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sabato 4 settembre 2010
THE LYRES – On Fyre (Ace of Hearts- 1984) by Franco Lys Dimauro
Un disco e un uomo leggendari.
Jeff Conolly è un agitatore della scena di Boston, sin dai tempi in cui dire punk voleva dire essere messo al bando dalla gente comune e non finire sulle copertine delle ragazzine premestruate.
In quell’ inferno Jeff suona punk con in testa Stooges, Pretty Things, Sonics, Kinks, Chocolate Watchband, Troggs. La sua band si chiama DMZ. Non come DeliMitarized Zone ma come Down My Zipper. Tirami giù la cerniera.
In realtà la band esiste già, ed ha pure il suo bel cantante, tale Adam Schwartz. Ma Jeff si presenta nel loro garage durante le prove e gli ruba il microfono. Non per due pezzi, ma per due anni e mezzo buoni.
Alla batteria c’ è David Robinson, naufrago dall’ affondamento dei Modern Lovers.
Sono loro, i DMZ, il vero tassello che unisce la scena punk al garage rock degli anni Sessanta. Loro sono il “missing link”. Ma l’ anello si rompe presto. Due anni e mezzo, come dicevo. Poi la band si divide in due. Gli Odds da una parte, i Lyres dall’ altra. I primi non realizzano nulla, a parte un oscuro pezzo finito su una compilation della Throbbling Lobster. I secondi invece….
I secondi sono la nuova band di Jeff Conolly, inteso Monoman per la sua passione viscerale per i dischi in monofonia e per la strumentazione vintage: organi Vox e Farfisa ma anche qualche chitarra d’ epoca come la Danelectro appartenuta a Jonathan Richman spesso ritratta con orgoglio sulle copertine dei suoi dischi.
Con lui ci sono pure Rick e Paul della vecchia band. Ma il carisma di Jeff è tale da oscurare tutti. Il suono dei Lyres è l’ ideale proseguimento delle intuizioni dei DMZ, tale come poteva esserlo in piena febbre garage. Il suono dei Lyres in On Fyre ha perso i lineamenti da pub-rock per avvicinarsi a una forma di beat più classico, pieno di armonizzazioni figlie dei Kinks (I Confess, I ‘m tellin’ you girl).
E dei Kinks sono pure due delle cover scelte per affiancare i pezzi di Conolly: Tired of waiting for you e Love me til the sun shines.
Ma ci sono pure echi di Kingsmen, Seeds, ? & The Mysterians e Sonics a far capolino lungo tutto il disco.
Il Farfisa di Mono Man è ora il protagonista assoluto.
Un fischio penetrante che ti perfora i timpani e che diventa il tratto peculiare del suono dei Lyres malgrado il disco passi alla storia soprattutto per il tremolo devastante di Help you, Ann, straniante e circolare più di quello di Up in my mind degli Spontaneous Generation e per il riff martellante di Don ‘t give it up now oltre che per la bellissima I really want you right now aggiunta nell’ edizione europea.
Fieramente legato ai canoni del rock ‘n roll più squinternato degli anni Cinquanta e Sessanta Jeff seppe fare dei Lyres una band dal suono riconoscibilissimo, unico senza costringere i suoi compagni a vestirsi con in mano le vecchie foto degli Standells o degli Yardbirds ed evitando con cura di mettersi in posa per la foto di copertina di un suo disco. Incredibile.
Franco “Lys” Dimauro
Don't Give it Up Now--Live 1984
http://www.youtube.com/watch?v=2i2yrFMY3-U&feature=related
Help You Ann
http://www.youtube.com/watch?v=7LqF5P3Fa84
Lyres 1987 (Tv-Studio)
http://www.youtube.com/watch?v=mppygBFszNE&feature=related
What a Girl Can't Do
http://www.youtube.com/watch?v=QDyGiijA2Pk&feature=rec-LGOUT-exp_fresh+div-1r-8-HM
I Really Want You Right Now
http://www.youtube.com/watch?v=UOG_Mbbc-YI&feature=related
http://www.limbos.org/lyres/
http://www.myspace.com/lyresofficial
mercoledì 1 settembre 2010
New Releases from Screaming Apple: The Attention ! --- Miss Chain & The Broken Heels: On The bittersweet Ride
THE ATTENTION!: The Attention! (Screaming Apple-2010)
Grandi vibrazioni dall’Austria!!! Li aspettavamo al varco, dopo le ottime impressioni al concerto di inizio anno allo Shindy di Bassano ed ora eccoli qui col loro primo full-length.
Il nome è già un avviso da non prendere sotto gamba.
Beppe Badino, che è un artista della parola, vi parlerebbe di iridescenze freak e argentee vibrazioni soul dentro un sommergibile giallo che naviga nel mare psichedelico. Io che non ho questa abilità vi dico che il disco di esordio degli Attention! è una delle migliori raccolte di beat moderno ascoltate quest’ anno.
Un disco superlativo, con le radici ficcate nelle zolle di Animals, Los Salvajes, Eyes e Primitives e i rami che sfiorano le fronde sempreverdi dei primi Creeps e dei primi Mainliners, tanto per restare col culo in Europa.
