul palco: fosse stato anche Jimi Hendrix se c’era una parte che non andava l’avrebbe tagliata, e a tale rigoroso criterio - ineccepibile se riferito ad un qualunque artista, ma troppo rigido se applicato ad un genio musicale come Jimi, uno che anche quando 'sbaglia' illumina il mondo - egli si è attenuto non solo nella pubblicazione dei live, ma anche nel rivisitare le registrazioni di studio, arrivando addirittura a sostituire intere parti originali di basso e batteria, a suo giudizio non ottimali, con altre fornite da session man, confezionando così dischi discutibili come "Crash Landing (marzo 1975)" e "Midnight Lightning (novembre 1975)", tant’è che gli stessi sono stati successivamente ritirati dal mercato.
Bisogna ammettere tuttavia che Douglas è anche riuscito a dare alle stampe un paio di dischi postumi del Nostro niente affatto male, ovvero il doppio dal vivo “Concerts (1982)" (I don't live today) - per inciso il primo LP di Jimi preso da chi scrive – in seguito ristampato in cd con l’aggiunta di un’inedita versione live di Foxy Lady registrata a San Diego, e “Blues (1994)", su cui avremo modo di tornare.
Ma l’aspetto più importante da sottolineare è che Douglas, come anche gli altri che si sono occupati della ristampa in formato cd del catalogo hendrixiano, ha utilizzato nastri non di prima generazione (ovvero quelli in cui i suoni sono stati incisi), ma di seconda o terza generazione (ovvero copie e addirittura copie di copie dei nastri originali!), con una resa sonora quindi inferiore. E questo è quello che gli ignari appassionati, acquistando questi dischi così come le ristampe in cd degli stessi, hanno ascoltato per anni.
Per fortuna le cose cambiano quando nel 1995 l’opera omnia registrata da Hendrix passa dopo lunghe battaglie legali nelle mani dei suoi eredi, il padre James 'Al' Hendrix e la sorella Janie.
Finalmente, grazie ad un paziente e certosino lavoro di ricerca, per la masterizzazione e la stampa dei cd si utilizzano per la prima volta nastri di prima generazione e il risultato si sente! All’epoca della pubblicazione comprai, appena licenziato dalla Experience Hendrix L.L.C. (la società fondata dagli eredi di Hendrix per ripubblicare il suo catalogo), "Are You Experienced" e confrontai (abbastanza scettico a dire il vero) la mia 'vecchia' copia in cd con quella pubblicata dalla Experience. Il risultato del raffronto, fin dall’iniziale Foxy Lady, fu sbalorditivo: nella vecchia copia il suono risultava più scuro, ovvero c’erano più frequenze basse a scapito delle frequenze medie (quelle che danno 'calore' al suono) andate perse nella duplicazione del nastro, laddove la brillantezza della nuova versione, data dal fatto che tutte le frequenze erano conservate, era a dir poco entusiasmante.
Andiamo quindi con ordine nel ripercorrere la pubblicazione del materiale hendrixiano da parte della Experience Hendrix.
L’operazione comincia nell’ormai lontano 1997. Vengono pubblicati in questa scintillante edizione gli album usciti ancora vivo Hendrix, ovvero "Are You Experienced (1967), Axis: Bold As Love (1967)"(Up from the skies), il capolavoro "Electric Ladyland (1968)" (Crosstown traffic) e il live "Band Of Gypsys (1970)". In una discoteca rock (e non solo) non possono certo mancare.
Sound spettacolare, booklet coloratissimi in sintonia con l’anima psichedelica del Nostro, foto magnifiche, note di copertina esaustive: cosa volere di più? Ma non è finita qui. Chiaro che, anche da un punto di vista puramente commerciale, l’operazione richiede un quid novi che possa attirare l’attenzione degli appassionati e dei media. Ecco che, strombazzatissimo, viene inoltre pubblicato quel "First Rays Of The New Rising Sun" (Earth Blues) che nell’intenzioni di Hendrix doveva essere il doppio album degno successore di Electric Ladyland, i cui brani, sparsi qua e là, erano finiti principalmente in "The Cry Of Love (1971)" ed altri dischi postumi. Una vera manna, testimone, tra l’altro, dell’inesausta creatività di Jimi e del suo tuffarsi sempre più nella musica nera, ed in particolare nel funk.
Di lì a poco, sempre nel 1997, a sorpresa viene pubblicato "South Saturn Delta" (15 Midnight Lightning), che contiene ben 15 brani inediti.
Nel 1998 vede la luce "Blues" (Mannish Boy), disco che, come ricordato sopra, era originariamente uscito con la produzione di Alan Douglas. Remixato per l’occasione, il lavoro esplora i legami inscindibili di Hendrix col blues attraverso 11 tracce. Disco, inutile dirlo, imperdibile anche per gli amanti della 'musica del diavolo'.
Sempre nello stesso anno (l’Experience Hendrix viaggia ormai a pieno regime!), viene pubblicato "BBC Sessions" (Driving South), doppio cd che contiene le esibizioni della Jimi Hendrix Experience alla BBC.
Nel 1999 viene dato alle stampe lo splendido "Live At The Fillmore East", doppio cd contenente estratti dai concerti di Capodanno del 1969 tenuti da Jimi con la Band Of Gypsys, esecuzioni non contenute in Band Of Gypsys ma sempre di livello stratosferico, e quindi "Live At Woodstock", altro doppio cd che documenta la storica esibizione di Hendrix al celeberrimo festival.
Nel 2000 esce "The Jimi Hendrix Experience", un elegante cofanetto in confezione vellutata viola costituito da 4 cd: una cornucopia di inediti di studio e folgoranti esibizioni dal vivo.
E’ il momento di tornare a riproporre i grandi live, ed ecco che la Experience Hendrix pubblica nel 2002 "Blue Wild Angel", documento dell’esibizione all’Isola di Wight il 30 agosto del 1970, l’ultimo grande - e sofferto - concerto del Nostro. Nel 2003 invece è la volta di "Live At Berkeley", un concerto fenomenale: lo show presentato è il secondo tenutosi il 30 maggio 1970.
