SLOVENLY 2010 SAMPLER - THE ANOMALYS - THE RIPPERS: quando la Bassa Fedeltà diviene ragione di vita
Avevo avuto già nel 2001 contatti con bands della Slovenly Recordings, quando si chiamava 702 Records ed era una piccola etichetta americana nata nel 1994 dall’intraprendenza di Pete Menchetti, appassionato giramondo alla ricerca di bands da mettere sotto contratto e che rispondessero alla sua concezione di rock sporco, primitivo e punkoide. A questo punto non me ne vorrete se intreccerò questa recensione con alcuni avvenimenti musicali della città in cui vivo perché il destino lo esige.
Nella seconda metà anni ‘90 ed inizio nuovo millennio a Bari esisteva un manipolo di ragazzi appassionati davvero coraggioso che organizzava (anche a costo di perderci) concerti delle bands più di nicchia in ambito indie, hardcore, garage ma soprattutto lo-fi: era l’associazione 8 Pecore Nere di Corrado Massari che non ringrazierò mai abbastanza per quello che allora hanno fatto, svecchiando un ambiente musicale cittadino incartapecorito.
Senza Creanza era una loro filiazione gestita da Mario La pecorella che andò ancora più in là: dopo aver fatto venire da Chicago il combo Sweep The Leg Johnny con il loro post-rock iperurbano si assicurò l’esibizione di due bands olandesi sconosciute, Dexter e Lo-Lite: durante il loro Garagepus 2001 Tour. Fu un piccolo ‘grande’ avvenimento a Bari perché molti, tra cui chi scrive, presero coscienza grazie all’esibizione di individui provenienti dalle fogne di Amsterdam di un approccio rock esecutivo che a livello internazionale aveva già fatto molti proseliti (Bassholes, ’68 Comeback, Gories), cioè la ‘bassa fedeltà’ o lo-fi (già esistente da tempo nel garage) che dir si voglia e che negli anni successivi ed a tutt’oggi avrebbe preso piede in modo massiccio tra i giovani musicisti dediti soprattutto al blues. Furono due live-acts sporchi, assordanti, primitivi.
Qualche giorno dopo li contattai on-line e li intervistai per la fanzine cartacea che realizzavo allora, My Own Desire. Un anno dopo, nel 2002, la 702 Records mutò ragione sociale in Slovenly Recordings; anche il suo boss divenne Pete Slovenly ma non cambiò le sue ‘fisse’ artistiche, anzi le esasperò dando vita ad un catalogo sterminato non secondo a mio parere ad altre etichette dedite agli stessi sotto-generi di nicchia, come la Voodoo Rhythm di Reverend Beat-Man (di cui parlerò presto in questo rock-blog): in questi ultimi anni la Slovenly Rec. ha pubblicato una miriade di vinili 45 giri, E.P., LP e CD di bands provenienti da ogni angolo del mondo, tutte con la medesima selvaggia attitudine lo-fi nel seviziare rock&roll, punk, garage, blues.
Ottima quindi l’idea di (DJ) Pete Slovenly di sintetizzare in un sampler di ben 44 brani (…un’ora e mezza) il suo catalogo denso ed un po’ dispersivo: ad inizio estate mi giunge da lui per posta (e poi per e-mail) un codice per download(arlo) free dal sito dell’etichetta: nulla di più gradito come caveau estivo.. Se esplorate www.slovenly.com potrete farlo anche voi. Il sampler è uno strepitoso manifesto di estetica lo-fi che rappresenterà un prezioso quotidiano compagno di vita per chi il genere già lo conosce e ne apprezza le compagini più spigolose: gli altri non avvezzi sono pregati di tenersene cautamente alla larga perché potrebbe sverginare pericolosamente le loro orecchie troppo delicate e pregiudicarne le funzioni.
Le bands più conosciute presenti nel sampler sono anche le più ‘normali’ e ortodosse: vale per il mod-garage squisito ed orecchiabile degli Insomniacs (Switched On) custodi del primigenio furore Who, i Reigning Sound dell’ex-Oblivians Greg Cartwright (Your Love), il decano garage-rocker inglese Billy Childish & The MBE (It Should be me), ma anche gli spagnoli Wau & Los Arrrghs!!!(It’s Great – Piedras) che si attestano su due brani non più che simpatici d’estrazione sixties.