Un sound ispido e capellone. Una di quelle robe che, se hai un cuore, se lo compra. Con un suono fitto fitto di handclapping, armoniche blues e cembali che scorazzano su questi rigogliosi cespugli di beat con un piede nel blues, uno nello yè-yè e uno nel soul. Cosa dite? Ho sbagliato a contare i piedi? Non direi. Voi provate a mettere su il disco, vedrete che una terza gamba spunta pure a voi.
MISS CHAIN & THE BROKEN HEELS: On the Bittersweet Ride (Screaming Apple-2010)
Fermi! Nessuno compri delle scarpe nuove a Miss Chain!
Malgrado i tacchi rotti la missione della bella Astrid non accusa cedimenti.
E qui c’è il power-pop da salvare, per Dio.
Milioni di dischi di cui nessuno di ricorda più ma che ci hanno infilato il buonumore su per il buco del culo quando tutti sembravano latrare come dobermann inferociti. Corvettes, Catholic Girls, Pandoras, le giovani, enormi e bellissime Bangles. I “forati” dei cataloghi per corrispondenza, quelli che trovavi dentro le buste sorprese a fianco di improbabili dischi di elettronica casalinga e country da bovari. Solo che la signorina Catena e i tre ragazzotti che l’accompagnano non vengono dalla California o dalle coste australiane ma dall'asse Veneto-Lombardo anche se infilano un disco con armonizzazioni fresche come un salvaslip (splendide quelle di Flamingo e Sun Goes Down) e una chitarra che veleggia limpida dal jingle-jangle al surf e che spacca il culo a tante band che civettano col female-pop. Discone dell’estate, se mi permettete.
Franco Lys Dimauro
The Attention!: Ace FaceThe Attention: Gloria
The Attention!: Shake!
Miss Chain: Last Song
http://www.youtube.com/watch?v=YvTYC4PaYcY&feature=related
http://www.myspace.com/misschainandthebrokenheels
Miss Chain: Flamingo
http://www.youtube.com/watch?v=2vTw4XJhC2w&feature=related
martedì 31 agosto 2010
BOOK REVIEWS: "EIGHTIES COLOURS" di Roberto Calabrò (Coniglio Editore - 2010) by Franco 'Lys' Dimauro
Eighties Colours è la storia di una rivoluzione.
Una rivoluzione perpetrata, e scorrendo queste pagine se ne afferma il sospetto, con un esercito esiguo (un centinaio di nomi in tutto tra musicisti, giornalisti, produttori e “professionisti” del settore), scarsissimi mezzi, moltissima passione e la convinzione netta di essere dalla parte del giusto.
Il giusto, allora, era donare al rock la sua essenzialità primordiale spogliandolo dai vestiti sintetici dell’ elettro-pop.
Per farlo era indispensabile riportare indietro le lancette del tempo. Sorpassare in controsenso le derive post-punk che erano degenerate nella new wave glaciale dei primi anni Ottanta, le maree furiose dell’ hardcore e del punk, risalire le correnti del prog e dell’ hard rock come salmoni pronti a deporre le uova nel posto giusto e infine trovarlo, questo posto giusto, nel rock americano ed europeo dell’ epoca beat e psichedelica. Fu questa esigenza ad innescare, un po’ ovunque, le guerre del Paisley Underground e del neo-garage. Gli avamposti italiani, questa volta, non si fecero trovare impreparati. Per niente.
Del resto molte matricole avevano fatto il loro addestramento reclute nei casermoni del punk dove vigeva la legge del DIY. Sapevano dunque darsi da fare con i mezzi allora a disposizione. Annunci, lettere, volantini, telefonate.
Molto inchiostro, molte parole, molta benzina in quegli anni. E, dopo tanto tempo, di nuovo….tanti Colori!
Roberto Calabrò ripercorre quei sei anni con l’ entusiasmo che gli è proprio, con l’ impeto di chi li ha vissuti in prima persona, di chi ha visto nascere e morire le sue band del cuore, quelle per le quali avresti sempre e comunque trovato un posto dove dormire o un pasto caldo, se ce ne fosse stato bisogno.
Quelle per cui avresti ipotecato casa pur di comprare un loro disco, se papà e mamma te lo avessero concesso.
E adesso che la musica non si compra più, che ci si è dimenticati per anni di far riparare la piastra per i nastri TDK o di comprare una nuova puntina Shure e che ci pare sempre più incredibile credere che anche noi siamo vissuti in un’ epoca dove non esistevano il PayPal, l’ email, Facebook, Youtube, Myspace, il PostePay, l’ I-Phone, l’ I-Pod, gli MP3, ora che ci pare davvero improbabile poter spedire una lettera alla Casella Postale 144 di Pavia con una banconota occultata dentro per ricevere, dopo due mesi, uno di quei fantastici gingilli che ci facevano venire la pelle d’ oca.
Un 45 giri. Un cerchio di vinile nero da far ruotare su un piatto mentre il mondo restava fermo tutt’ intorno. Un piccolo manufatto con qualche errore di stampa, senza bollino SIAE e senza nessun codice a barre. Ora che tutto questo sembra un corto circuito alle pacchiane comodità del nostro presente, Eighties Colours aggiunge un altro colore alla tavolozza di quegli anni: quello della nostalgia.