Buon ultimo sul versante live (almeno per ora), nel 2007 esce "Live At Monterey", il Big Bang di Hendrix, vera pietra miliare della storia del rock.
Sembrava che non vi fossero altre notizie degne di nota da parte dell’Experience Hendrix, e invece nel 2010 viene pubblicato "Valleys Of Neptune". Accolto da molti con non particolare entusiasmo: a chi scrive il cd è piaciuto e anche parecchio.
Concludiamo la carrellata con la recente uscita di "West Coast Seattle Boy" (Help me-Get that feeling), altro lussuoso cofanetto con una miriade di inediti di studio e dal vivo. E la saga sembra essere destinata a continuare, pare che ci sia ancora moltissimo materiale…
In questo breve excursus non abbiamo dato finora conto, perché discorso a sè, delle raccolte. Provvediamo: "Smash Hits, Experience Hendrix – The Best Of Jimi Hendrix" e "Voodoo Child - The Jimi Hendrix Collection", quest’ultima di maggior interesse perché contenente numerose tracce live. L’Experience pubblica anche concerti di Hendrix nella collana Dagger, con qualità della registrazione più approssimativa, che si possono ordinare attraverso il sito ufficiale. Poi ci sono i DVD, ma questo è chiaramente un capitolo a parte.
S’impone, in chiusura, una riflessione su pregi e limiti di questa gigantesca operazione discografica, forse la più complessa della storia della discografia in campo rock.
Il fatto che la gestione di questo tesoro artistico sia passata nelle mani della famiglia Hendrix ha garantito una maggiore cura per quanto riguarda l’aspetto sonoro. Tuttavia l’esigenza di mantenere desta l’attenzione su Jimi da un lato e quella ineludibile di creare dischi comunque fruibili dall’altro hanno comunque disperso il repertorio, laddove chi nutre esigenze di carattere filologico (come chi scrive) avrebbe senz’altro preferito una pubblicazione degli inediti in rigoroso ordine cronologico di realizzazione.
Rimane poi l’interrogativo se sia giusto pubblicare materiale che Hendrix stesso in alcuni casi non avrebbe licenziato, o avrebbe pubblicato in modo diverso. Pensiamo solo a tutti i brani inediti il cui missaggio non è stato supervisionato da Jimi, che era quanto mai creativo anche in questa fase della produzione di un disco, col risultato che l’ascoltatore è privo dell’esperienza del mix come lo avrebbe voluto il Nostro.
Chi scrive ritiene comunque positivo che tutto questo materiale inedito, di ottima e talvolta straordinaria qualità – parliamo di un genio, ricordiamocelo –, sia reso comunque disponibile agli amanti della grande musica.
E’ assodato: basta mettere nel lettore cd un qualunque brano di Jimi, noto o ancora sconosciuto, e la MAGIA ritorna SEMPRE, tanta è la forza di questo straordinario artista.
E allora ... keep on playing Voodoo Child...
Ruben
Introduzione al "DARK CABARET": L'Estetica Musicale e gli Artisti
Agli inizi del XXI secolo un piccolo movimento sonoro ha iniziato a dimenarsi per farsi notare, un genere comprendente il pathos del teatro, il fascino del cinema noir ed un irriverenza sottile e pungente, il 'Dark Cabaret'.
Come al solito gli inglesi ci sono arrivati abbastanza presto, infatti, a differenza del resto dell’Europa, già oggi nel paese possiamo trovare concerti, serate-evento e piccoli festival. La maggior parte degli artisti del genere attualmente sono americani, ma i primissimi artisti erano provenienti dalla Germania i quali portavano nel sangue la lunga tradizione del teatro tedesco, l’espressionismo nel cinema e lo Sprechgesang ovvero il canto parlato.
Per riuscire a comprendere a pieno il movimento Dark Cabaret iniziamo dal principio: il primissimo esempio può essere attribuito a Nico, cantante ed attrice: sarà nel 1974 con l’album “The End” che le due arti si uniranno dolcemente in alcune canzoni come You Forgot To Answer e Secret Side.
Nello stesso periodo circa possiamo trovare anche altri artisti, che avevano le giuste caratteristiche per essere ora catalogabili come Pre-Cabaret, ovvero Klaus Nomi, cantante tedesco dal prepotente impatto scenico e Nina Hagen, sempre proveniente dalla Germania, venne molto apprezzata per il suo stile Punk Opera e la sua vita sregolata.
Come possiamo notare è un genere fatto da artisti sicuramente di gran presenza scenica al di fuori dagli standard morali di quegli anni: con queste premesse la dark lady Siouxsie Sioux non poteva lasciarsi scappare l’occasione di contribuire al genere e metterci il suo tocco personale, arriva infatti nel 1988 Peek-A-Boo, canzone estratta dall’album "Peepshow (1988)" che raggiunse il 16° posto nella classifica nazionale dei singoli venduti.
Tra la fine degli '80 e l’inizio dei '90 lo stile cabaret infiamma in America, a prova di ciò ci fu l’aumento di spettacoli di stampo umoristico teatrale di artisti come le Fascinating Aida ed il duo Kit And The Window.
Interessante è anche il contributo dei Sex Gang Children, i quali riuscirono a colpire il pubblico per l’impatto scenico innato del frontman Andi, ciò permise di espandere i preconcetti del Dark Cabaret al mondo Gothic.
Il 1995 è forse l’anno di riferimento di questo genere, poiché corrisponde all’anno di uscita dell’album "Dream Home Heartache (1995)" di Gitane Demone & Rozz Williams (il brano in origine é dei Roxy Music): l’album in questione venne recensito dalla Projekt Records (la quale è attualmente molto impegnata nella diffusione del Dark Cabaret proponendo frequentemente compilation - "A Dark Cabaret, 2005" - di musicisti emergenti) e si parlò per la prima volta di Cabaret Noir e di Glam Cabaret: queste parole diedero il via ad un susseguirsi di artisti, che dedicarono la loro carriera a fondere il Vaudeville alle atmosfere musicali da piano bar.
