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lunedì 17 gennaio 2011

KING CRIMSON - Quattro grandi album: "In The Court Of Crimson King", "Red", "Discipline", "Thrak"

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Pochi sono i gruppi che come i King Crimson hanno saputo rinnovarsi negli anni (e dal loro primo disco ne sono passati una quarantina!), proponendo ogni volta un prodotto musicale innovativo e inclassificabile.
Li troviamo nella storia della musica rock-progressive inglese, ma solo fino al 1971! Perchè, già da “Lark’s Tongues In Aspic” (1973) non sono catalogabili sotto l’etichetta di 'progressive'. In questa sede mi soffermo su quattro dei loro dischi, tra i più rappresentativi e ai quali tengo molto.

"In The Court Of Crimson King" (Island Records, 1969)
Il loro primo album, inciso per la Island Records, è datato 1969: “In the Court of the Crimson King”. Nella formazione troviamo, l’anima del gruppo, il deus-ex-machina Robert Fripp alle chitarre, mellotron e organo; Greg Lake, basso e voce; Ian McDonald, fiati e tastiere; Michael Giles, batteria; Peter Sinfield, paroliere. La cosa che mi ha sempre colpito prima di tutte è la splendida e bizzarra copertina, dipinta da Barry Godber (1946-1970), scomparso prematuramente pochi mesi dopo la pubblicazione dell'album.
Nota quasi quanto l'album, la copertina esterna raffigura il volto ravvicinato di un uomo che emette un urlo di terrore; i tratti somatici sono deformati e il colore dominante è il rosso cremisi (in inglese: crimson).
La prima traccia dell’album è 21st Century Schizoid Man, che fu l'ultima ad essere incisa: registrata in presa diretta in una sola sessione (a eccezione della voce e di due linee, rispettivamente di chitarra e sax) è caratterizzata da un uso potente della distorsione sia nella chitarra che nella voce, e da un incedere marziale e aggressivo che fa eco a un testo sull'alienazione dell'uomo nel Terzo Millennio. Prima di ritornare al tema principale, la digressione culmina in un veloce break all'unisono. Il finale è volutamente cacofonico e tronco, quasi a suggellare l'intento 'schizzato' - tanto nel testo quanto nella musica - di tutto il brano. “Sangue tortura filo spinato/Pira funebre dei politicanti/Innocenti stuprati col fuoco del napalm/Uomo schizoide del XXI° secolo” urla Greg Lake.
Dopo l’incipit impressionante e urlato, la voce di Lake ci culla nella rilassante I Talk to the Wind: “Parlo al vento/le mie parole sono spazzate via/Parlo al vento/il vento non sente/il vento non può sentire”. Un rullo di timpani introduce il terzo e ultimo brano del lato A, Epitaph. Il mellotron accompagna i versi di Lake: “La confusione sarà il mio epitaffio”. Il lato B è aperto dalla lunga Moonchild. La prima parte, cantata, è una breve ballata accompagnata dall'arpeggio di Fripp e dalle percussioni in sordina di Mike Giles: “Adorabile Figlia della Luna/Che sogna all'ombra di un salice”. Il resto del brano è una lunga digressione, totalmente improvvisata, affidata ai soli Fripp (chitarra), McDonald (vibrafono) e Giles (percussioni).
Il brano conclusivo, che da nome anche al disco, è In The Court of the Crimson King. Un inizio sinfonico precede la voce di Greg Lake: “Il coro canta dolcemente/tre ninne nanne in un linguaggio antico/alla corte del Re Cremisi”. Rimane senza dubbio l’album più originale ed innovativo nella marea del rock-progressive inglese.