Eppure Calabrò non sceglie il taglio nostalgico ma quello celebrativo e documentaristico. Tutte le uscite discografiche del periodo vengono analizzate con qualche commento personale o attraverso le lenti dei musicisti, oppure spulciando tra le recensioni dell’ epoca, perlopiù tratte da Rockerilla, il mensile che grazie al trasporto di Claudio Sorge e Federico Ferrari si fece portavoce del rinascimento garage e psichedelico italiano e per il quale dal ’96 lo stesso Calabrò finirà per scrivere.
Il libro, ricco di fotografie e copertine del periodo, indaga sul fenomeno partendo dal 1985 e scegliendo di analizzarlo anno per anno.
Si inizia con “La nascita della scena” che documenta i centri geografici nevralgici per la fioritura del fenomeno: la Torino dei No Strange e Sick Rose, la Bologna degli Allison Run e degli Ugly Things, la Roma dei Technicolour Dream, la Toscana di Liars, Useless Boys e Pikes in Panic, la Milano dei Pression X e dei Four By Art, la Piacenza dei Not Moving e identifica proprio nell’ omonima compilation curata da Claudio Sorge l’ uscita-chiave dell’ intera scena.
Il secondo capitolo è quello consacrato a “I primi dischi”. Che sono spesso i più importanti ma che sbattono il muso sul muro di incompetenza di studi di registrazione, produttori e fonici che hanno scordato cosa voglia dire far suonare uno strumento che non sia un synth o una batteria elettronica. Prova ne siano l’ album dei Technicolour Dream o quello degli Out of time, soffocati entrambi da produzioni incerte, acerbe, ingenue, inadatte.
Si prosegue con “L’ esplosione della scena”, il capitolo dedicato al 1986, l’ anno d’ oro del garage punk mondiale e della scena psych italiana: escono Faces dei Sick Rose e Sinnermen dei Not Moving ma pure il secondo album dei Four By Art e il debutto folgorante dei BooHoos, esordiscono i grandi Pikes in Panic, gli enormi Birdmen of Alkatraz. La scena è un tino in fermentazione. La rete si allarga, comincia a guadagnare rispetto e visibilità anche fuori confine.
Il quarto capitolo fotografa “La seconda ondata” ma registra anche le prime spaccature importanti. Nascono le prime band “satellite”: piccole masse lanciate dalla forza centrifuga delle band madre e dai primi scontri di ego: come gli Steeplejack staccatasi dalla galassia dei Birdmen of Alkatraz, i Pale Dawn e i Magic Potion nati dall’ implosione dei Technicolour Dream. Ma il 1987 è anche l’ anno di Moonshiner dei BooHoos, di Keep it cool and dry dei Pikes in Panic e Young Bastards dei Kim Squad, tre mostri di energia, tre accumulatori al Nichel-Cadmio carichi come delle bombe all’ idrogeno, l’ anno dell’ esplosione della scena milanese che ruota attorno alla Crazy Mannequin di Stefano Ghittoni. Ed è pure l’ anno della seconda bottiglia di Eighties Colours. Quando la stappi, ti accorgi che è ancora effervescente. Ma che il gusto sta lentamente cambiando. Gli stili si stanno definendo, aprendo la scena ad altre influenze, a nuovi entusiasmi, a nuovi
“Colori che esplodono”; la scena garage si rinnova con l’ arrivo di nuove bands: dal beat di Barbieri e Avvoltoi al garage spiritato di Woody Peakers ed Electric Shields e di dischi come quello vigoroso dei Polvere di Pinguino e quello mod-oriented degli Underground Arrows giunti finalmente all’ agognato esordio.
Tutt’ intorno è un fiorire e moltiplicarsi di tante minuscole garage bands menzionate purtroppo anche stavolta troppo di fretta: Superflui, Monks, Five For Garage, Uninvited, etc…
“Gli ultimi fuochi” riguarda il 1989 e l’ uscita di altri tasselli importanti come From the Birdcage, Shaking Street, Umbilicus, forse gli ultimi dischi fondamentali e decisivi del movimento.
“Verso il nuovo decennio” è il capitolo dedicato al 1990, anno di uscita di Floating dei Sick Rose, del secondo disco degli Avvoltoi e soprattutto del mini album di esordio dei Flies, autentica perla nascosta di sixties rock mondiale.
L’ ultimo capitolo è “Il fuoco che cova sotto la cenere” del decennio successivo, con qualche rapido e sommario accenno ai dischi e ai nomi che durante gli anni Novanta terranno viva la fiamma:la Misty Lane, la Face Records, la Psych Out, gli Sciacalli. Le appendici in coda al volume sono dedicate alle fanzines dell’ epoca (una su tutte: Lost Trails!!!) e ad un angolo di riflessione evocativa dove alcuni dei protagonisti mettono mano dentro la loro valigia dei ricordi.