Nel 1989 Londra diede alla vita un progetto musicale assai eclettico e provocatorio: The Tiger Lillies (The Crack Of Doom, Bad Blood And Blasphemy 1999) si presentavano con un pesante trucco che riportava ai mimi ed agli attori fra frasi spregiudicate che narravano vicende 'pornografiche, proponendo canto in falsetto ed accompagnamenti di fisarmonica, i londinesi in questione sono probabilmente, la prima vera band Dark Cabaret della storia.
The Tiger Lillies è un nome che dice poco alla maggior parte della gente, ma essi hanno una vastissima discografia alle spalle, hanno creato musiche per il cinema, furono candidati ai Grammy Award nel 2003 ed hanno partecipato ad innumerevoli festival.
Finalmente una band Dark Cabaret di ottimo livello che è riuscita ad emergere da un panorama underground, mostrando queste nuove idee sonore a tutto il mondo, che come vedremo, verranno raccolte nei più svariati modi.
Una splendida interpretazione è quella proposta dalla americana Jill Tracy (You Leave me cold, Diabolical Streak 1999), che si mostra al pubblico come la sexy ragazza che si muove sinuosa sul pianoforte di un bar, che odora di sigaretta: la sua voce calda ed ammiccante viene accompagnata da melodie raffinatissime.
Sempre in America andiamo a conoscere un altro esponente del Dark Cabaret: Voltaire.
Americano di adozione è di origine cubana, e la genetica latina gli conferisce una profondissima voce di grande impatto, la quale verrà poi associata ad una strumentazione prettamente folk; l’artista spazia in canzoni dal tocco country fino ad arrivare ad altre più horrorifiche, il risultato è un prodotto dal facile ascolto ma davvero molto piacevole! (When You're Evil, The Devil's Bris 1998)
Più particolare è il punto di vista dei Circus Contraption: come suggerisce il nome la band ci proietta nel mondo musico-teatrale di clown e giocolieri. Da una patria della musica quale è Seattle questo gruppo di artisti propone una musica senza tempo, che scivola sulle nostre orecchie leggiadra, ma i più attenti ascoltatori potranno trovare veri e propri virtuosismi sonori, don’t miss it! (Charmed I'm Sure, Grand American Travelling Dime Museum 2006)
Ma se ottimi artisti non riescono a coinvolgere nuove generazioni è la eccentrica Emilie Autumn a scendere in campo in aiuto della causa. Polistrumentista ed ottima front-Girl, Emilie musicalmente parlando non è propriamente classificabile nel genere in questione, ma data la sua forte immagine alquanto scenografica possiamo concedergli il merito di preparare all’ascolto di canzoni assai teatrali ed enfatiche un più vasto pubblico (The Art of Suicide, Opheliac 2006).
Alle orecchie italiani il Dark Cabaret è arrivato in maniera davvero orribile, ovvero attraverso lo spot di una nota marca di zaini, che come sottofondo utilizzava il jingle di Coin-Operated Boy di The Dresden Dolls.
Amanda Palmer e Brian Veglione sono due musicisti eccezionali, lei è nata come artista di strada lui suona da quando aveva 5 anni: insieme sono The Dresden Dolls, una band amata in tutto il mondo, che riesce sapientemente a dosare il loro aspetto scenico con i loro contenuti musicali; vengono definiti Punk Cabaret e ricevono sempre più consensi da fan e media (Girl Anachronism, The Dresden Dolls 2004).
Per terminare questo percorso conoscitivo è d’obbligo parlare del duo Evelyn Evelyn, composto dalla già citata Amanda Palmer e Jason Webley, anche esso nato come artista di strada.
Nel 2010 la band pubblica un album omonimo, il quale si può ben definire una pietra miliare del mondo Dark Cabaret: infatti il cd racchiude canzoni dal diverso stile ognuna delle quali ben riuscita, i testi sono penetranti e assai elaborati; per quel che riguarda il fattore scenico sono imbattibili, esibendosi in un vestito unico, che li rende come gemelli siamesi, costringendoli a condividere ogni strumento ed ogni sensazione
(Evelyn Evelyn, Evelyn Evelyn 2010).
Abbiamo visto coloro che hanno creato le basi, quelli che hanno usato il loro tocco personale e chi lo ha reso famoso: il genere di cui abbiamo parlato è pronto per essere colto da musicisti ed esigenti ascoltatori, sta solo a noi ora seguire e sostenere questi artisti nella loro carriera, ricordiamoci che questi piccoli geni ricevono spesso troppo poco rispetto a quello che loro riescono ad offrirci.
Per tutti coloro che in seguito a questa breve guida al genere siano interessati a saperne di più, inserisco una breve lista di artisti Dark Cabaret.
Amanda Palmer (solista) - Brigitte Fontaine - Cinema Strange - Devil Doll - Humanwine Katzenjammer Kabarett - Kaizers Orchestra - Rasputina - Stolen Babies - The Deadfly Ensamble - ThouShaltNot - Two Ton Boa - Agghiastru - Vagabond Opera - Birdeatsbaby Bitter Ruin - Tragic Tantrum Cabaret - Dante’s Voodoo Cabaret- Hannah Fury -Schneewittchen - Agent Ribbon - Kitten On The Keys - Huxley Vertical Cabaret Nouveau Veronique Chevalier - Lacroix Despheres - The Real Tuesday Weld - The World Inferno Society - Vermillion Lies - Nostalghia- En Velours Noir - Revue Noir - Lee Press-On & The Nails- The Carnival- The Candy Spooky Theater - Abby Travis - Reverend Glasseye Sons Of Perdition - Pretty Balanced
Castignani Francesco
DarkCabaretCommunityFacebook
DarkCabaretandMoreFacebook
CommunityDarkCabaret
Come al solito gli inglesi ci sono arrivati abbastanza presto, infatti, a differenza del resto dell’Europa, già oggi nel paese possiamo trovare concerti, serate-evento e piccoli festival. La maggior parte degli artisti del genere attualmente sono americani, ma i primissimi artisti erano provenienti dalla Germania i quali portavano nel sangue la lunga tradizione del teatro tedesco, l’espressionismo nel cinema e lo Sprechgesang ovvero il canto parlato.