Si comincia a far sul serio con il loro ex compagno di scuderia Voodoo Rhythm, King Automatic che con Closing Time sigla un episodio accattivante che definire garage è limitativo.
Prima di lui i Black Lips (anche loro tra i più noti) e Magnetix ci introducono con Stoned e Positively Negative in un ambito noise vizioso e corrosivo dove il rock appare cadavere violato da condors aggressivi, ridotto a qualcosa di non facilmente etichettabile.
Ape City R&B (Dynamite) non sono da meno stordendo con un attacco sonico micidiale.
THE ANOMALYS Self Titled (Slovenly Rec / 2010)
Dopo questi primissimi brani ecco gli olandesi ANOMALYS (con Memme, ex Dexter, drums), una delle brucianti rivelazioni di questo sampler: il loro Black Hole Blues è un ammasso di suoni e feedback fuori controllo sorretto da una batteria poco incline a normalizzare il tutto che sfugge a qualsiasi catalogazione.
Esattamente lo stesso incubo sonoro si respira nel primo omonimo cd degli ANOMALYS, recentissima uscita Slovenly d’inizio estate 2010: le note dell’etichetta li etichettano come l’unico ‘negative tequila rock’n’roll sex’ trio olandese in circolazione; in effetti l’umore di questi 9 brani parossistici è quello di un rockabilly sfigurato da una sbronza pesante e cattiva, disossato (come quello dei Dexter sunnominati) e privo di basso. Dall’iniziale, ancora disponibile Anomalys Now!, strumentale posto all’inizio, il sound s’incattivisce man mano attraverso Rock’n’roll World e Kiss’n’run con su gli scudi Bone, vocalist perverso ed esasperato e percussioni out of control.
La lenta Ain’t got a lot to give rivela il pathos interpretativo crudo e tragico di un grande Bone.
Le danze riprendono più frenetiche di prima con See me bleed (Darby Crash…do you remember?): grande esasperata song, da tempo non ascoltavo qualcosa del genere..fidatevi!
E’ sangue e linfa punk quella che percorre le corde di Potlood e c.: Soul Saver ne è fremente depositaria mentre a sorpresa Sorry State mette in scena un attacco garage dal riff chitarristico quasi sixties, degenerando magnificamente nel finale. Gli Anomalys non si fanno mancare nulla: dopo un’assatanata Fatal Attraction che avvince visceralmente si lanciano in Sex, un grezzo boogie-blues con tanto d’armonica che va a finire in un sabba di voci ed oggetti battuti sui tavoli: solo in una cantina adibita a locale rock potrete godere di tanta spontaneità ed eccitazione.
Grande disco.
http://www.myspace.com/theanomalys
Ma torniamo al Sampler Slovenly 2010: impossibile sfuggire all’onda d’urto punk- lo-fi di bands pressoché sconosciute (presenti in alcuni casi anche con due brani) come Losin Streaks (Beg, Steal or Borrow), gli invasati Hollywood Sinners(spagnoli, con Little Girl) ed i messicani Los Explosivos (Miedo), Spits presenti con tre brani ma letteralmente indemoniati in Rat Face, Chimiks (Feel really good), Low Point Drains (Baby’s night out). Los Fregaplatos massacrano alla lettera la classica Ain’t got you (chissà se gli Yardbirds si stanno rivoltando nella tomba!) con armonica dissoluta e chitarre rugginose pescate in qualche cassonetto.
Subsonics riescono ad evocare fantasmi Velvet Underground (quelli di Loaded per la precisione) con A Blues you oughta get used to: tutte le sfumature possibili del garage-lo fi corrotto dalla furia eversiva del punk sono presenti in questa compilation servita su un un piatto d’argento da DJ Pete: sembra quasi di vederlo appollaiato sulla sua postazione guardare compiaciuto come riesce a frastornarci con i colpi bassi di individui privi di qualsiasi ritegno come Introducers (Wicked), Digger & The Pussycats (Night of two moons), The Sess (ABC).
L’elenco è davvero lungo e ci si perde tra tanta abbondanza di allettanti proposte soniche che non sanno il compromesso dove abita. Lascio ai più volenterosi il piacere di esplorare gli anfratti di questo documento sonoro davvero impedibile: esso ci congeda con un brano che è il picco dell’ottica torbida lo-fi nel nuovo millennio: New Wipeout dei Vex Ruffin & The Lo-Fi Jerkheads (nome che è tutto un programma), suoni/voce che si compiacciono di essere border-line!