Per chiudere, la piccola nota dolente riguarda una discografia dettagliata di tutto il materiale ufficiale uscito dal 1985/1990 ma che purtroppo omette, chissà perché, le svariate demo che allora costruirono un canale di diffusione importante e vitale per il circuito e che all’ epoca rimasero per molte band le uniche testimonianze del loro passaggio su questo pianeta come Stolen Cars, Superflui, Storks, Teeny Boppers, Silver Surfers, David and His Pals, Five For Garage, ecc. ecc. così come vengono taciute alcune uscite postume dedicate tra le altre a gruppi come Boot Hill Five, Birdmen of Alkatraz, Storks, Barbieri, Woody Peakers (mi riferisco alla collana Back Up della AUA). Una scelta sicuramente voluta ma che priva il libro dell’ aggettivo di “definitivo” che invece gli spetterebbe di diritto per lo spirito e la competenza che lo anima (che ridere invece a ridere degli strafalcioni che la stampa, soprattutto locale, dell’ epoca, riversava sui suoi ciclostilati, NdLYS).
Eighties Colours è un volume ovviamente destinato a chi, musicista, addetto al settore, semplice appassionato, visse quegli anni con l’ entusiasmo che meritavano e per chi voglia avere una esauriente guida per la riscoperta di una stagione del rock italiano che non ebbe paura di confrontarsi con un linguaggio, un’ estetica, un’ idea stessa del rock ‘n roll che non le apparteneva e che invece le diventò così familiare da poterla plasmare a proprio gusto, esplodendo dal nulla, conquistando il mondo, ritornando nel nulla.
Gli altri lo lascino riposare sugli scaffali e comprino l’ ennesima biografia su Ligabue. Qui non c’ è posto per loro, nemmeno se facessimo spazio tra i ricordi, nemmeno se volessimo conceder loro un solo giorno dei nostri anni migliori, nemmeno se volessimo far finta che abbiamo ancora la stessa voglia di ridere e di abbracciare il mondo che avevamo allora.
Perché, fuor di retorica, quella del neo-garage fu davvero una febbre. Contagiosa e pandemica. Come e forse più della scena punk, chi ne fu investito non restò con le mani in mano.
Chi ne fu infettato lo fu fino al midollo: non ce ne fu uno che non mise su una band, stampò una fanzine, tirò su una casa discografica, una tipografia, un negozio di restauro, di dischi, di strumenti. Qualunque cosa. Anche solo per un anno, per una settimana, un solo giorno. I Colori degli Anni Ottanta. I Nostri Colori.
SICK ROSE
NO STRANGE
BIRDMEN OF ALKATRAZ
WOODY PEAKERS
BOOHOOS
PIKES IN PANIC
NOT MOVING
FOUR BY ART
http://www.facebook.com/home.php?#!/profile.php?id=1047941401&ref=ts
http://www.robertocalabro.blogspot.com/
Una rivoluzione perpetrata, e scorrendo queste pagine se ne afferma il sospetto, con un esercito esiguo (un centinaio di nomi in tutto tra musicisti, giornalisti, produttori e “professionisti” del settore), scarsissimi mezzi, moltissima passione e la convinzione netta di essere dalla parte del giusto.
Il giusto, allora, era donare al rock la sua essenzialità primordiale spogliandolo dai vestiti sintetici dell’ elettro-pop.
Per farlo era indispensabile riportare indietro le lancette del tempo. Sorpassare in controsenso le derive post-punk che erano degenerate nella new wave glaciale dei primi anni Ottanta, le maree furiose dell’ hardcore e del punk, risalire le correnti del prog e dell’ hard rock come salmoni pronti a deporre le uova nel posto giusto e infine trovarlo, questo posto giusto, nel rock americano ed europeo dell’ epoca beat e psichedelica. Fu questa esigenza ad innescare, un po’ ovunque, le guerre del Paisley Underground e del neo-garage. Gli avamposti italiani, questa volta, non si fecero trovare impreparati. Per niente.
Del resto molte matricole avevano fatto il loro addestramento reclute nei casermoni del punk dove vigeva la legge del DIY. Sapevano dunque darsi da fare con i mezzi allora a disposizione. Annunci, lettere, volantini, telefonate.
Molto inchiostro, molte parole, molta benzina in quegli anni. E, dopo tanto tempo, di nuovo….tanti Colori!
Roberto Calabrò ripercorre quei sei anni con l’ entusiasmo che gli è proprio, con l’ impeto di chi li ha vissuti in prima persona, di chi ha visto nascere e morire le sue band del cuore, quelle per le quali avresti sempre e comunque trovato un posto dove dormire o un pasto caldo, se ce ne fosse stato bisogno.
Quelle per cui avresti ipotecato casa pur di comprare un loro disco, se papà e mamma te lo avessero concesso.
E adesso che la musica non si compra più, che ci si è dimenticati per anni di far riparare la piastra per i nastri TDK o di comprare una nuova puntina Shure e che ci pare sempre più incredibile credere che anche noi siamo vissuti in un’ epoca dove non esistevano il PayPal, l’ email, Facebook, Youtube, Myspace, il PostePay, l’ I-Phone, l’ I-Pod, gli MP3, ora che ci pare davvero improbabile poter spedire una lettera alla Casella Postale 144 di Pavia con una banconota occultata dentro per ricevere, dopo due mesi, uno di quei fantastici gingilli che ci facevano venire la pelle d’ oca.
