Ci sono gruppi che sin dall’inizio sono riusciti ad ottenere un suono talmente personale che li rende inconfondibili, se poi aggiungiamo una voce particolare come quella di George Gallacher il gioco è fatto: parliamo dei Poets, l’orgoglio di Glasgow, nella Scozia tra il 1964 ed il 1967. Il gruppo si era formato nel 1963 e già allora registrò demos con brani originali: secondo lo stesso George fu un processo abbastanza naturale per lui ed il chitarrista Hume Paton, entrambi appassionati di blues; una caratteristica da non sottovalutare per quegli anni, se si pensa che gli stessi Beatles ma soprattutto gli Stones pubblicheranno in quel periodo tantissime covers.
A proposito di questi ultimi, fu grazie al loro manager Andrew Loog Oldham che la storia dei Poets ebbe una svolta. Trovandosi in Scozia per sposare una ragazza considerata minorenne in Inghilterra, al suo arrivo rimase incuriosito da una foto del quintetto Scozzese ritratto nella rivista Beat News in camici mutuati dallo stile del celebre poeta scozzese Robbie Burns. Senza perdere tempo il famoso manager si ritrovò una mattina a discutere il futuro del gruppo nel salotto dei Gallacher con un George assonnato, reduce da un’esibizione con la band durata tutta la notte. Nel giro di un paio di settimane dopo un’audizione a Glasgow, i Poets stavano già incidendo il loro 45 di debutto Now we’re thru uscito nell’autunno del 1964 che lo stesso John Lennon definirà stranissimo. Raggiunse il numero 30 della hit parade britannica, non male per essere il primo disco. Seguiranno apparizioni televisive in Scozia dove ancor prima dell'arrivo di Oldham contavano di un solido seguito di fans, come nel famoso Ready Steady Go!, seguito da tutta la gioventù britannica. Anche i giovani Americani potranno conoscerli grazie a Shindig! il cui filmato è per ora l’unico di quelle apparizioni televisive ad essere sopravvissuto fino ai giorni nostri.
Il gruppo sembrava perfetto per Oldham che intendeva ricreare il famoso “wall of sound” del suo idolo Phil Spector riempiendo d’eco il già atmosferico debutto. I Poets sono tra i primi gruppi a fare uso della 12 corde, costruendo trame misteriose e malinconiche con i due chitarristi Hume Paton e Tony Myles, i principali artefici del suono Poets ed insieme a George autori delle 6 canzoni che costituiranno i loro primi 3 singoli. Non è facile descrivere i Poets, le loro melodie sono accattivanti ed in generale possiedono uno spleen di tristezza e malinconia: spesso sono stati paragonati agli Zombies, in realtà sono piuttosto differenti per l’assenza totale dell’organo, strumento dominante nei dischi del gruppo inglese. La loro passione per la musica nera sembra fondersi col passato celtico, dando vita ad un’insolito ibrido di elementi folk e blues.
That’s the way it’s got to be (Feb 65) il secondo singolo, è spesso considerato anche dallo stesso gruppo il migliore della loro discografia; si apre con un riff di basso straordinario: sappiamo ora che alla parte del bassista John Dawson si aggiunse un basso a 6 corde suonato da John Paul Jones allora un noto session man. Grande anche il finale con maracas e la voce di George in evidenza che mostra il lato più “wild” dei Poets. Si racconta che dal vivo a differenza dei loro dischi suonassero un R&B più frenetico nello stile dei Pretty Things che ammiravano e con cui ebbero la fortuna di dividere il palco. In queste occasioni ai loro brani originali si aggiungevano covers come per esempio In the midnight hour di cui esiste un raro documento filmato da un fan scozzese del periodo! Qualche mese dopo l’uscita del secondo 45 è la volta di I am so blue, un ritorno alle atmosfere più riflessive, malinconiche del debutto che in ogni caso si ritrovano sul retro del singolo precedente con la stupenda e delicata I’ll cry with the moon arricchita da curiose percussioni. Di questo periodo sono i primi cambi: esce Alan Weir, batterista originale ed entra Jim Breakey, da lì a poco anche Tony Myles lascerà il gruppo, Fraser Watson sarà il nuovo chitarrista. Verso la fine del 1965 la nuova formazione registra vari pezzi tra i quali un paio di brani che rimarranno inediti per circa 30 anni, e risulta incredibile che ad esempio I’ll keep my pride non venga pubblicata come 45, così come It’s so different now, soprattutto alla luce di quello che sarà il prossimo disco, Call again (ottobre 65), non un brutto brano ma forse non adatto ad essere il lato A. Il retro Some things I can’t forget é una proposta più convincente, in ogni caso un’altro bel dischetto. In quei giorni si susseguono annunci e previsioni circa la pubblicazione del primo album dei Poets prima del Natale, tutte rivelatesi infondate.