Per riuscire a comprendere a pieno il movimento Dark Cabaret iniziamo dal principio: il primissimo esempio può essere attribuito a Nico, cantante ed attrice: sarà nel 1974 con l’album “The End” che le due arti si uniranno dolcemente in alcune canzoni come You Forgot To Answer e Secret Side.
Nello stesso periodo circa possiamo trovare anche altri artisti, che avevano le giuste caratteristiche per essere ora catalogabili come Pre-Cabaret, ovvero Klaus Nomi, cantante tedesco dal prepotente impatto scenico e Nina Hagen, sempre proveniente dalla Germania, venne molto apprezzata per il suo stile Punk Opera e la sua vita sregolata.
Come possiamo notare è un genere fatto da artisti sicuramente di gran presenza scenica al di fuori dagli standard morali di quegli anni: con queste premesse la dark lady Siouxsie Sioux non poteva lasciarsi scappare l’occasione di contribuire al genere e metterci il suo tocco personale, arriva infatti nel 1988 Peek-A-Boo, canzone estratta dall’album "Peepshow (1988)" che raggiunse il 16° posto nella classifica nazionale dei singoli venduti.
Tra la fine degli '80 e l’inizio dei '90 lo stile cabaret infiamma in America, a prova di ciò ci fu l’aumento di spettacoli di stampo umoristico teatrale di artisti come le Fascinating Aida ed il duo Kit And The Window.
Interessante è anche il contributo dei Sex Gang Children, i quali riuscirono a colpire il pubblico per l’impatto scenico innato del frontman Andi, ciò permise di espandere i preconcetti del Dark Cabaret al mondo Gothic.
Il 1995 è forse l’anno di riferimento di questo genere, poiché corrisponde all’anno di uscita dell’album "Dream Home Heartache (1995)" di Gitane Demone & Rozz Williams (il brano in origine é dei Roxy Music): l’album in questione venne recensito dalla Projekt Records (la quale è attualmente molto impegnata nella diffusione del Dark Cabaret proponendo frequentemente compilation - "A Dark Cabaret, 2005" - di musicisti emergenti) e si parlò per la prima volta di Cabaret Noir e di Glam Cabaret: queste parole diedero il via ad un susseguirsi di artisti, che dedicarono la loro carriera a fondere il Vaudeville alle atmosfere musicali da piano bar.
Nel 1989 Londra diede alla vita un progetto musicale assai eclettico e provocatorio: The Tiger Lillies (The Crack Of Doom, Bad Blood And Blasphemy 1999) si presentavano con un pesante trucco che riportava ai mimi ed agli attori fra frasi spregiudicate che narravano vicende 'pornografiche, proponendo canto in falsetto ed accompagnamenti di fisarmonica, i londinesi in questione sono probabilmente, la prima vera band Dark Cabaret della storia.
The Tiger Lillies è un nome che dice poco alla maggior parte della gente, ma essi hanno una vastissima discografia alle spalle, hanno creato musiche per il cinema, furono candidati ai Grammy Award nel 2003 ed hanno partecipato ad innumerevoli festival.
Finalmente una band Dark Cabaret di ottimo livello che è riuscita ad emergere da un panorama underground, mostrando queste nuove idee sonore a tutto il mondo, che come vedremo, verranno raccolte nei più svariati modi.
Una splendida interpretazione è quella proposta dalla americana Jill Tracy (You Leave me cold, Diabolical Streak 1999), che si mostra al pubblico come la sexy ragazza che si muove sinuosa sul pianoforte di un bar, che odora di sigaretta: la sua voce calda ed ammiccante viene accompagnata da melodie raffinatissime.
Sempre in America andiamo a conoscere un altro esponente del Dark Cabaret: Voltaire.
Americano di adozione è di origine cubana, e la genetica latina gli conferisce una profondissima voce di grande impatto, la quale verrà poi associata ad una strumentazione prettamente folk; l’artista spazia in canzoni dal tocco country fino ad arrivare ad altre più horrorifiche, il risultato è un prodotto dal facile ascolto ma davvero molto piacevole! (When You're Evil, The Devil's Bris 1998)
Più particolare è il punto di vista dei Circus Contraption: come suggerisce il nome la band ci proietta nel mondo musico-teatrale di clown e giocolieri. Da una patria della musica quale è Seattle questo gruppo di artisti propone una musica senza tempo, che scivola sulle nostre orecchie leggiadra, ma i più attenti ascoltatori potranno trovare veri e propri virtuosismi sonori, don’t miss it! (Charmed I'm Sure, Grand American Travelling Dime Museum 2006)
Ma se ottimi artisti non riescono a coinvolgere nuove generazioni è la eccentrica Emilie Autumn a scendere in campo in aiuto della causa. Polistrumentista ed ottima front-Girl, Emilie musicalmente parlando non è propriamente classificabile nel genere in questione, ma data la sua forte immagine alquanto scenografica possiamo concedergli il merito di preparare all’ascolto di canzoni assai teatrali ed enfatiche un più vasto pubblico (The Art of Suicide, Opheliac 2006).
Alle orecchie italiani il Dark Cabaret è arrivato in maniera davvero orribile, ovvero attraverso lo spot di una nota marca di zaini, che come sottofondo utilizzava il jingle di Coin-Operated Boy di The Dresden Dolls.
Amanda Palmer e Brian Veglione sono due musicisti eccezionali, lei è nata come artista di strada lui suona da quando aveva 5 anni: insieme sono The Dresden Dolls, una band amata in tutto il mondo, che riesce sapientemente a dosare il loro aspetto scenico con i loro contenuti musicali; vengono definiti Punk Cabaret e ricevono sempre più consensi da fan e media (Girl Anachronism, The Dresden Dolls 2004).