Un 45 giri. Un cerchio di vinile nero da far ruotare su un piatto mentre il mondo restava fermo tutt’ intorno. Un piccolo manufatto con qualche errore di stampa, senza bollino SIAE e senza nessun codice a barre. Ora che tutto questo sembra un corto circuito alle pacchiane comodità del nostro presente, Eighties Colours aggiunge un altro colore alla tavolozza di quegli anni: quello della nostalgia.
Eppure Calabrò non sceglie il taglio nostalgico ma quello celebrativo e documentaristico. Tutte le uscite discografiche del periodo vengono analizzate con qualche commento personale o attraverso le lenti dei musicisti, oppure spulciando tra le recensioni dell’ epoca, perlopiù tratte da Rockerilla, il mensile che grazie al trasporto di Claudio Sorge e Federico Ferrari si fece portavoce del rinascimento garage e psichedelico italiano e per il quale dal ’96 lo stesso Calabrò finirà per scrivere.
Il libro, ricco di fotografie e copertine del periodo, indaga sul fenomeno partendo dal 1985 e scegliendo di analizzarlo anno per anno.
Si inizia con “La nascita della scena” che documenta i centri geografici nevralgici per la fioritura del fenomeno: la Torino dei No Strange e Sick Rose, la Bologna degli Allison Run e degli Ugly Things, la Roma dei Technicolour Dream, la Toscana di Liars, Useless Boys e Pikes in Panic, la Milano dei Pression X e dei Four By Art, la Piacenza dei Not Moving e identifica proprio nell’ omonima compilation curata da Claudio Sorge l’ uscita-chiave dell’ intera scena.
Il secondo capitolo è quello consacrato a “I primi dischi”. Che sono spesso i più importanti ma che sbattono il muso sul muro di incompetenza di studi di registrazione, produttori e fonici che hanno scordato cosa voglia dire far suonare uno strumento che non sia un synth o una batteria elettronica. Prova ne siano l’ album dei Technicolour Dream o quello degli Out of time, soffocati entrambi da produzioni incerte, acerbe, ingenue, inadatte.
Si prosegue con “L’ esplosione della scena”, il capitolo dedicato al 1986, l’ anno d’ oro del garage punk mondiale e della scena psych italiana: escono Faces dei Sick Rose e Sinnermen dei Not Moving ma pure il secondo album dei Four By Art e il debutto folgorante dei BooHoos, esordiscono i grandi Pikes in Panic, gli enormi Birdmen of Alkatraz. La scena è un tino in fermentazione. La rete si allarga, comincia a guadagnare rispetto e visibilità anche fuori confine.
Il quarto capitolo fotografa “La seconda ondata” ma registra anche le prime spaccature importanti. Nascono le prime band “satellite”: piccole masse lanciate dalla forza centrifuga delle band madre e dai primi scontri di ego: come gli Steeplejack staccatasi dalla galassia dei Birdmen of Alkatraz, i Pale Dawn e i Magic Potion nati dall’ implosione dei Technicolour Dream. Ma il 1987 è anche l’ anno di Moonshiner dei BooHoos, di Keep it cool and dry dei Pikes in Panic e Young Bastards dei Kim Squad, tre mostri di energia, tre accumulatori al Nichel-Cadmio carichi come delle bombe all’ idrogeno, l’ anno dell’ esplosione della scena milanese che ruota attorno alla Crazy Mannequin di Stefano Ghittoni. Ed è pure l’ anno della seconda bottiglia di Eighties Colours. Quando la stappi, ti accorgi che è ancora effervescente. Ma che il gusto sta lentamente cambiando. Gli stili si stanno definendo, aprendo la scena ad altre influenze, a nuovi entusiasmi, a nuovi
“Colori che esplodono”; la scena garage si rinnova con l’ arrivo di nuove bands: dal beat di Barbieri e Avvoltoi al garage spiritato di Woody Peakers ed Electric Shields e di dischi come quello vigoroso dei Polvere di Pinguino e quello mod-oriented degli Underground Arrows giunti finalmente all’ agognato esordio.
Tutt’ intorno è un fiorire e moltiplicarsi di tante minuscole garage bands menzionate purtroppo anche stavolta troppo di fretta: Superflui, Monks, Five For Garage, Uninvited, etc…
“Gli ultimi fuochi” riguarda il 1989 e l’ uscita di altri tasselli importanti come From the Birdcage, Shaking Street, Umbilicus, forse gli ultimi dischi fondamentali e decisivi del movimento.
“Verso il nuovo decennio” è il capitolo dedicato al 1990, anno di uscita di Floating dei Sick Rose, del secondo disco degli Avvoltoi e soprattutto del mini album di esordio dei Flies, autentica perla nascosta di sixties rock mondiale.