Call again uscirà per la nuova etichetta Immediate di Oldham e continua la collaborazione Gallacher-Paton autori anche del lato B del 45. Con il senno di poi si potrebbe pensare che il gruppo avrebbe potuto avere più fortuna senza Oldham, così come altri artisti che rimasero all’ombra degli Stones. Lo stesso produttore ha dichiarato che non ha mai potuto dedicare ai Poets il tempo e le energie che meritavano poiché si concentravano tutte sugli Stones, tanto che per il singolo successivo la produzione venne affidata a Paul Raven, qualche anno più tardi meglio conosciuto come Gary Glitter. Nel gennaio del 1966 esce il 5° singolo e per la prima volta si opta per una cover: si tratta di Baby don’t you do it, dal repertorio di Marvin Gaye di cui esistono versioni più conosciute, registrate successivamente sia dagli Small Faces che dagli Who. Quella dei Poets è da molti considerata superiore o in ogni caso differente. La versione pubblicata non piacque ai membri della band: secondo loro il missaggio e produzione di Raven la rovinarono completamente; fará la sua apparizione nel CD “Scotland’s No.1 Group”. Purtroppo a livello di vendite le cose non cambiano e, tipico dei gruppi del periodo, si trovano a percorrere l’intero paese in tours che li rendono esausti con tanti kilometri da macinare ed itinerari male organizzati.
George intanto aveva già annunciato la sua uscita dal gruppo e verso la fine dello stesso anno Hume Paton lascia e con lui la 12 corde che tanto aveva caratterizzato il loro suono fino ad allora: a questo punto non rimane nessun membro originale dato che anche John Dawson se ne va; Andi Mulvey rimpiazzerà George e nel 1967 esce il singolo Wooden Spoon, in tutto e per tutto il prodotto di un’altro gruppo, un brano con una sonorità abbastanza robusta e che decisamente sta virando verso la psichedelia, cosa ancor più evidente sul retro, dove troviamo In your tower con le sue atmosfere vagamente orientaleggianti. Tutte e due le songs verranno riscoperte negli anni '80 grazie a raccolte come “Chocolate Soup for Diabetics” e “The British Psychedelic Trip”: alcune delle canzoni dei Poets originali appariranno su “Rubble vol.5” iniziando un’epoca di rinascimento che culminerà con la raccolta su CD “Scotland’s No.1 Group” (1997): oltre a riunire i 6 singoli del gruppo include una manciata di demos ed i due inediti sopraccitati, e finalmente avrà l’approvazione del gruppo. Un lavoro che si deve soprattutto alla passione e perseveranza di un’altro scozzese, Lenny Helsing di cui parleremo presto su Distorsioni.
La saga dei Poets non finisce con Wooden Spoon, molte saranno le ramificazioni e i progetti successivi cui parteciparanno i vari membri del gruppo, compreso un ultimo singolo uscito all’inizio degli anni '70 per promozionare la bibita Strike Cola! Ricordiamo i Pathfinders con Fraser Watson che poi si chiameranno White Trash e Trash per il loro secondo ed ultimo 45 su Apple records.
Esiste un bel singolo (Locked in a room/ Alone am I, 1968) di un gruppo irlandese chiamato Poets che spesso viene confuso con i nostri protagonisti ed aggiunto alla discografia: si tratta solo di un'omonimia.
Chissà sia arrivato il momento per una nuova e definitiva raccolta dei Poets, che consacri il loro magico suono alle nuove generazioni cosí come ai vecchi fans: l’etichetta americana Distorsions (eh sí!)che nel 1995 con l’aiuto di Lenny pubblicó una raccolta su vinile anteriore al CD, ha annunciato un progetto in tal senso, prendendo il nome da un inedito venuto alla luce tempo fa, Try me again.
Aldo Reali
The Poets
The Poets discography
"Now We're Thru" / "There Are Some" (Decca F11995, October 1964, UK Singles Chart: #31[1])
"That's The Way It's Got To Be" / "I'll Cry With The Moon" (Decca F12074, February 1965)
"I Am So Blue" (Paton/Gallacher/Myles) / "I Love Her Still" (Decca F12195, July 1965)
"Call Again" (Paton/Gallacher) / "Some Things I Can't Forget" (Paton/Gallacher) (Immediate IM006, October 1965)
"Baby Don't You Do It" (Holland/Dozier) / "I'll Come Home" (Gallacher/Paton)(Immediate IM024, January 1966)
"Wooden Spoon" / "In Your Tower" (Decca F12569, February 1967)
"Heyla Hola" / "Fun Buggy" ('Strike Cola' promotion single, circa 1970/71)
“Scotland’s No.1 Group” (1997, Dynovox)
1 commento:
Vorrei ringraziare a Lenny Helsing per averci "prestato" alcune delle foto:la seconda per esempio, in bianco e nero, una delle prime foto del gruppo, siamo nel 1964 e George in particolare ha dei capelli lunghissimi! Un'altra molto interessante, é una cartolina (al lato dice Poets, Decca & Immediate records) che mostra il gruppo nel 1966 subito dopo l'uscita di George e prima che se ne andassero gli ultimi 2 membri originali: una formazione che non é presente su nessun disco: dopo Baby don't you do it e molto prima di Wooden Spoon.
La versione di Baby...sul CD é quella originale del gruppo che fu poi remixata e messa sul mercato.
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