Io invece non posso congedarmi prima di sottolineare che i due brani degli italiani-sardi The Rippers (Out of my head for a day e Right time to kill you) presenti non rallentano assolutamente il ritmo di questa maratona sonora, vi partecipano apportando anzi un palpitante contributo espressivo.
http://www.slovenly.com
THE RIPPERS : Why Should I Care About You? (Slovenly Rec./ 2009)
The Rippers sono una band affermatasi ormai a livello internazionale: con Why Should I Care About You? uscito l’anno scorso su Slovenly hanno consacrato per così dire questo hype con una serie di brani all’insegna del loro proverbiale frenetico tiro e del vocalismo sempre efficace di Paolo che usa costantemente la sua armonica come un’arma impropria. Brani come This Afternoon e My Brown Friend proprio per l’uso seriale dell’harp non sono immuni da seduzioni blues e pub-rock, ma la stessa anfetamina chitarristica e ritmica di episodi come Into This Place, If You Walk Alone, Right Time to Kill You ci riporta inequivocabilmente (non so quanto consciamente da parte dei Rippers) all’energia contagiosa di indimenticabili fuoriclasse inglesi come Dr.Feelgood, Eddie & The Hot Rods, Inmates, che precedettero di pochissimo l’avvento del punk; ma a ben ascoltare anche fantasmi dei primissimi Rolling Stones si aggirano nei solchi concitati di I Wanna Put You Out Of My Head, Into This Place e nei brevi ChuckBerry-ani solo chitarristici.
Quello dei Rippers e di questo ultimo cd non mi pare insomma il garage ortodosso di chi ne abbraccia con i prosciutti sugli occhi la fede, quanto il sound maturo di una band che non si sottrae alla fascinazione rock-blues di stimoli provenienti da decadi passate e non certamente e strettamente dall’ambiente garage.
www.slovenly.com/rippers
www.myspace.com/therippersinaction
PASQUALE 'WALLY' BOFFOLI
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mercoledì 18 agosto 2010
lunedì 16 agosto 2010
MUSICA E LETTERATURA: Ascesa e splendore di IAN ANDERSON & JETHRO TULL by Roberto Fuiano
Roberto Fuiano é un grande amico con cui condivido da tantissimo tempo l'amore per alcuni idiomi rock : il rock progressivo su tutti. Roberto oltre ad esserne sopraffino conoscitore é anche scrittore di Fantasy e S.F. ed ha pubblicato alcuni libri, oltre ad aver legato il suo nome (come cantante e chitarrista) in passato al gruppo folk-rock barese Maelstrom.
Scrivendo questo articolo ha soddisfatto finalmente un mio invito rivoltogli un pò di tempo fa: rendere omaggio ai JETHRO TULL, una rock band che lui conosce in modo approfondito e che ha rappresentato davvero (e rappresenta tuttora in misura molto minore) uno dei picchi musicali ed ispirativi anglosassoni del periodo a cavallo tra i '60 ed i '70, anni gravidi di affascinanti mutamenti ed esperimenti sul corpo ancora giovane del rock. Nella seconda parte dell'articolo é toccato (con la traduzione di due testi) il controverso coté letterario di Ian Anderson, leggendario front-man dei Jethro Tull, aspetto rimasto spesso fatalmente in secondo piano nell'universo artistico del gruppo. (P.W.B.)
A MINISTORY
Nel 1968 da un gruppo d’ispirazione beatlesiana, la John Evan Band, si formano i JETHRO TULL, band destinata a essere una delle più importanti della scena inglese degli anni ’70 e legata a quel genere ampio e affascinante etichettato come progressive.
Nel gruppo milita come flautista, chitarrista e cantante, un certo IAN ANDERSON, che in breve tempo ne diverrà il leader indiscusso. Le influenze del periodo (era uscito il doppio White Album dei Beatles, che dopo la musica psichedelica apriva gli orizzonti del rock a tutte le contaminazioni possibili) e la grande passione di Anderson per musicisti di colore quali Sonny Terry e Howlin’ Wolf portano i Jethro ad un primo grande disco, This Was, in cui le atmosfere sono nettamente blues.