"Red" (E.G. Records, 1974)
Settimo album dei King Crimson: la copertina, uno sfondo nero, oscuro, ci presenta Fripp insieme alla nuova formazione: John Wetton (basso e voce) e William Bruford (batteria e percussioni). Questo disco influenzerà massicciamente tutta la loro discografia successiva, creando un trait d’union tra la produzione degli anni ’70 e la più recente. Il disco si apre con il brano che da titolo all’album, Red. Un solo di chitarra in crescendo ci introduce nell’atmosfera goticheggiante ed oscura del brano e di tutto il disco. La batteria precisa e il basso ossessivo accompagnano il tutto. Gli stessi suoni li ritroveremo venti anni dopo nel disco “Thrak”. Il secondo brano Fallen Angel, è aperto dal violino di David Cross che precede la voce di Wetton e gli arpeggi classici della chitarra di Fripp. Un momento di pausa e di calma dopo la tempesta. Ma ancora per poco. Dopo soli due minuti, un giro di chitarra appena elettrificata di Fripp ed il sax di Mel Collins mutano l’atmosfera del brano: “Un'esistenza trascorsa nelle strade della città ci ha reso persone come siamo/angeli caduti”. Dieci note cupe di basso, introducono la terza traccia del disco, One More Red Nightmare.
A seguire le matematiche e marziane percussioni di Bruford. Dopo quaranta secondi la voce di Wetton squarcia l’oscurità: “Un altro incubo rosso”. La chitarra effettata di Fripp e l’alto sax di Ian McDonald creano un tessuto sonoro davvero ipnotico. Providence è un'improvvisazione registrata dal vivo al Palace Theatre di Providence, Rhode Island (U.S.A.) il 30 giugno 1974. Scritta e suonata da David Cross. Un accumularsi di tensione, creata dal cinematografico violino di Cross e dalle bizzarre percussioni di Bruford, in un crescendo al limite della cacofonia. La traccia che chiude il disco, Starless, è di una bellezza disarmante. Il mellotron di Fripp e la batteria non invadente di Bruford aprono la traccia, seguiti da un solo bassissimo di chitarra elettrica. L’oboe di Robin Miller accompagna la voce sofferta di John Wetton: “Occhi blu, cielo d'argento/Svaniscono nella tomba/Verso una grigia speranza che ammette di essere una Bibbia Nera e Senza Stelle". Tutto questo fino alla metà del quarto minuto, dove il basso preciso di Wetton cambia registro musicale. Due note di chitarra scarnificata sino al midollo di Fripp creano il ritmo, seguite da stridenti percussioni di Bruford. L’atmosfera ritorna di nuovo gotica, oscura.
In un crescendo di otto minuti, stoppati dalla chitarra di Fripp che crea un’atmosfera elettronica e robotica, che dirige il tutto, fino a ritornare alla tranquillità iniziale, esplodendo nel solo di sax di Collins. La cosa che colpisce di più in questo splendido disco è la miriade di suoni e variazioni di note in un solo brano. La magia contenuta in questo album non la ritroveremo più, se non a sprazzi, per fare spazio ad una freddezza compositiva, sempre di alto livello stilistico.
C’è un aneddoto curioso riguardante questo disco. Il produttore dei Nirvana, Butch Vig, ha in tempi recenti confidato personalmente a John Wetton la grande influenza che Red aveva avuto sulla sua generazione e sul suo lavoro e quanto quest'album fosse caro anche allo stesso Kurt Cobain (da un’intervista a Robert Fripp: ).

"Discipline" (E.G. Records, 1981)
E' il disco del cambiamento (come lo era stato “Lark’s Tongues in Aspic”). La formazione è di nuovo mutata. Ad accompagnare Fripp e Bruford vi sono il chitarrista e cantante Adrian Belew ed il bassista e stickista Tony Levin (noto session-man di Peter Gabriel). La precedente esperienza nei Talking Heads da parte di Adrian Belew sembra abbia influenzato notevolmente il nuovo sound del gruppo. A favore di una new-wave dal sapore orientaleggiante. Elephant Talk apre il disco. Gli intrecci delle due chitarre, provati qui per la prima volta, diverrano il marchio di fabbrica del nuovo corso del Re Cremisi. La voce stralunata e pazzoide di Belew canta “Parlare, è solo parlare, argomenti, gli accordi, consigli, risposte”. Frame by Frame è il secondo brano. Un basso impazzito e la chitarra effettata di Belew introducono la traccia. Una batteria martellante e dal sapore 'eighty'. Un intreccio di chitarre sinuose suonate all’unisono. La voce caraibica di Belew. Matte Kudasai è una ballata dal sapore tropicale. Il suono effettato della chitarra di Fripp che ricrea una tastiera diverrà famoso come 'soundscapes'. “Eppure, dal vetro della finestra/Il dolore, come la pioggia che sta cadendo/Lei aspetta in aria/Matte Kudasai”.
L’incedere ritmato del basso di Levin e della chitarra di Fripp aprono il quarto brano del disco, Indiscipline. Subito dopo, un solo elettrico di Belew sovrasta gli accordi geometrici della chitarra di Fripp. La voce recitata di Belew segue. Rilassata. Impazzita. Urlata. Quattro minuti e trentadue secondi di schizofrenia. Come a ricordarci che i tempi di “21st Century” non sono poi così lontani. Due chitarre che si rincorrono e coprono a vicenda; un basso elegante, Una batteria precisa al millesimo di secondo, un coro di voci: questo è Thela Hun Ginjeet. Sei minuti di maestria tecnica e genialità compositiva. The Sheltering Sky è la penultima traccia dell’album. Strumentale. Percussioni soft. Una chitarra caraibica. Un basso che sembra parli. Una chitarra elettrica effettata come uno strumento a fiato. Due minuti dopo, un crescendo di chitarre all’unisono. I 'soundscapes' di Fripp.
Resta il vertice di tutto il disco. Otto minuti di pura poesia e catarsi sonora. Discipline è il brano conclusivo dell’album. Le solite chitarre che costruiscono un tappeto sonoro intrecciato. Un basso avvolgente. Le percussioni in sordina di Bruford. Il ritmo accelera. A tratti può sembrare un freddo esercizio di bravura tecnica, ma qua e là rivela la genialità di un gruppo, soprattutto della sua anima sempre presente: Robert Fripp, che non si vergogna di azzardare ed innovare, entrando in generi diversi, assimilandoli a proprio piacimento, ricreando un suono unico ed inimitabile.

