THE LOVE furono un gruppo attivo in California (Los Angeles), nella seconda metà degli anni 60.
In realtà essi furono, sostanzialmente, il gruppo di ARTHUR LEE .
Questi fu l’anima del complesso, che cambiò di compagine ripetutamente a causa della vita spericolata, diremmo oggi, dei suoi componenti. Il disco che si sta esaminando è del 1967.
Epoca e luogo geografico, ovviamente, rimandano all’Estate di amore, pace e libertà (Summer of love) della mitologia pop.
I più pensano alla Summer of love ed ai suoi artisti come ad un qualcosa di ben definito.
Non c’è niente di più sbagliato.
Al di là del fatto di essere immersi in un vago, anche se elettrizzante, clima di protesta ed entusiasmo giovanile verso “nuove” libertà e cose simili, i gruppi vivevano in ambienti diversi e si rivolgevano a diversi tipi di pubblico.
Alcuni gruppi, come i Jefferson Airplane ed i Grateful Dead, avevano il loro humus nei campus universitari. E’ all’immagine di costoro che si associa, solitamente, il fenomeno West coast dell’epoca, immagine di tipo intellettuale o intellettualoide e politicamente impegnata.
Questo genere di gruppo, però, non era affatto rappresentativo dell’insieme.
I Doors non traevano la loro ispirazione dall’ambiente dei campus, semmai dalla strada.
I Byrds ed i Buffalo Springfield, nonostante l’elevato impegno sociale, cercavano semplicemente il successo sulle orme dei gruppi inglesi.
I Lovin' Spoonful ed i Beach Boys vivevano a margine delle spiaggie.
Forever Changes, il loro terzo album, fu un parto difficile.
Dopo Da Capo, che ebbe un discreto successo commerciale, il gruppo era virtualmente disbanded, sfasciato. Fu, probabilmente, merito della Elektra se Forever Changes vide la luce.
Con una band nuova, Arthur Lee incise quello che è, secondo trentacinque anni di critica, uno dei primi dieci album di tutti i tempi. Commercialmente, all’uscita, non fu un grande successo.
All’epoca gli artisti, per vendere, dovevano fare delle grandi tournéé ed Arthur Lee non amava queste cose estenuanti.
Nel tempo, però, l’album ha dato le sue brave soddisfazioni alla casa editrice. Difficilmente manca nelle collezioni ben fornite.
La musica del disco, anche se semplice, non è di presa immediata.
La voce di Arthur Lee, oltretutto, pur se benissimo intonata e precisa nelle inflessioni, non era di quelle capaci di muovere la pancia o il cuore dell’ascoltatore. Il disco, però, è splendido.
I pezzi ruotano intorno agli studiatissimi e raffinatissimi giri armonici della chitarra acustica, alla quale quasi a sorpresa si aggiungono gli altri strumenti, sia quelli propri di un complesso rock ovvero chitarra elettrica, basso e batteria, sia quelli tipici dell’orchestra classica, con una particolare citazione per l’uso dei fiati.
Secondo me, tecnicamente, la peculiarità del disco consiste nel fatto che i brani, concepiti in maniera eminentemente intimistica, vengono “aperti” attraverso l’uso jazzato del suono orchestrale.
Il risultato è quel suono che i recensori, spesso, hanno descritto come misterioso e su cui si fonda il fascino di Forever changes.
Eviterei di creare una graduatoria fra i brani.
Se si consultano dieci recensioni, ciascun critico mostrerà di preferire pezzi diversi. Darei, però, una chiave per l’ascolto.
Il disco inizia con Alone again or… .
Il pezzo, suggestivo quanti mai, ha una particolarità che solo un grande musicista poteva porre in essere.
Inizia con un calmo arpeggio di chitarra acustica, per poi aprirsi musicalmente sul cantato.
Il testo riflette gli stati d’animo di un uomo che alterna momenti di rassegnata solitudine ad altri di speranza possibilista.
La musica veste alla perfezione gli stati d’animo comunicati dal testo.
I brani successivi alternano momenti più calmi e più frastagliati, come l’emotiva A House is not a motel, ma con un aumento quasi impercettibile del toni, attraverso la complessa, ispiratissima e fiatistica Maybe the people would be the times or between Clark and Hilldale fino al pezzo finale, l’elettrico bellissimo You set the scene.
Dopo un primo d’ascolto complessivo, sarà più facile enucleare la bellezza dei singoli brani, dal quieto ed enigmatico Andmoreagain al frastagliato The good humor man he sees everything like this, con i fiati in bella evidenza.
Comunque, al di là delle citazioni di singoli brani, il disco è talmente compatto che l’unico approccio consigliabile è quello diretto alla conoscenza ed al godimento dell’insieme.