Subito Ian Anderson si distingue soprattutto per l’utilizzo del flauto che, riprendendo la tecnica del jazzista Roland Kirk si esprime con una incredibile carica di aggressività e innovazione nell’ambito della musica rock. Ma This Was è solo il preambolo di una lunga e prolifica carriera che vede sino ad oggi l’uscita di circa trenta dischi, per lo più di pregevole fattura.
Il secondo lavoro siglato Jethro Tull s’intitola Stand Up (con la famosa rivisitazione jazzata della Boureè di Bach) e vede lo spostamento del sound verso un maggiore lirismo e un avvicinamento al folk, senza abbandonare del tutto il feeling del blues; inoltre, sostituendo l’ottimo Mike Abrahams, entra a far parte della band un’altra figura fondamentale per la sua storia ed evoluzione, Martin Lancelot Barre (chitarrista dal fraseggio prodigioso ingiustamente sottovalutato), che rimarrà in pianta stabile accanto ad Anderson, al contrario dei molti musicisti che vi si avvicenderanno.
La musica dei Jethro percorre tutto l’arco degli anni ’70 con capolavori rock quali Aqualung (album assurto a simbolo del gruppo), Thick as a Brick, Songs from the Wood e tanti altri, ma pur denigrati dalla critica (sempre rivolta a scoprire i "nuovi fenomeni artistici del tempo"), continua a regalare agli appassionati e a quelli che valutano la musica senza manicheismi preconcetti, gioielli ricchi di intense ballate, di corposi brani rock, e composizioni mai banali. Un valido esempio è Roots to Branches del 1995, a mio parere uno dei dischi più belli in assoluto degli anni ’90.
Naturalmente non tutti i dischi sono stati eccezionali, ma di certo (se si esclude Under Wraps, un disco degli ’80, connotato da una evidente quanto inopportuna batteria elettronica che ne rovina le atmosfere) non si cadrà mai sotto i livelli di una musica apprezzabile e intelligente, aspetto questo che va tutto ad onore di una band dalla così vasta produzione. Ad ogni modo, oltre ad aver segnato gloriosamente un’epoca, ai Jethro va anche riconosciuto il pregio di essere un solido riferimento per tanti di quei gruppi attuali (denominati neo-prog) che scontrandosi con lo svuotamento spinto dai media, ormai al servizio di tutti gli intenti commerciali possibili, continuano a mantenere un’idea di rock quale espressione artistica di ampio respiro compositivo, con il flauto traverso che fa spesso da protagonista, come i Flamborough Head, i Quidam, e gli italiani Narrow Pass.
LE LIRICHE
Anche per quanto riguarda i testi, sempre scritti dallo stesso Anderson, non ci sono mai cadute e sceglierne qualcuno da proporvi fra i tanti è difficile impresa. Spesso vi è satira politica o sociale, con tanta ironia e sarcasmo, vi sono testi incredibili per la loro valenza simbolica o per il surrealismo espresso, attacchi verso la chiesa bigotta e verso l’ipocrisia borghese, istanze ecologiste, descrizioni di vita agreste, riferimenti mitologici, personaggi strani o strampalati appartenenti all’immaginifico dei nebbiosi sobborghi inglesi dell’ottocento, testi intimistici e quant’altro mette a disposizione la letteratura inglese, ma anche la coscienza sociale maturata negli anni della contestazione giovanile.
I due testi che qui vi propongo sono quindi lontani dall’evidenziare la complessità del mondo poetico di Ian Anderson, ma credo siano abbastanza rappresentativi dell’approccio singolare e accattivante con temi quali la religione: A Passion Play, disco del 1973, è un’unica suite tutta basata sul gioco simbolico della Passione del Cristo; la guerra: War Child, del 1974 è infatti un testo altamente allegorico in cui, come si può ben vedere, non c’è assolutamente niente di retorico o di già detto.
Il gioco della Passione
(from A Passion Play)
Ringrazio tutti per il benvenuto.
Resterei, ma le mie ali sono cadute.
Salve! Figlio di Re
fai il segno sempre valido
incrocia le dita nel cielo
per coloro che sono destinati a nascere.
Io sono lì
e aspetto sulla sabbia.
Pronuncia il tuo dolce discorso
sulla terra e il mare.
Magus perde
togli la mano dalla catena.
Esprimi il desiderio di placare la pioggia
e la tempesta che sta per scatenarsi.