Per terminare questo percorso conoscitivo è d’obbligo parlare del duo Evelyn Evelyn, composto dalla già citata Amanda Palmer e Jason Webley, anche esso nato come artista di strada.
Nel 2010 la band pubblica un album omonimo, il quale si può ben definire una pietra miliare del mondo Dark Cabaret: infatti il cd racchiude canzoni dal diverso stile ognuna delle quali ben riuscita, i testi sono penetranti e assai elaborati; per quel che riguarda il fattore scenico sono imbattibili, esibendosi in un vestito unico, che li rende come gemelli siamesi, costringendoli a condividere ogni strumento ed ogni sensazione
(Evelyn Evelyn, Evelyn Evelyn 2010).
Abbiamo visto coloro che hanno creato le basi, quelli che hanno usato il loro tocco personale e chi lo ha reso famoso: il genere di cui abbiamo parlato è pronto per essere colto da musicisti ed esigenti ascoltatori, sta solo a noi ora seguire e sostenere questi artisti nella loro carriera, ricordiamoci che questi piccoli geni ricevono spesso troppo poco rispetto a quello che loro riescono ad offrirci.
Per tutti coloro che in seguito a questa breve guida al genere siano interessati a saperne di più, inserisco una breve lista di artisti Dark Cabaret.
Amanda Palmer (solista) - Brigitte Fontaine - Cinema Strange - Devil Doll - Humanwine Katzenjammer Kabarett - Kaizers Orchestra - Rasputina - Stolen Babies - The Deadfly Ensamble - ThouShaltNot - Two Ton Boa - Agghiastru - Vagabond Opera - Birdeatsbaby Bitter Ruin - Tragic Tantrum Cabaret - Dante’s Voodoo Cabaret- Hannah Fury -Schneewittchen - Agent Ribbon - Kitten On The Keys - Huxley Vertical Cabaret Nouveau Veronique Chevalier - Lacroix Despheres - The Real Tuesday Weld - The World Inferno Society - Vermillion Lies - Nostalghia- En Velours Noir - Revue Noir - Lee Press-On & The Nails- The Carnival- The Candy Spooky Theater - Abby Travis - Reverend Glasseye Sons Of Perdition - Pretty Balanced
Castignani Francesco
DarkCabaretCommunityFacebook
DarkCabaretandMoreFacebook
CommunityDarkCabaret
venerdì 14 gennaio 2011
ANUSEYE/THAT’S ALL FOLKS: “Fine Needle /Hypnotic Pulse” (2010, Nasoni Records)
I That’s All Folks sono stati una notevole realtà nel panorama rock italiano, pugliese nella fattispecie: tutti originari di Bari erano guidati con mano ferma da Claudio Colaianni (lead vocal, guitar and composer) e Michele Rossiello (bass guitar). Il loro debutto discografico, "Soma… 3rd way to zion (2000, Beard of Stars Records/Vinyl Magic3)", uscito a nuovo millennio appena iniziato fu un fulgido totem stoner-psychedelico che contribuì ad inserire la Puglia in un contesto rock nazionale nel quale (al pari di quello internazionale) lo stoner viveva un momento di grazia.
Due anni dopo il notevole talento dei T.A.F. fu confermato dall'ottimo "Psyche As One Of The Fine Arts (2002, Beard Of Stars Records/Vinyl Magic 3)": in quell'occasione ebbi modo di intervistarli e con Claudio Colaianni analizzammo a fondo i loro due lavori, che avevo recensito per un seminale cartaceo barese di quegli anni (Uoz'Ap?) ed online (Music Boom) .
Un'intensa attività concertistica e nuovi contatti internazionali portarono ad un'evoluzione della realtà T.A.F.: il bassista Michele Rossiello forma gli Atomic Workers con musicisti baresi ed inglesi. Gli Atomic Workers incideranno tre pregevoli e molto eclettici dischi per l'etichetta berlinese Nasoni Records, realizzati tra il rinomato Tom Tom Studio (Bari) di Angelo Pantaleo e l'Inghilterra, più un 7" split con Hipnosis e vari brani in diverse compilation. Il leader dei That's All folks Claudio Colaianni nel frattempo sperimenta attraverso vari progetti e formazioni dividendosi tra blues e psichedelia, cercando probabilmente di scrollarsi di dosso un marchio ('stoner') che già in quell'intervista pareva stargli stretto.
Anuseye si chiama il suo nuovo progetto, che già può vantare una buona attività concertistica e che si concretizza con l'incisione verso la fine del 2010 di un 45 giri sempre per la tedesca Nasoni Records. Con lui negli Anuseye ci sono Luca Stero (guitar), ex T.A.F., Michele Valla al basso e Antonello Carrante alla batteria.
Fine Needle é quasi quattro minuti di 'maestoso' e fascinoso sound che definire ancora stoner tout-court sarebbe criminale, perché emana semplicemente vibrazioni 'heavy' ed 'acid' di grande rock, quello senza tempo; Fine Needle vi 'inchioda' da subito con un magistrale riff iniziale onirico, quasi metafisico: quindi é la voce strisciante di Claudio a lasciarci in balia di una tempesta elettrica avvolgente. La vaga ascendenza Queens Of The Stone Age non va a scalfire un dimensione sonica che pare già abbondantemente matura e che culmina in un solo chitarristico centrale acidissimo. Poi quel riff iniziale, quasi presagio di un destino già segnato, ti riafferra lasciandoti infine 'perso' nell' oblio di te stesso.
Grande brano Fine Needle: se la prossima produzione degli Anuseye sarà di questa portata c'é da giurare che (dopo i T.A.F.) scriveranno un'altra felice pagina del rock italiano contemporaneo.
Hypnotic Pulse invece é ascritto ad una gioiosa 'reunion' dei That's All Folks (compare Michele Rossiello al basso) in quel Tom Tom Studio gestito da Angelo Pantaleo che da sempre é crocevia ideale dell''altra' Bari rock. Lo stesso Angelo compare ai keyboards+ manual effects midi samples 'colorando' discretamente quella che ha tutta l'aria di essere stata una jam estemporanea, ancora una volta subdolamente 'psych', venata di buon vecchio percussivo kraut-rock, tra vecchi compagni di ventura artistica.