L’ ultimo capitolo è “Il fuoco che cova sotto la cenere” del decennio successivo, con qualche rapido e sommario accenno ai dischi e ai nomi che durante gli anni Novanta terranno viva la fiamma:la Misty Lane, la Face Records, la Psych Out, gli Sciacalli. Le appendici in coda al volume sono dedicate alle fanzines dell’ epoca (una su tutte: Lost Trails!!!) e ad un angolo di riflessione evocativa dove alcuni dei protagonisti mettono mano dentro la loro valigia dei ricordi.
Per chiudere, la piccola nota dolente riguarda una discografia dettagliata di tutto il materiale ufficiale uscito dal 1985/1990 ma che purtroppo omette, chissà perché, le svariate demo che allora costruirono un canale di diffusione importante e vitale per il circuito e che all’ epoca rimasero per molte band le uniche testimonianze del loro passaggio su questo pianeta come Stolen Cars, Superflui, Storks, Teeny Boppers, Silver Surfers, David and His Pals, Five For Garage, ecc. ecc. così come vengono taciute alcune uscite postume dedicate tra le altre a gruppi come Boot Hill Five, Birdmen of Alkatraz, Storks, Barbieri, Woody Peakers (mi riferisco alla collana Back Up della AUA). Una scelta sicuramente voluta ma che priva il libro dell’ aggettivo di “definitivo” che invece gli spetterebbe di diritto per lo spirito e la competenza che lo anima (che ridere invece a ridere degli strafalcioni che la stampa, soprattutto locale, dell’ epoca, riversava sui suoi ciclostilati, NdLYS).
Eighties Colours è un volume ovviamente destinato a chi, musicista, addetto al settore, semplice appassionato, visse quegli anni con l’ entusiasmo che meritavano e per chi voglia avere una esauriente guida per la riscoperta di una stagione del rock italiano che non ebbe paura di confrontarsi con un linguaggio, un’ estetica, un’ idea stessa del rock ‘n roll che non le apparteneva e che invece le diventò così familiare da poterla plasmare a proprio gusto, esplodendo dal nulla, conquistando il mondo, ritornando nel nulla.
Gli altri lo lascino riposare sugli scaffali e comprino l’ ennesima biografia su Ligabue. Qui non c’ è posto per loro, nemmeno se facessimo spazio tra i ricordi, nemmeno se volessimo conceder loro un solo giorno dei nostri anni migliori, nemmeno se volessimo far finta che abbiamo ancora la stessa voglia di ridere e di abbracciare il mondo che avevamo allora.
Perché, fuor di retorica, quella del neo-garage fu davvero una febbre. Contagiosa e pandemica. Come e forse più della scena punk, chi ne fu investito non restò con le mani in mano.
Chi ne fu infettato lo fu fino al midollo: non ce ne fu uno che non mise su una band, stampò una fanzine, tirò su una casa discografica, una tipografia, un negozio di restauro, di dischi, di strumenti. Qualunque cosa. Anche solo per un anno, per una settimana, un solo giorno. I Colori degli Anni Ottanta. I Nostri Colori.
Franco “Lys” Dimauro
SICK ROSE
NO STRANGE
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domenica 29 agosto 2010
BRIAN WILSON: BRIAN’S 'HITS' SHOW 'Live' 20/07/05 Ravenna - Pala De André by Wally Boffoli
Un famoso e sfruttatissimo proverbio dice ' ... l'appetito vien mangiando': é capitato a me dopo aver pubblicato l'intervista a Brian Wilson alla vigilia dell'uscita del suo nuovo lavoro; ho cercato e trovato la cronaca che scrissi cinque anni fa, esattamente in questi giorni d'agosto, subito dopo aver assistito in quel di Ravenna ad un suo 'magico' concerto con i Wondermints, in piena rinascita artistica ed esistenziale. Do it again Brian! (W.B.)
Contrariamente a quanto ipotizzato in un primo momento, Brian Wilson e la sua band non hanno eseguito nelle loro due date italiane del 2005, Ravenna e Roma, il superbo rifacimento di SMILE, il lost album per eccellenza degli anni ’60, immortalato di recente in un cd ed in un doppio dvd, entrambi impedibili. Lo SMILE show ha già girato l’Europa e l’Inghilterra ed in agosto-settembre approderà in America. Il BRIAN’S 'HITS' SHOW di Ravenna ha ripercorso con estrema freschezza le entusiasmanti tappe della sua militanza nel BEACH BOYS nei ’60 e ‘70 prima della carriera solista, songs conosciutissime ed altre meno attraverso le quali Brian è andato forgiando uno stile compositivo e melodico unico : uno stile cha ha fatto dire ad Elvis Costello ‘..esiste tutta una tradizione compositiva popolare americana che parte da George Gershwin ed attraverso Cole Porter e Burt Bacharach giunge a Brian Wilson!‘
Ascoltate a Ravenna in ordine più o meno cronologico queste songs hanno dato un’idea inconfutabile di come attraverso gli anni il ‘genio’ compositivo di Wilson, partito dall’estetica surf e da tematiche spensierate ed estive, abbia maturato lentamente profondità armonica e spirituale di altissimo livello.