Eccomi qui (viaggiatore della vita)
spesse sono le suole
che calpestano il filo del coltello.
Spezza il circolo vizioso
tira la linea
chiama il diavolo
porta agli dei
il loro stesso fuoco.
Bambino della guerra
(from Warchild)
Ti porterò giù
a quel risplendente miglio di città
là, per incipriare il tuo dolce viso
e pitturare un sorriso.
Ciò mostrerà tutti i piaceri e nessun dolore
quando ti unirai alla mia esplosione
e giocherai con i miei giochi.
Bambino della guerra
danza durante i giorni
danza durante le notti, lontano.
Nessuna resa incondizionata
Nessun giorno per l’armistizio.
Ogni notte morirò nel mio accontentarmi
e giacerò nella tua tomba.
Mentre tu mi porti l’acqua
io ti do il vino.
Fammi danzare nella tua tazza da tè
tu nuoterai nella mia.
Bambino della guerra
danza durante i giorni
danza durante le notti.
Apri le tue finestre
e camminerò attraverso le tue porte.
Fammi vivere nel tuo paese
fammi dormire presso le tue spiagge
(Traduzione di Roberto Fuiano)
ROBERTO FUIANO
http://www.j-tull.com/
http://www.azlyrics.com/j/jethrotull.html
http://www.itullians.com/Lpages/foto/vanzetti/testi.htm
Scrivendo questo articolo ha soddisfatto finalmente un mio invito rivoltogli un pò di tempo fa: rendere omaggio ai JETHRO TULL, una rock band che lui conosce in modo approfondito e che ha rappresentato davvero (e rappresenta tuttora in misura molto minore) uno dei picchi musicali ed ispirativi anglosassoni del periodo a cavallo tra i '60 ed i '70, anni gravidi di affascinanti mutamenti ed esperimenti sul corpo ancora giovane del rock. Nella seconda parte dell'articolo é toccato (con la traduzione di due testi) il controverso coté letterario di Ian Anderson, leggendario front-man dei Jethro Tull, aspetto rimasto spesso fatalmente in secondo piano nell'universo artistico del gruppo. (P.W.B.)
A MINISTORY
Nel 1968 da un gruppo d’ispirazione beatlesiana, la John Evan Band, si formano i JETHRO TULL, band destinata a essere una delle più importanti della scena inglese degli anni ’70 e legata a quel genere ampio e affascinante etichettato come progressive.
Nel gruppo milita come flautista, chitarrista e cantante, un certo IAN ANDERSON, che in breve tempo ne diverrà il leader indiscusso. Le influenze del periodo (era uscito il doppio White Album dei Beatles, che dopo la musica psichedelica apriva gli orizzonti del rock a tutte le contaminazioni possibili) e la grande passione di Anderson per musicisti di colore quali Sonny Terry e Howlin’ Wolf portano i Jethro ad un primo grande disco, This Was, in cui le atmosfere sono nettamente blues.
Subito Ian Anderson si distingue soprattutto per l’utilizzo del flauto che, riprendendo la tecnica del jazzista Roland Kirk si esprime con una incredibile carica di aggressività e innovazione nell’ambito della musica rock. Ma This Was è solo il preambolo di una lunga e prolifica carriera che vede sino ad oggi l’uscita di circa trenta dischi, per lo più di pregevole fattura.
Il secondo lavoro siglato Jethro Tull s’intitola Stand Up (con la famosa rivisitazione jazzata della Boureè di Bach) e vede lo spostamento del sound verso un maggiore lirismo e un avvicinamento al folk, senza abbandonare del tutto il feeling del blues; inoltre, sostituendo l’ottimo Mike Abrahams, entra a far parte della band un’altra figura fondamentale per la sua storia ed evoluzione, Martin Lancelot Barre (chitarrista dal fraseggio prodigioso ingiustamente sottovalutato), che rimarrà in pianta stabile accanto ad Anderson, al contrario dei molti musicisti che vi si avvicenderanno.
La musica dei Jethro percorre tutto l’arco degli anni ’70 con capolavori rock quali Aqualung (album assurto a simbolo del gruppo), Thick as a Brick, Songs from the Wood e tanti altri, ma pur denigrati dalla critica (sempre rivolta a scoprire i "nuovi fenomeni artistici del tempo"), continua a regalare agli appassionati e a quelli che valutano la musica senza manicheismi preconcetti, gioielli ricchi di intense ballate, di corposi brani rock, e composizioni mai banali. Un valido esempio è Roots to Branches del 1995, a mio parere uno dei dischi più belli in assoluto degli anni ’90.