Wally Boffoli
Anuseye Live
Anuseye Live
AnuseyeMySpace
AnuseyeFacebook
Due anni dopo il notevole talento dei T.A.F. fu confermato dall'ottimo "Psyche As One Of The Fine Arts (2002, Beard Of Stars Records/Vinyl Magic 3)": in quell'occasione ebbi modo di intervistarli e con Claudio Colaianni analizzammo a fondo i loro due lavori, che avevo recensito per un seminale cartaceo barese di quegli anni (Uoz'Ap?) ed online (Music Boom) .
Un'intensa attività concertistica e nuovi contatti internazionali portarono ad un'evoluzione della realtà T.A.F.: il bassista Michele Rossiello forma gli Atomic Workers con musicisti baresi ed inglesi. Gli Atomic Workers incideranno tre pregevoli e molto eclettici dischi per l'etichetta berlinese Nasoni Records, realizzati tra il rinomato Tom Tom Studio (Bari) di Angelo Pantaleo e l'Inghilterra, più un 7" split con Hipnosis e vari brani in diverse compilation. Il leader dei That's All folks Claudio Colaianni nel frattempo sperimenta attraverso vari progetti e formazioni dividendosi tra blues e psichedelia, cercando probabilmente di scrollarsi di dosso un marchio ('stoner') che già in quell'intervista pareva stargli stretto.
Anuseye si chiama il suo nuovo progetto, che già può vantare una buona attività concertistica e che si concretizza con l'incisione verso la fine del 2010 di un 45 giri sempre per la tedesca Nasoni Records. Con lui negli Anuseye ci sono Luca Stero (guitar), ex T.A.F., Michele Valla al basso e Antonello Carrante alla batteria.
Fine Needle é quasi quattro minuti di 'maestoso' e fascinoso sound che definire ancora stoner tout-court sarebbe criminale, perché emana semplicemente vibrazioni 'heavy' ed 'acid' di grande rock, quello senza tempo; Fine Needle vi 'inchioda' da subito con un magistrale riff iniziale onirico, quasi metafisico: quindi é la voce strisciante di Claudio a lasciarci in balia di una tempesta elettrica avvolgente. La vaga ascendenza Queens Of The Stone Age non va a scalfire un dimensione sonica che pare già abbondantemente matura e che culmina in un solo chitarristico centrale acidissimo. Poi quel riff iniziale, quasi presagio di un destino già segnato, ti riafferra lasciandoti infine 'perso' nell' oblio di te stesso.
Grande brano Fine Needle: se la prossima produzione degli Anuseye sarà di questa portata c'é da giurare che (dopo i T.A.F.) scriveranno un'altra felice pagina del rock italiano contemporaneo.
Hypnotic Pulse invece é ascritto ad una gioiosa 'reunion' dei That's All Folks (compare Michele Rossiello al basso) in quel Tom Tom Studio gestito da Angelo Pantaleo che da sempre é crocevia ideale dell''altra' Bari rock. Lo stesso Angelo compare ai keyboards+ manual effects midi samples 'colorando' discretamente quella che ha tutta l'aria di essere stata una jam estemporanea, ancora una volta subdolamente 'psych', venata di buon vecchio percussivo kraut-rock, tra vecchi compagni di ventura artistica.
Wally Boffoli
Anuseye Live
Anuseye Live
AnuseyeMySpace
AnuseyeFacebook
KRAUT ROCK - AMON DUUL II : “Yeti” (1970, Liberty/Repertoire)
Ho voluto fortemente questa nuova sezione 'europea' del magazine perché ho sempre ritenuto che il Kraut-Rock fosse un capitolo dell'avanguardia rock del secondo millennio semi-sconosciuto alle nuove generazioni. E' con estremo piacere quindi che lo inauguriamo grazie ad un pezzo davvero pregevole del nostro scrittore di thriller savonese Maurizio Pupi Bracali su una delle opere fondamentali del rock tedesco, controverso 'spartiacque' tra le utopie degli anni '60 ed i complessi, multiformi anni '70. (wally)
AMON DUUL II: Yeti
C’è chi dice che i batteristi sono gli elementi meno importanti nell’ambito di un gruppo rock: se non ci fosse stata la fuga precipitosa di Peter Leopold dalla prima incarnazione degli Amon Duul, i successivi Amon Duul II da lui creati, con musicisti completamente differenti, non sarebbero mai esistiti e “Yeti” ed altri ottimi lavori del rock tedesco non avrebbero mai visto la luce.
Dopo lo scisma messo in atto dal transfuga Leopold la band primigenia dopo alcune poche cose di misticheggiante intransigenza permeate di un certo interesse evaporò nel nulla, mentre gli Amon Dull II proseguirono il loro cammino costellando quasi tutti gli anni settanta con diverse pregevoli e autentiche perle di musica informale ed evocativa seguite da una bigiotteria ovviamente non alla stessa altezza ma comunque quasi sempre sopra la sufficienza.
Dopo “Phallus Dei”ottimo album del 1969 già annunciante il manifesto programmatico della freakerie degli Amon Duul II, nel 1970 avviene l’esplosione cosmica con la pubblicazione del mastodontico “Yeti”, disco composito, debordante nelle sue quattro stupefacenti facciate, entrato di forza e probabilmente a ragione nell’immaginario collettivo della cultura alternativo-psichedelica dell’epoca.
E’ una musica per quegli anni dirompente dove la forma canzone ‘cosìcomenoilaconosciamo’ viene accantonata a favore di improvvisazioni free-form, canzoncine folk sghimbescie, ballate flautate e/o spigolose e strumentali orientaleggianti di grande suggestione, il tutto accomunato da una produzione grezza (per non dire rozza: oggi si direbbe lo-fi) che non inficia il prodotto finale, anzi, lo pervade di un’aura di sincera spontaneità, ulteriore valore aggiunto.