Per l’eventuale acquisto, vinile a parte, conviene prendere la ristampa Rhino del 2001, con 7 bonus tracks, tra demo, alternate mix ed outtakes .
Hummingbirds, Wonder People, Your Mind And We Belong Together, Laughing Stock sono pezzi rinvenuti negli archivi e resi disponibili per la prima volta.
La voce di Arthur Lee, oltretutto, pur se benissimo intonata e precisa nelle inflessioni, non era di quelle capaci di muovere la pancia o il cuore dell’ascoltatore. Il disco, però, è splendido.
I pezzi ruotano intorno agli studiatissimi e raffinatissimi giri armonici della chitarra acustica, alla quale quasi a sorpresa si aggiungono gli altri strumenti, sia quelli propri di un complesso rock ovvero chitarra elettrica, basso e batteria, sia quelli tipici dell’orchestra classica, con una particolare citazione per l’uso dei fiati.
Secondo me, tecnicamente, la peculiarità del disco consiste nel fatto che i brani, concepiti in maniera eminentemente intimistica, vengono “aperti” attraverso l’uso jazzato del suono orchestrale.
Il risultato è quel suono che i recensori, spesso, hanno descritto come misterioso e su cui si fonda il fascino di Forever changes.
Eviterei di creare una graduatoria fra i brani.
Se si consultano dieci recensioni, ciascun critico mostrerà di preferire pezzi diversi. Darei, però, una chiave per l’ascolto.
Il disco inizia con Alone again or… .
Il pezzo, suggestivo quanti mai, ha una particolarità che solo un grande musicista poteva porre in essere.
Inizia con un calmo arpeggio di chitarra acustica, per poi aprirsi musicalmente sul cantato.
Il testo riflette gli stati d’animo di un uomo che alterna momenti di rassegnata solitudine ad altri di speranza possibilista.
La musica veste alla perfezione gli stati d’animo comunicati dal testo.
I brani successivi alternano momenti più calmi e più frastagliati, come l’emotiva A House is not a motel, ma con un aumento quasi impercettibile del toni, attraverso la complessa, ispiratissima e fiatistica Maybe the people would be the times or between Clark and Hilldale fino al pezzo finale, l’elettrico bellissimo You set the scene.
Dopo un primo d’ascolto complessivo, sarà più facile enucleare la bellezza dei singoli brani, dal quieto ed enigmatico Andmoreagain al frastagliato The good humor man he sees everything like this, con i fiati in bella evidenza.
Comunque, al di là delle citazioni di singoli brani, il disco è talmente compatto che l’unico approccio consigliabile è quello diretto alla conoscenza ed al godimento dell’insieme.
Per l’eventuale acquisto, vinile a parte, conviene prendere la ristampa Rhino del 2001, con 7 bonus tracks, tra demo, alternate mix ed outtakes .
Hummingbirds, Wonder People, Your Mind And We Belong Together, Laughing Stock sono pezzi rinvenuti negli archivi e resi disponibili per la prima volta.
Forever Changes è uno di quei dischi che può accompagnare per tutta la vita.
Lo si può dimenticare per anni nella propria discoteca, ma al riascolto comunicherà sempre nuovi risvolti e chiaroscuri.
Lo si può dimenticare per anni nella propria discoteca, ma al riascolto comunicherà sempre nuovi risvolti e chiaroscuri.
FRANCO DE LAURO
2 commenti:
Son giá passati 4 anni da questa recensione...
Fin da quando scoprí LOVE (senza articolo in inglese!)ai miei teneri 15 anni me ne sono innamorato, e come non potrebbe essere con un nome cosí, no?
Son passati 25 anni da allora e non posso dire che gli ascolto meno, tutto il contrario con il tempo li ho capiti ed amati sempre piú.
Sulla voce di Arthur Lee "...non era di quelle capaci di muovere la pancia o il cuore dell’ascoltatore." penso esattamente il contrario!
Una delle voci piú inconfondibili e che fa tutta la differenza!
Che A.Lee avesse una personalitá dominante non c'é dubbio, peró almeno agli inizi si puó parlare di LOVE come gruppo e non relegare gli altri a una semplice backing-band.
John Echols e Bryan McLean in particolare erano una parte fondamentale dei LOVE (in italiano, sí, usiamo l'articolo!)
Aldo ti ringrazio per le tue puntuali note molto sentite (e scusa quel THE in più!, ormai ti considero un assiduo lettore di Music Box: volevo informarti che a distanza di 4 anni esatti Music Box sta per pubblicare una seconda recensione di FOREVER CHANGES, il disco é così bello e seminale da meritarsene più di una. Spero ti piaccia più della prima ed attendo tuoi commenti...con affetto
wally
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