Naturalmente non tutti i dischi sono stati eccezionali, ma di certo (se si esclude Under Wraps, un disco degli ’80, connotato da una evidente quanto inopportuna batteria elettronica che ne rovina le atmosfere) non si cadrà mai sotto i livelli di una musica apprezzabile e intelligente, aspetto questo che va tutto ad onore di una band dalla così vasta produzione. Ad ogni modo, oltre ad aver segnato gloriosamente un’epoca, ai Jethro va anche riconosciuto il pregio di essere un solido riferimento per tanti di quei gruppi attuali (denominati neo-prog) che scontrandosi con lo svuotamento spinto dai media, ormai al servizio di tutti gli intenti commerciali possibili, continuano a mantenere un’idea di rock quale espressione artistica di ampio respiro compositivo, con il flauto traverso che fa spesso da protagonista, come i Flamborough Head, i Quidam, e gli italiani Narrow Pass.
LE LIRICHE
Anche per quanto riguarda i testi, sempre scritti dallo stesso Anderson, non ci sono mai cadute e sceglierne qualcuno da proporvi fra i tanti è difficile impresa. Spesso vi è satira politica o sociale, con tanta ironia e sarcasmo, vi sono testi incredibili per la loro valenza simbolica o per il surrealismo espresso, attacchi verso la chiesa bigotta e verso l’ipocrisia borghese, istanze ecologiste, descrizioni di vita agreste, riferimenti mitologici, personaggi strani o strampalati appartenenti all’immaginifico dei nebbiosi sobborghi inglesi dell’ottocento, testi intimistici e quant’altro mette a disposizione la letteratura inglese, ma anche la coscienza sociale maturata negli anni della contestazione giovanile.
I due testi che qui vi propongo sono quindi lontani dall’evidenziare la complessità del mondo poetico di Ian Anderson, ma credo siano abbastanza rappresentativi dell’approccio singolare e accattivante con temi quali la religione: A Passion Play, disco del 1973, è un’unica suite tutta basata sul gioco simbolico della Passione del Cristo; la guerra: War Child, del 1974 è infatti un testo altamente allegorico in cui, come si può ben vedere, non c’è assolutamente niente di retorico o di già detto.
Il gioco della Passione
(from A Passion Play)
Ringrazio tutti per il benvenuto.
Resterei, ma le mie ali sono cadute.
Salve! Figlio di Re
fai il segno sempre valido
incrocia le dita nel cielo
per coloro che sono destinati a nascere.
Io sono lì
e aspetto sulla sabbia.
Pronuncia il tuo dolce discorso
sulla terra e il mare.
Magus perde
togli la mano dalla catena.
Esprimi il desiderio di placare la pioggia
e la tempesta che sta per scatenarsi.
Eccomi qui (viaggiatore della vita)
spesse sono le suole
che calpestano il filo del coltello.
Spezza il circolo vizioso
tira la linea
chiama il diavolo
porta agli dei
il loro stesso fuoco.
Bambino della guerra
(from Warchild)
Ti porterò giù
a quel risplendente miglio di città
là, per incipriare il tuo dolce viso
e pitturare un sorriso.
Ciò mostrerà tutti i piaceri e nessun dolore
quando ti unirai alla mia esplosione
e giocherai con i miei giochi.
Bambino della guerra
danza durante i giorni
danza durante le notti, lontano.
Nessuna resa incondizionata
Nessun giorno per l’armistizio.
Ogni notte morirò nel mio accontentarmi
e giacerò nella tua tomba.
Mentre tu mi porti l’acqua
io ti do il vino.
Fammi danzare nella tua tazza da tè
tu nuoterai nella mia.
Bambino della guerra
danza durante i giorni
danza durante le notti.
Apri le tue finestre
e camminerò attraverso le tue porte.
Fammi vivere nel tuo paese
fammi dormire presso le tue spiagge
(Traduzione di Roberto Fuiano)
ROBERTO FUIANO
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http://www.azlyrics.com/j/jethrotull.html
http://www.itullians.com/Lpages/foto/vanzetti/testi.htm