Gli strumenti presenti nel disco sono molteplici e accanto alle più tradizionali chitarre e tastiere (queste ultime peraltro non troppo in evidenza) appaiono laceranti violini, percussioni orientali e un flauto vellutato che accreditato a un non meglio identificato Thomas conduce l’ondeggiante e delicata ballata Sandoz in the rain, suonata e cantata anche da altri carneadi quali tale Ulrich, al basso e un certo Rainer alla chitarra acustica e voce (praticamente un’altra band: e questo la dice lunga sul creativo pressapochismo freak degli Amon Duul II dove nemmeno Renate Knaup è accreditata col cognome)
Anche le parti vocali non sono certo convenzionali andando dal declamato stentoreo dei cantanti maschi (chi canta cosa?) che fa venire in mente la tradizione degli antichi lieder germanici ai gorgheggi di Renate Knaup che uniti ai suoi strepitii
quasi infantili la fanno sembrare una sorta di Yoko Ono ante-litteram.
E, visto che come al solito si cade sui riferimenti, quelli dell’epoca accomunano gli Amon Duul II ai californiani Jefferson Airplane e agli inglesi Hawkwind, anche se io personalmente e modestamente non vi ho mai trovato nulla di musicalmente similare; forse un’attitudine comunarda e fricchettona che pervadeva l’aria del tempo creando bands i cui componenti oltre che sodali in musica erano socialmente uniti in famiglie allargate e convivenze comuni: di questo fenomeno gli Amon Duul II sono stati in Europa, almeno per un certo periodo, una delle massime forme di espressione.
A me piace invece, anticonformisticamente azzardando, accostare “Yeti” come un rispecchiarsi, probabilmente inconsapevole, nella sgangheratezza e nell’accozzaglia frammentaria di un “Trout Mask Replica” di Captain Beefheart (uscito un anno prima), pur con le debite differenze del caso e non solo geografiche.
Se qualche lettore di questa recensione non ha mai ascoltato Yeti, ma conosce i momenti più rumoristi e improvvisativi dei Pink Floyd pompeiani potrà forse farsi una piccola idea di ciò che, almeno in parte, scaturisce dai solchi di questo album epocale.
Terminato il gioco delle somiglianze non resta che segnalare (come se fosse facile!) i momenti più salienti del disco, tra i quali metterei senz’altro la micidiale mini suite Soap Shop Rock che apre le danze di questo album immaginifico, la breve, quasi acustica e indianeggiante She Came Through the Chimney, il pesante magnifico deragliamento di Archangels Thunderbird, e naturalmente il fardello cosmico dei diciotto minuti di folle improvvisazione che titolano l’album e che in origine ne rivestivano l’intera terza facciata: tutta l’opera comunque è da decifrare come un lungo unicum, un unico delirante e multiforme serpente sonoro dalle cui spire avvolgenti e cangianti è difficile districarsi.
Le cronache dell’epoca narrano che le sedute di registrazione di Yeti videro i componenti del gruppo agire e muoversi in preda all’ebbrezza di sostanze psicotrope come da copione per un certo tipo di musica e di bands non solo dell’epoca. Questa potrebbe già essere una chiave di lettura per interpretare lo psichedelismo vorticoso delle chitarre elettriche urticanti, dei miagolii stridenti dei violini e dei canti ‘stonati’ che fuoriescono dai solchi di Yeti: se non ci fossero il rischio e il timore di fare apologia di reato si potrebbe suggerire che anche l’ascolto...
A sottolineare una certa inquietudine che traspare da alcune pagine di questo spartito più o meno improvvisato dove manca, per esempio, l’umorismo dei Gong o la beata solarità dell’Incredible String Band, per citare altri due gruppi affinamente psichedelici e comunardi, è anche l’inquietante ma bellissima copertina che vede un uomo/donna (si dice sia il percussionista Shrat) dall’espressione non certo sorridente, armato di falce a mo’ di Nera Signora, mentre si muove minaccioso/a in un ambiente sfumato e senza precise connotazioni reali.
Ho consumato disco e puntine a furia di ascolti, fino a ricomprarmene alcuni anni fa una nuova copia in CD. Questo la dice lunga sulla mia ammirazione per quest’opera, anche se trattasi di ammirazione oserei dire ‘intellettuale’: il mio sincero affetto per gli Amon Duul II e la mia partecipazione più emotiva nei loro confronti va ad altre due opere certamente ‘minori’ e meno note quali “Wolf City” e “Tanz der lemminge” gli album con cui li ho conosciuti...(ah, l’imprinting... l’imprinting...)
Album seminale si è detto di “Yeti” e punto di riferimento musicale della controcultura freak di un’epoca post sessantottina anche se per correttezza bisogna ricordare che al di là di quel settanta/ottanta per cento che lo vuole opera epocale e imprescindibile, c’è un bel venti/trenta per cento di negazionismo sia di pubblico e critica che lo vede carico di dilettantismo e di superbia, di eccessive ridondanze e di prolissità. Come quasi sempre, forse la verità sta nel mezzo.
Maurizio Pupi Bracali
Cerberus
Eye- Shaking King
AMON DUUL II: Yeti
C’è chi dice che i batteristi sono gli elementi meno importanti nell’ambito di un gruppo rock: se non ci fosse stata la fuga precipitosa di Peter Leopold dalla prima incarnazione degli Amon Duul, i successivi Amon Duul II da lui creati, con musicisti completamente differenti, non sarebbero mai esistiti e “Yeti” ed altri ottimi lavori del rock tedesco non avrebbero mai visto la luce.
Dopo lo scisma messo in atto dal transfuga Leopold la band primigenia dopo alcune poche cose di misticheggiante intransigenza permeate di un certo interesse evaporò nel nulla, mentre gli Amon Dull II proseguirono il loro cammino costellando quasi tutti gli anni settanta con diverse pregevoli e autentiche perle di musica informale ed evocativa seguite da una bigiotteria ovviamente non alla stessa altezza ma comunque quasi sempre sopra la sufficienza.