Wilson e c., in perfetto orario, iniziano con I Get Around ed è già grande festa: i cori sono perfetti, l’effetto strumentale d’insieme ineccepibile e questa sarà una costante che si ripeterà per tutti i 29 brani e l’ora e quaranta dello show. La professionalità, la precisione maniacale e la passionalità interpretativa di Darian Sahanaja, Jeffrey Foskett, Paul Mertens, Probyn e Gregor ex Wondermints sono senza precedenti e non fanno assolutamente rimpiangere i Beach Boys originali.
Si parte da lontanissimo, dall’ingenua ma ancora godibilissima surf-music: Catch A Wave, le meravigliose timeless ballads Surfer Girl, In My Room (dall’album Surfer Girl/1963), Dance Dance Dance, l’inno Help Me Rhonda (con tutta l’audience gioiosamente partecipe!), la fascinosa Please Let Me Wonder, When I Grow Up (to be a man), Do You Wanna Dance (da Beach Boys Today!/1964 -1965), Then I Kissed Her, l’immortale California Girls (il pala De André intero che canta, dai diciottenni ai cinquantenni!!!), The Little Girl I Once Knew, You're So Good To Me (da Summer Days and Summer Nights/1965).
Molte di queste songs, riascoltate dal vivo, in tutto il loro splendore e con i particolari esaltati appaiono già parecchio affrancate dalla semplicità surf e rock&roll degli inizi : le progressioni armoniche sono più ardite, le strutture più complesse, gli arrangiamenti vocali già volano in alto.
A questo punto una cosa mi é apparsa chiara a Ravenna durante il Brian’s ‘Big Hits’ show: Wilson non sta campando di rendita come più di un maldicente saccente vuol far credere, sta vivendo al contrario un momento di grazia incredibile (nonostante periodiche puntuali ricadute afasiche), sta sinceramente ed appassionatamente cercando di restituire al mondo tutta la sua arte, in una veste ancor più sontuosa grazie ai suoi giovani eccezionali collaboratori, alla fedele vicinanza spirituale di Van Dyke Parks ed all’affetto di sua moglie.
Ha iniziato dalla stigmatizzazione del capolavoro PET SOUNDS, si è immerso non senza sofferenza nella ricostruzione integrale di SMILE, sino a resuscitare a Ravenna e Roma con commovente e partecipe naiveté senile tutti i suoi inni giovanili ; seduto alla tastiera, con quel suo sorriso da eterno fanciullo, batteva le mani ripetendo ‘This is rock and roll...' ed incitava il pubblico a cantare con lui.
L’acme dello show è giunto con l’esecuzione di Wouldn't It Be Nice, Sloop John B, l’immensa God Only Knows, lo strumentale Pet Sounds (Pet Sounds/1966), la dimenticata trascinante Sail On,Sailor (Holland /1972); infine in magica successione Our Prayer (un'‘a cappella’ da far accaponar la pelle), Heroes And Villains e Good Vibrations (da Smile): tutti sono ormai in piedi, Wilson e la band escono ma non se ne parla nemmeno!
La standing ovation dopo pochi minuti li fa rientrare, quando in tantissimi si sono radunati sotto il palco, ed è di nuovo un ritorno alle origini: Brian annuncia al microfono un’altra dose di rock&roll ed ecco omaggiato Chuck Berry con Johnny Be Good, quindi l’hit Do It Again, l’immortale Barbara Ann, e le freschissime Surfin' Usa (1963) e Fun Fun fun (Shut Down Vol.2/1964). Brian ‘sembra’ divertirsi tantissimo, imbraccia addirittura per qualche minuto la chitarra ed ingaggia uno scherzoso duello con i compagni. Ma il commiato definitivo è affidato alla delicata, fragile Love And Mercy dal suo primo album solista del 1988. T H A N K S Brian !!!
http://www.brianwilson.com/index.html
And now...enjoy!... with Brian Wilson and his Band on 2005 Brian's Hits Show 'live': on Glastonbury!
Good Vibrations
http://www.youtube.com/watch?v=TrEK61Ifys0&feature=related
God Only Knows/Sloop John B/California Girls
http://www.youtube.com/watch?v=prrSrtMUDew&feature=related
Barbara Ann/Surfin'USA/Fun Fun Fun
http://www.youtube.com/watch?v=8on-KpziggY
I Get Around/Our Prayer/Heroes And Villains
http://www.youtube.com/watch?v=8NhBeB01U6U&feature=related
Do It Again/Help Me Rhonda
http://www.youtube.com/watch?v=5XM8XebyaN8&feature=channel
Contrariamente a quanto ipotizzato in un primo momento, Brian Wilson e la sua band non hanno eseguito nelle loro due date italiane del 2005, Ravenna e Roma, il superbo rifacimento di SMILE, il lost album per eccellenza degli anni ’60, immortalato di recente in un cd ed in un doppio dvd, entrambi impedibili. Lo SMILE show ha già girato l’Europa e l’Inghilterra ed in agosto-settembre approderà in America. Il BRIAN’S 'HITS' SHOW di Ravenna ha ripercorso con estrema freschezza le entusiasmanti tappe della sua militanza nel BEACH BOYS nei ’60 e ‘70 prima della carriera solista, songs conosciutissime ed altre meno attraverso le quali Brian è andato forgiando uno stile compositivo e melodico unico : uno stile cha ha fatto dire ad Elvis Costello ‘..esiste tutta una tradizione compositiva popolare americana che parte da George Gershwin ed attraverso Cole Porter e Burt Bacharach giunge a Brian Wilson!‘
Ascoltate a Ravenna in ordine più o meno cronologico queste songs hanno dato un’idea inconfutabile di come attraverso gli anni il ‘genio’ compositivo di Wilson, partito dall’estetica surf e da tematiche spensierate ed estive, abbia maturato lentamente profondità armonica e spirituale di altissimo livello.