"Thrak" (1994, Virgin Records)
Sono passati dodici anni dal disco“Beat” (E.G. Records, 1982), e quando tutti pensavano che i King Crimson fossero morti eccolì resuscitare con una formazione nuova di zecca. Oltre a Fripp (onnipresente) e al compagno Belew, (ri)troviamo Bill Bruford alla batteria acustica, accompagnato dalla new-entry Pat Mastelotto alla batteria elettronica, (ri)troviamo Tony Levin al basso, accompagnato dal giovane Trey Gunn allo stick.
L’album in questione è “Thrak” (Virgin Records), e l’anno è il 1994. Registrato ai Real World Studio di Peter Gabriel, questo disco ripropone il gruppo totalmente rinnovato nel sound come nella formazione. L’incipit, VROOM, inizia con un violino simulato con la chitarra elettrica, per poi esplodere in un solo di chitarra, che riecheggia il sound di “Red”. E così è per tutto il disco. Le influenze del disco del ’74 sono fortissime ed evidenti. Le due batterie si accavallano senza stridere. La chitarra sommessa di Belew è accompagnata dal basso sinuoso di Levin e dallo stick di Trey Gunn. A seguire, un prosieguo dell’incipit, Coda: Marine 475. Un arpeggio di chitarra acustica. Le due batterie che incedono senza sosta. Il solo elettrico della chitarra di Fripp. Una voce registrata. Un crescendo senza pausa.
Il terzo brano è Dinosaur. Il classico intro da strumenti ad archi ricreati con la chitarra, è seguito da due accordi suonati da Belew, che canta come non lo abbiamo mai sentito fino ad allora. Forti i richiami al periodo “eighty” del gruppo. La quarta traccia, Walking On Air, è una ballata in stile “Discipline”. Si dimentica facilmente. Quella che colpisce è la quinta traccia. B’Boom. Un solo di batteria da brivido. Un intro di 'soundscapes di Fripp apre le danze delle due batterie. Stupendamente suonate insieme. Timpani. Crash. Ride. Rullanti. Gran casse. Tutto con un ritmo ed una eleganza difficilmente riscontrabili in altri musicisti. Il sesto brano, THRAK, ripropone le sonorità dark di “Red”, con una veste nuova. Una chitarra cattivissima apre il brano. Seguita da una batteria ed una voce in vocoder. Tre minuti di schizofrenia pura. People è un brano allegro, molto ritmato, che richiama alla memoria “Three of a Perfect Pair” (E.G. Records, 1984). Di facile ascolto, ma sempre originale. L’altra ballata del disco è One Time. Un basso elegante e una batteria precisa introducono un arpeggio di chitarra acustica e la voce sofferente di Belew. Interessante. Altro brano sulla falsa riga della precedente People è Sex Sleep Eat Drink Dream. Un ritmo molto funkeggiante accompagna la voce contraffatta e suadente di Belew. Chiude il disco, VROOM VROOM: Coda.
La pace iniziale è squarciata dalle chitarre di Fripp e Belew. Un ritmo ossessivo accompagna tutto il brano. Proponendo una rivisitazione di Red in chiave moderna. E’ impressionante la bravura con la quale è suonato tutto il disco. L’originalità dei testi. Capolavoro? Poco ci manca. Sicuramente è all’altezza del loro glorioso passato. Mai stanchi di rinnovarsi e proporre musica diversa e inclassificabile.
Dopo quasi quarant’anni i King Crimson continuano a fare dischi. L’ultimo risale al 2003, “The Power To Believe” (Sanctuary Records) e non è niente male. Aspettiamo ansiosi loro notizie. Sicuri che continueranno a stupire il loro numerosissimo pubblico di fan.
Edoardo “Voodoo” Petricca
King Crimson

3 commenti:

URSUS ha detto...

Ottime recensioni ! Mi piace la premessa perchè in poche parole fa capire quanto siano inutili,a volte,le classificazioni e le etichette...il termine "progressive" oggi viene usato in modo opposto a quello che era all'origine (ma capita anche con la psichedelia) perchè invece di evolversi verso nuovi spazi (appunto,come dice la parola stessa,PROGREDIRE) viene relegato ad uno schema.Infatti sento molti gruppi di "neo-prog" che sono una pallida imitazione dei loro primi album (piuttosto che dei Genesis o dei Yes) e questo è uno dei motivi per cui il grande pubblico continua a preferire gli album storici...c'è qualche eccezione anche nel nuovo,per fortuna,ma bisogna andarla a cercare con attenzione e qualche volta rischia di perdersi in mezzo a tanta mediocrità.

riverman206@yahoo.it ha detto...

Le recensioni sono ok, personalmente Fripp ed i King Crimson si sono allontanati dal mio cuore proprio dopo "Red", dopo ho continuato a comprare i loo dischi quasi per inerzia, gli ipertecnicismi seguenti per me sono spesso fini a sè stessi, anche se Discipline è sempre un signor disco...
Sicuramente avrei privilegiato a parte i primi 4 albums anche Lark's tongue in aspic (capolavoro 2 ) e.. anche se non è "progressive" in senso stretto non può prescindere da una scheda del gruppo...

Anonimo ha detto...

Ottimo lavoro, complimenti. Antonio

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