Dopo “Phallus Dei”ottimo album del 1969 già annunciante il manifesto programmatico della freakerie degli Amon Duul II, nel 1970 avviene l’esplosione cosmica con la pubblicazione del mastodontico “Yeti”, disco composito, debordante nelle sue quattro stupefacenti facciate, entrato di forza e probabilmente a ragione nell’immaginario collettivo della cultura alternativo-psichedelica dell’epoca.
E’ una musica per quegli anni dirompente dove la forma canzone ‘cosìcomenoilaconosciamo’ viene accantonata a favore di improvvisazioni free-form, canzoncine folk sghimbescie, ballate flautate e/o spigolose e strumentali orientaleggianti di grande suggestione, il tutto accomunato da una produzione grezza (per non dire rozza: oggi si direbbe lo-fi) che non inficia il prodotto finale, anzi, lo pervade di un’aura di sincera spontaneità, ulteriore valore aggiunto.
Gli strumenti presenti nel disco sono molteplici e accanto alle più tradizionali chitarre e tastiere (queste ultime peraltro non troppo in evidenza) appaiono laceranti violini, percussioni orientali e un flauto vellutato che accreditato a un non meglio identificato Thomas conduce l’ondeggiante e delicata ballata Sandoz in the rain, suonata e cantata anche da altri carneadi quali tale Ulrich, al basso e un certo Rainer alla chitarra acustica e voce (praticamente un’altra band: e questo la dice lunga sul creativo pressapochismo freak degli Amon Duul II dove nemmeno Renate Knaup è accreditata col cognome)
Anche le parti vocali non sono certo convenzionali andando dal declamato stentoreo dei cantanti maschi (chi canta cosa?) che fa venire in mente la tradizione degli antichi lieder germanici ai gorgheggi di Renate Knaup che uniti ai suoi strepitii
quasi infantili la fanno sembrare una sorta di Yoko Ono ante-litteram.
E, visto che come al solito si cade sui riferimenti, quelli dell’epoca accomunano gli Amon Duul II ai californiani Jefferson Airplane e agli inglesi Hawkwind, anche se io personalmente e modestamente non vi ho mai trovato nulla di musicalmente similare; forse un’attitudine comunarda e fricchettona che pervadeva l’aria del tempo creando bands i cui componenti oltre che sodali in musica erano socialmente uniti in famiglie allargate e convivenze comuni: di questo fenomeno gli Amon Duul II sono stati in Europa, almeno per un certo periodo, una delle massime forme di espressione.
A me piace invece, anticonformisticamente azzardando, accostare “Yeti” come un rispecchiarsi, probabilmente inconsapevole, nella sgangheratezza e nell’accozzaglia frammentaria di un “Trout Mask Replica” di Captain Beefheart (uscito un anno prima), pur con le debite differenze del caso e non solo geografiche.
Se qualche lettore di questa recensione non ha mai ascoltato Yeti, ma conosce i momenti più rumoristi e improvvisativi dei Pink Floyd pompeiani potrà forse farsi una piccola idea di ciò che, almeno in parte, scaturisce dai solchi di questo album epocale.
Terminato il gioco delle somiglianze non resta che segnalare (come se fosse facile!) i momenti più salienti del disco, tra i quali metterei senz’altro la micidiale mini suite Soap Shop Rock che apre le danze di questo album immaginifico, la breve, quasi acustica e indianeggiante She Came Through the Chimney, il pesante magnifico deragliamento di Archangels Thunderbird, e naturalmente il fardello cosmico dei diciotto minuti di folle improvvisazione che titolano l’album e che in origine ne rivestivano l’intera terza facciata: tutta l’opera comunque è da decifrare come un lungo unicum, un unico delirante e multiforme serpente sonoro dalle cui spire avvolgenti e cangianti è difficile districarsi.
Le cronache dell’epoca narrano che le sedute di registrazione di Yeti videro i componenti del gruppo agire e muoversi in preda all’ebbrezza di sostanze psicotrope come da copione per un certo tipo di musica e di bands non solo dell’epoca. Questa potrebbe già essere una chiave di lettura per interpretare lo psichedelismo vorticoso delle chitarre elettriche urticanti, dei miagolii stridenti dei violini e dei canti ‘stonati’ che fuoriescono dai solchi di Yeti: se non ci fossero il rischio e il timore di fare apologia di reato si potrebbe suggerire che anche l’ascolto...
A sottolineare una certa inquietudine che traspare da alcune pagine di questo spartito più o meno improvvisato dove manca, per esempio, l’umorismo dei Gong o la beata solarità dell’Incredible String Band, per citare altri due gruppi affinamente psichedelici e comunardi, è anche l’inquietante ma bellissima copertina che vede un uomo/donna (si dice sia il percussionista Shrat) dall’espressione non certo sorridente, armato di falce a mo’ di Nera Signora, mentre si muove minaccioso/a in un ambiente sfumato e senza precise connotazioni reali.
Ho consumato disco e puntine a furia di ascolti, fino a ricomprarmene alcuni anni fa una nuova copia in CD. Questo la dice lunga sulla mia ammirazione per quest’opera, anche se trattasi di ammirazione oserei dire ‘intellettuale’: il mio sincero affetto per gli Amon Duul II e la mia partecipazione più emotiva nei loro confronti va ad altre due opere certamente ‘minori’ e meno note quali “Wolf City” e “Tanz der lemminge” gli album con cui li ho conosciuti...(ah, l’imprinting... l’imprinting...)
Album seminale si è detto di “Yeti” e punto di riferimento musicale della controcultura freak di un’epoca post sessantottina anche se per correttezza bisogna ricordare che al di là di quel settanta/ottanta per cento che lo vuole opera epocale e imprescindibile, c’è un bel venti/trenta per cento di negazionismo sia di pubblico e critica che lo vede carico di dilettantismo e di superbia, di eccessive ridondanze e di prolissità. Come quasi sempre, forse la verità sta nel mezzo.
Maurizio Pupi Bracali
Cerberus
Eye- Shaking King