Wilson e c., in perfetto orario, iniziano con I Get Around ed è già grande festa: i cori sono perfetti, l’effetto strumentale d’insieme ineccepibile e questa sarà una costante che si ripeterà per tutti i 29 brani e l’ora e quaranta dello show. La professionalità, la precisione maniacale e la passionalità interpretativa di Darian Sahanaja, Jeffrey Foskett, Paul Mertens, Probyn e Gregor ex Wondermints sono senza precedenti e non fanno assolutamente rimpiangere i Beach Boys originali.
Si parte da lontanissimo, dall’ingenua ma ancora godibilissima surf-music: Catch A Wave, le meravigliose timeless ballads Surfer Girl, In My Room (dall’album Surfer Girl/1963), Dance Dance Dance, l’inno Help Me Rhonda (con tutta l’audience gioiosamente partecipe!), la fascinosa Please Let Me Wonder, When I Grow Up (to be a man), Do You Wanna Dance (da Beach Boys Today!/1964 -1965), Then I Kissed Her, l’immortale California Girls (il pala De André intero che canta, dai diciottenni ai cinquantenni!!!), The Little Girl I Once Knew, You're So Good To Me (da Summer Days and Summer Nights/1965).
Molte di queste songs, riascoltate dal vivo, in tutto il loro splendore e con i particolari esaltati appaiono già parecchio affrancate dalla semplicità surf e rock&roll degli inizi : le progressioni armoniche sono più ardite, le strutture più complesse, gli arrangiamenti vocali già volano in alto.
A questo punto una cosa mi é apparsa chiara a Ravenna durante il Brian’s ‘Big Hits’ show: Wilson non sta campando di rendita come più di un maldicente saccente vuol far credere, sta vivendo al contrario un momento di grazia incredibile (nonostante periodiche puntuali ricadute afasiche), sta sinceramente ed appassionatamente cercando di restituire al mondo tutta la sua arte, in una veste ancor più sontuosa grazie ai suoi giovani eccezionali collaboratori, alla fedele vicinanza spirituale di Van Dyke Parks ed all’affetto di sua moglie.
Ha iniziato dalla stigmatizzazione del capolavoro PET SOUNDS, si è immerso non senza sofferenza nella ricostruzione integrale di SMILE, sino a resuscitare a Ravenna e Roma con commovente e partecipe naiveté senile tutti i suoi inni giovanili ; seduto alla tastiera, con quel suo sorriso da eterno fanciullo, batteva le mani ripetendo ‘This is rock and roll...' ed incitava il pubblico a cantare con lui.
L’acme dello show è giunto con l’esecuzione di Wouldn't It Be Nice, Sloop John B, l’immensa God Only Knows, lo strumentale Pet Sounds (Pet Sounds/1966), la dimenticata trascinante Sail On,Sailor (Holland /1972); infine in magica successione Our Prayer (un'‘a cappella’ da far accaponar la pelle), Heroes And Villains e Good Vibrations (da Smile): tutti sono ormai in piedi, Wilson e la band escono ma non se ne parla nemmeno!
La standing ovation dopo pochi minuti li fa rientrare, quando in tantissimi si sono radunati sotto il palco, ed è di nuovo un ritorno alle origini: Brian annuncia al microfono un’altra dose di rock&roll ed ecco omaggiato Chuck Berry con Johnny Be Good, quindi l’hit Do It Again, l’immortale Barbara Ann, e le freschissime Surfin' Usa (1963) e Fun Fun fun (Shut Down Vol.2/1964). Brian ‘sembra’ divertirsi tantissimo, imbraccia addirittura per qualche minuto la chitarra ed ingaggia uno scherzoso duello con i compagni. Ma il commiato definitivo è affidato alla delicata, fragile Love And Mercy dal suo primo album solista del 1988. T H A N K S Brian !!!
Wally Boffoli
Photos by Ninni Pirris
http://www.brianwilson.com/index.html
And now...enjoy!... with Brian Wilson and his Band on 2005 Brian's Hits Show 'live': on Glastonbury!
Good Vibrations
http://www.youtube.com/watch?v=TrEK61Ifys0&feature=related
God Only Knows/Sloop John B/California Girls
http://www.youtube.com/watch?v=prrSrtMUDew&feature=related
Barbara Ann/Surfin'USA/Fun Fun Fun
http://www.youtube.com/watch?v=8on-KpziggY
I Get Around/Our Prayer/Heroes And Villains
http://www.youtube.com/watch?v=8NhBeB01U6U&feature=related
Do It Again/Help Me Rhonda
http://www.youtube.com/watch?v=5XM8XebyaN8&feature=channel